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VOI LE VOCI ALTRE; IO TESORO METRICO CANTO FAVOLE E GENIO ARBËR

Posted on 29 novembre 2023 by admin

turisti-napoli-2-5NAPOLI di (Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Considerando che nella legge di tutela delle minoranze storiche, n.482 del 15 dicembre 1999, siano menzionati e applicati solo i temi dell’articolo 3 e 6, della Costituzione Italiana, non è chiaro se deliberatamente o per inesperienza dei delegati, del lungo periodo, di stipula o compilazione dirsi voglia.

Nell’aggiunge il menzionato contenuto nell’art. 9, ovvero la tutela delle cose materiali ed immateriali, oltre l’ambiente naturale, scelto dalle minoranze per insediarsi, lascia più di un dubbio sulla formazione di quanti compilarono quella legge.

Va qui precisato che nell’articolo secondo, di detta legge, si tutela assieme ad altre minoranze in Italia, correttamente specificate,  “l’Albanese” che è una ben identificata e moderna nazione europea, non si comprende come possa essere interessata.

E non certo gli antichi ambiti diffusi del meridione italiano dove si parla l’antica lingua Arbën o Arbër dirsi voglia, ovvero la regione storica diffusa con 109 paesi più Napoli capitale, dove non tutti i Katundë, sono riconosciuti tali, preferendo pero, nella legge indicare, l’Albania moderna intera.

Questo denota la singolare commissione che ne definì le linee generali, immaginando, le minoranze dell’Albania, come una mera rruha, in componimento solitario di pietre calcaree, d’oltre adriatico senza agglomerato cementizio e sabbie drenanti.

La misura terapeutica o dicta diffusi dell’idioma, poi applicato, allertando i provetti pensatori, fu il Decreto del Presidente Repubblica n. 345 art. 1 comma 3 del 2001; che innesca una fiammella di consapevolezza, degli ambiti abitati, tuttavia, in senso generico, generale o addirittura blando dei luoghi, i costumi e le consuetudini che trovarono la culla ideali nel costruito.

Allo scopo e per questo si ritiene indispensabile, urgente e non più prorogabile, esaminare cosa sia utile fare ai fini della conservazione dei centri di lingua minoritaria, per conservare, valorizzare e tutelare anche il costruito storico.

La forma di genio locale diffuso, con particolare attenzione rivolta a tutta la Regione storica Arbëreshë, e non dei pochi paesi parlanti, avendo consapevolezza del fenomeno parallelo, portato nel cuore e nella mente colmi di concetti e valori avvertiti, puntando la detta legge a fenomeni del genio, mai concertati con decenza verso argomenti del costruito.

Poi se si pronunciano discorsi a dir poco pericolosi o ingiuriosi, verso i multi disciplinati, che mirano a tutelare l’intero patrimonio, a cui si prospetta la Furcillense via, in pena decisa dai delegati di inutili e impropri istituti, è la prova evidente che i cultori economici, mirano al fare sterminio culturale di massa.

Delle oltre venti macro aree abitative sparse in tutto il meridione, ad oggi, pochi risultano essere abbandonati, in diversi si rileva la perdita di memoria, altri in via di commercializzazione e la rimanente parte, la più consistente, deturpata perché mai tutelata con dovizia e attenzione storica, dall’articolo 9 della Costituzione Italiana, perché non certificati al pari dei monumenti perché non titolati da nomi eccellenti.

Gli identici ambiti minoritari ripetuti, senza soluzione di continuità che dal dopo guerra, s’incutono gravi danni, all’ambiente naturale e del costruito storico vernacolare.

Onde evitare che si ripetano episodi con enunciazioni simili: Tranquilli vi ricostruiremo un paese Arbëreshë con la Gjitonia dentro; si apre questa diplomatica, affinché, menzogne culturali di bassa levatura, non trovino più una tana dove proliferano ratti, delle questioni culturali e dell’architettura storica dei Katundë.

