Archive | Racconti

LA CANZONE DEL CANE TURCO

Posted on 29 marzo 2012 by admin

 

 

 

 

 

NAPOLI – (di Atanasio Pizzi) –  Gli usi, i costumi e le tradizioni popolari degli albanesi in Calabria, anche se hanno subito
ingerenza, hanno conservato, in buona parte, la schiettezza della loro terra d’origine.

A Santa Sofia d’Epiro il linguaggio è quasi originale, la si noti nella canzone qui di seguito riportata:

 

Linghirjan di vochiche

Tinghe pe eia pevo u.

Unghe pe da pevoti.

Iscia gna Turca te aio vota.

Ma gna vascia ta liturid,

Liturid pra va sceccia.

Poi me raun te gna erna:

Se, ti zot, e ti gra mastra,

Lascom ta liturid,

Ta Teja gna pica uja.

Ghat goja, chieni Turcu!

Unga dua te cupa Jote,

Se u dua te grusti imma,

Mo pregasti tanazon

Te driggon diza ribara,

Za ribara e za grusara

Za grusara nga ghiacu isaji,

Appena sosi fialzan

Marrivati za ribari,

Za ribari eza grusarì,

Za ribari nga ghiacu i sufi

Turcona ma fundacosan,

Vasciana ma je rumbiena,

Conca viena me sosudidh.


La traduzione italiana è rilevata da una Rivista del 1890, così tradotta:
Discorrevano due fanciulli

 

Tu non vedesti ciò che vidi io

Io non vidi ciò che vedesti tu

C’èra un turco a quella volta,

con una giovane legata,

legata per la treccia per la treccia,

e mani e treccia.

Poi giunsero ad una fontana:

O tu, Signore e gran signore,

allargami la legatura.

Affinchè io beva un po’ d’acqua

Che ti mangino la gola,

cane turco, non ne voglio alla tua coppa,

perché voglio al mio pugno

Poi pregò il Signore di mandarle alcuni difensori,

alcuni difensori e parenti,

difensori del sangue suo.

Appena che ebbe finita la preghiera,

arrivarono i difensori,

alcuni di­fensori e parenti,

difensori del sangue suo. I

l turco stran­golarono,

la fanciulla gli tolsero.

La canzone è terminata.

Un argomento, come si vede, che si riporta al secolare odio verso i turchi, invasori della terra d’Albania, violenti e selvaggi, che, per le efferatezze commesse avevano co­stretto i vinti a fuggire in cerca di una patria adottiva.

Ma la cosa che ha più rilevanza, sta nel fatto, che la poesia è scritta con l’alfabeto delle magiche 21 lettere.

Comments (0)

22 GENNAIO 1912 – 22 GENNAIO 2012 – Janari i Passionatit

Posted on 22 gennaio 2012 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Lunedì ventidue Gennaio del millenovecento dodici, in via Ascensione 24, nasceva Janari i Passionatit, mio padre.

La sua famiglia di umili origini, seppe educarlo secondo nobili principi e lui, facendo tesoro di quelle basi, seppe emergere prima come pastore e poi con il solo bagaglio di arte e manualità, ereditata da suo  padre,  riusciti a dare valore alla sua vita in modo egregio e dignitoso.

Il matrimonio con la sua amata Lina, mia madre, la fedele compagna con la quale ha condiviso tante gioie e difficoltà.

Come le vicissitudini della guerra, che li aveva divisi, sino a quel rocambolesco ritorno a piedi, da Riva di Trento sino in paese, che come un segno del destino termino’ il 2 maggio a ostilità concluse, presentandosi davanti al sagrato della chiesa mentre il santo era portato in processione.

L’episodio  segnò la vera ascesa per assumere la meritata posizione sociale, per la quale alcune persone si posero sempre come ostacolo, perché non facile figura da emulare, specie per il fatto, di voler  consolidare un gruppo familiare che nell’ambiente del piccolo centro, si distingueva per; rigore, onestà e validissima operosità.

Niente e nessuno ha mai potuto disgregare il modello di famiglia  realizzata, pur se i tentativi a tal proposito non furono né pochi e né flebili.

Donasti ad ognuno dei tuoi figli, il meglio di te, arte, operosità, parsimonia e caparbietà, ma per colpa della salute, che è venuta meno troppo presto, non hai avuto l’opportunità di trasferire compiutamente i valori in alcuni di essi, per questo motivo l’operosità divenne indifferenza e la parsimonia avarizia. Continue Reading

Comments (0)

L’ACQUA, LA TERRA E IL CIELO

Posted on 12 dicembre 2011 by admin

ROMA (di Paolo Borgia) – Cielo, terra e mare sono lo spazio tripartito in cui si svolge l’esistenza umana entro il solidale consorzio biologico. La consapevolezza, che questi tre luoghi sprigionano energia, spinge il primordiale uomo a costituire negli stessi luoghi un’altra realtà parallela trascendente, con cui stabilire una relazione subalterna di devozione: il sacro. Distinte dagli eventi ed arcane sono le cause: il maleficio offende gli dei. L’uomo teme la furia degli eventi naturali, prodotti da dei in persona. Cerca di propiziarli, offrendo sacrifici all’altare su cui arde il fuoco e il dio Fuoco, Agni, perché facendo così, ritiene di sanare l’ira delle divinità a cui ha sottratto qualcosa. Ha vergogna di aver turbato l’ordine precostituito, nell’essere predatore da preda che era nel cosmo – la realtà bella. Qui non ci sono città, nè esiste la parola per designarle (nella letteratura sanscrita iniziale). Dieci mila pagine di sacri rituali meticolosi di culto ci restano, l’anima ardente di questa profonda civiltà scomparsa per sempre dall’India (cfr. Roberto Calasso, L’ardore, Adelphi Ed. Milano, 2010).

A 4600 anni dai Ŗgveda cielo, terra e mare sono la sede del divenire del tempo. Questo obbedisce alle leggi della fisica e non ha nessun sensibile ritegno etico: dire tempo cattivo, avverso, clemente è solo ipostatica interpretazione umana della realtà, delle condizioni fisiche determinanti. Continue Reading

Comments (0)

PASQUALE BAFFI Santa Sofia d’Epiro 11 Luglio 1759 – Napoli 11 Novembre 1799

Posted on 09 novembre 2011 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Nella piccola comunità di Santa Sofia d’Epiro, colonia albanese di Calabria citeriore, l’11 luglio 1749 nac­que Pasquale Baffa.

I genitori, Giovanni Andrea e Serafina Baffa, entrambi di origini arbëreshë vivevano nel modesto agglomerato edilizio posto a ridosso della confluenza del camminamento per l’ospizio e il palazzo arcivescovile.

Il cognome, in albanese significa fava,  baf è uno di quelli associati alle famiglie più antiche del piccolo centro albanofono.

Pasquale Baffa rappresenta l’insieme flessibile dell’ingegno ellenico, intriso della caparbietà tipica dell’indole calabrese.

Cresciuto sotto l’occhio vigile della mamma Serafina e dei gjitoni che assieme alla famiglia baffa dividevano il lavoro ed i pochi frutti delle terre sofiote dovette affrontare  la vita sotto la guida dello zio in quanto gli vennero a mancare a poco più di otto anni la madre e l’anel 1759 il padre.

Nei primi tempi della sua carriera scolastica, si dimostrandosi poco appassionato agli studi, fu questo il motivo  iscritto tra gli allievi laici del collegio italo-greco di S.B.U.

Il giovane Pasquale docile ed educato, incline a non subire soprusi e ingiustizie di alcuna sorta, nel corso di una lezione, rimproverato a torto dal suo maestro di greco, esternò le sue perplessità relativamente ad un brano tradotto, invece di avere elogi subì una strappata di orecchie, com’era in uso fare per punire gli allievi. Continue Reading

Comments (0)

Protetto: SPERIAMO CHE CE LA CAVANO

Posted on 06 novembre 2011 by admin

Il contenuto è protetto da password. Per visualizzarlo inserisci di seguito la password:

Inserisci la tua password per visualizzare i commenti.

Protetto: PARAMENTI ORIZZONTALI E INCLINATI

Posted on 15 ottobre 2011 by admin

Il contenuto è protetto da password. Per visualizzarlo inserisci di seguito la password:

Inserisci la tua password per visualizzare i commenti.

Protetto: CHIESA DEI S.S. PIETRO ET PAOLO DATA A’ GRECI E TOLTA AGLI………

Posted on 09 ottobre 2011 by admin

Il contenuto è protetto da password. Per visualizzarlo inserisci di seguito la password:

Inserisci la tua password per visualizzare i commenti.

LA CITTA DEL SOLE – Katùndi Dialit

Posted on 24 settembre 2011 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – La città del sole, Katùndi Dialit, è la proiezione di un modello di società giusta e pacifica in un luogo immaginario, nella realtà essa rappresenta un’utopia letteraria, per la netta frattura tra la realtà storica e l’esigenza di quel periodo.

Tommaso Campanella, ipotizza l’esigenza di un totale rinnovamento civile e spirituale.

L’opera, è scritta sotto forma di dialogo tra due personaggi; l’Ospitalario, cavaliere dell’ordine di Malta e il Genovese, nocchiero di Colombo.

Quest’ultimo racconta di aver girato il mondo scoprendo nell’isola di Taprobana, odierna Sri Lanka, una città ideale per tipologia urbana, per le leggi in vigore ed i costumi.

La città si eleva su un colle ed ha struttura circolare, realizzata in sette gironi di mura grandissime e concentriche, i cui nomi sono presi da sette pianeti.

La struttura urbana si ritiene che sia inespugnabile poiché ogni girone è fortificato da mura che sono  impossibile da superare, il che implicherebbe che qualora il primo dei gironi fosse travalicato, l’impresa dovrebbe essere ripetuta per ben sette volte. Continue Reading

Comments (0)

KATÙNDI IM

Posted on 11 settembre 2011 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Il mio paese, piccolo centro della Calabria e ritengo che sia tra quelli che dovevano essere protetti da organizzazioni internazionali con finalità culturali.

Sin da piccolo ho sempre ritenuto che i vicoli e le gjitonie con toponomi così suggestivi e pregnanti non potevano essere stati distanti dagli avvenimenti della storia che conta.

Gli adulti e anche i colti del paese ritenevano che nel piccolo centro non si fossero svolte vicende importanti sotto il profilo, storico commettendo così un grave errore.

Manomissioni di diversa natura sono stati prodotti alla dignità del piccolo centro in seno generale ad incominciare alla conservazione dei luoghi, ritenuti privi di ogni valore e quindi convertiti senza tenere conto dell’antica veste.

Un centro abitato che sino agli inizi della prima guerra mondiale non aveva ancora una strada carrabile che si potesse ritenere tale, ma approssimate mulattiere che nel periodo invernale perdevano anche questa connotazione, ciò nonostante, a Santa Sofia, sono state concordate raffinate strategie essenziali per il buon esito dell’unità.

Uomini di elevato spessore morale e culturale, che in questo piccolo centro avevano avuto i natali, hanno partecipare attivamente alla storia d’Italia e sono gli stessi ambiti che nell’Agosto del 1806 furono le quinte dell’efferato omicidio alla cui regia i regnanti napoletani in esilio a Palermo tiravano le fila.

L’agglomerato urbano ancora oggi, conserva nei fragili e discontinui frammenti murari ancora quei ricordi come quelli di terremoti, evidenziati dagli interveti  realizzati secondo le disposizioni dei tecnici dal governo centrale.

Sicuramente gli uomini di quei tempi avevano altra tempra e altri valori per riuscire a rispettare le regole nonostante non avessero mezzi e formazione atta alla conservazione di questi unici anfratti.

Tipologie edilizie che conservano tappe storiche e le conquiste sociali che sollevarono la Calabria dal buio della povertà diffusa.

Portali, rosoni, solai, finestre, balconi, loggiati, piazze, scale, selciati e servizi, sono gli elementi architettonici e urbanistici che segnano in maniera indelebile e senza dubbi ogni intervallo del passato.

Discutere di queste cose però non interessa a nessuno; si preferisce rimanere abbarbicati alla frase secondo cui i centri minoritari non hanno mai avuto alcun valore.

La verità invece è un’altra, purtroppo i contesti minoritari vegetano con la divulgazione di incertezze diffuse, per produrre un folclore labile e consentire l’ingresso nella ribalta etnica alla massa dei bisonti in pensione, senza che nessuno possa valutare il danno provocato.

Chi fa ricerca, e in tal senso intendo dire chi è in grado di produrre elementi storici , sociali, antropologici, architettonici, sino ad oggi ignorati perché non alla portata di tutti, va frenato con ogni mezzo, persino gli organi pubblici alle certezze preferiscono incentivare la produzione editoriale di inutili addenti, questo stato di cose ormai ha superato abbondantemente la linea della decenza e del ridicolo.

L’estate è appena trascorsa colma da eventi aggiunti come spezie nel calderone della ribollita: Sagre di prodotti tipici che poi così tipici non sono, racconti di favole francofone che dovrebbero avvicinare le nuove generazioni alla lingua parlata arbëreshë (?), rievocazioni di vita odierna (?), canti e balli come nelle cene delle osterie romane a base di porchetta(?) e tutta una serie di manifestazioni che hanno un solo fine, strafogare un panino e tracannarsi un bicchiere di vino.

Pretendere che queste ricorrenze siano il veicolo utile per tramandare correttamente l’eredità storica, presuppone che a coordinare gli eventi vi siano persone con adeguate conoscenze delle caratteristiche minoritarie, ma purtroppo non è cosi, giacché, la politica ha i suoi adepti che della minoranza non sono neanche parlanti.

Per individuare una risorsa positiva bisogna tornare indietro nel tempo sino alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, quando tre sapienti personaggi Sofioti seppero dare idonea lettura al discorso sugli albanesi e prendere spunto utile a realizzare la manifestazione che è divenuta riferimento di tutta l’arberia interpretata poi come avviene in queste cose in molteplici variati.

Oggi alla valorizzazione dei luoghi e degli eventi si preferisce la via dei midia, sperando di attecchire decontaminando politicamente i territori o svendendo questi contesti sotto mercato e senza alcuno strumento che ne tuteli il loro valore storico.

Eppure questi contesti appartengono agli stessi sistemi orografici Albanesi in cui gli  esuli hanno trovato la pianta in cui innestarsi e produrre lo splendido frutto arbëreshë.

La ricostruzione di un inutile museo, una biblioteca dedicata a un magistrato, una sartoria in un luogo ameno, anonimi palazzi colorati con assurde pigmentazioni, strade simili una dall’altra, eremi stravolti, stradine veicolate, fontane soppresse, toponimi cancellati, lapidi disperse, monumenti alloctoni e una miriade di errori perpetrati nel tempo e senza alcun ripensamento caratterizza un luogo che ormai non riconosce più nessuno.

Solamente il rito che ha sempre scandito le stagioni nei modelli architettonici e nei sistemi sub urbani arbëreshë, proposti in chiave moderna potrebbero essere l’opportunità per inserirsi in circuiti economico turistici rispondendo chiaramente con una veste più dignitosa e più rappresentativa di questi luoghi.

Purtroppo, le capacita imprenditoriali e organizzative in senso generale sono molto labili e limitano ogni piccolo sforzo a organizzazione e ricollocare persino la festa padronale.

 

Comments (0)

TUTTI ZITTI AD ASPETTARE

Posted on 29 agosto 2011 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – L’Economia globalizzata, il progresso economico, la società omologata e multiculturalità si ipotizza che stiano uccidendo l’identità e le tradizioni.

La realtà, quella vera è ben diversa,  incarichi a vario titolo  affidano, secondo  metodologie ben consolidate a variopinte figure utili a racottare suggestive favolette relativamente agli aspetti, storici,urbanistici, architettonici, sociali ed economici .

Il quadro che si delinea descrive un autolesionismo che non ha mai avuto precedenti e non ha vissuto una perdita di identità, forte e violenta in un intervallo così breve.

Tutti uguali cercando di essere  differenti, costumi, canti, riti e tradizioni che associati a jeans, felpe e allegorie,  specchio dei tempi attuali, induce a far scomparire la pura gritualità autoctona. Continue Reading

Comments (0)

Advertise Here
Advertise Here

NOI ARBËRESHË




ARBËRESHË E FACEBOOK




ARBËRESHË




error: Content is protected !!