Ad oggi e ben accolta o accettata l’esistenza di analisi monografiche in temi generi rivolti a questi centri, a dir poco gratuiti, sempre condotta da non titolati, e cosa più grave, da indigeni non parlanti, a questo punto è il caso di iniziare a dare risposte solide e senza labilità, ed avere particolari storico/linguistici, per leggere la sovrapposizione delle cose in relazione all’epoca e ai tempi vernacolari.

Un’indagine rivolta al costruito storico, la culla del parlato, delle consuetudini del canto e delle favole dove la regina del fuoco, verificava costantemente il calore idoneo per le cose della casa e della chiesa, supportato dalla mitigazione dell’ambito territoriale parallelo, che mira all’analisi di sovrapposizione delle forme e dei materiali.

Gli stessi con cui e su cui si presenta il fenomeno del costruito complesso o articolato, oltre all’operare sulla consistenza materica che compone case, isolati, palazzi, vichi, supportici e piazze, le reali priorità in via di analisi e definizione da un gruppo di lavoro multi tecnico e disciplinare.

La complessità del tema ha richiesto approfondimenti in campo materico, sociologico, economico e legislativo, condotti nella consapevolezza che, nonostante l’intervento sul bene considerato, richiede il contestuale operare di tecnici con competenze specifiche e, solo il possessore di una formazione conservativa può esaminarne con piena coscienza la problematica a seguito della quali sarà proposta una relazione storica dettagliata del manufatto o delle insule.

Quanto esaminato e la comparazione di numerosi centri di simili origini ha consentito di individuare valori e significati del costruito, secondo le modalità importate dalla terra di origine, trasmissione avvenuta per esclusiva forma orale, dopo aver riconosciuto le tracce di una profonda cultura vernacolare nelle orografie, i luoghi, oltre le stratificazioni degli edifici realizzati con tecniche semplici e povertà di materiali.

Dalle analisi è emerso che le tipologie, del primo periodo di insediamento degli esuli, erano una forma rudimentale di rifugio estrattivo e una volta stipulati gli atti di sottomissione, e la possibilità di lasciti alla discendenza, sono seguiti le attività additive degli elevati abitativi, come in molti casi ancora appaiono.

Allo scopo in primo luogo è stato identificato, con un approccio deduttivo, individuare l’oggetto di studio: partendo da analisi a carattere generale sui centri storici si è gradualmente ristretto il campo sul centro antico, primo componimento additivo e individuato quest’ultimo, si è gradualmente allargato il campo alla definizione dei rioni diffusi o lineari tipici di questi ambiti.

Le cose emerse in senso sociale, materiale e immateriale, comparate con i centri indigeni di eguale epoca, ancora abitati, oltre a quelli delocalizzati, per eventi naturali o indotti dall’uomo, hanno definito un campo d’indagine, da cui sono emerse numerose differenze.

Allo scopo segue l’evoluzione dei concetti di “centro antico e centro storico”, espresso dalla letteratura specialistica, dai temi in Documenti, Convenzioni e sin anche forme compilate in Raccomandazioni Congressuali.

Consapevoli dei rischi insiti, nello schema di rigidi assiomi, si è proceduto, sia per i centri minori che per quelli abbandonati, al fine di privilegiare, una definizione unica, ritenendo opportuno far emergere quelle caratteristiche che concorrono con maggiore obiettività l’identificato storico, lo stesso che continua ad essere ignorato da diverse istituzioni preposte, ma che non possono essere recepite da non addetti ai lavori, che minacciano Furcillense.

È emerso che un centro minore si sviluppa attraverso coordinate qualitative, riferibili ad ambiti economici, socio-culturali, funzionali e di Iunctura vernacolare, secondo precorsi caratteri dimensionali, e sociali come nei casi sottoposti ad analisi.

Le seconde, di più immediata lettura, sono la soglia numerica, che, come si vedrà, può risultare estremamente variabile.

L’individuazione di un “centro minore abbandonato” deve invece essere estremamente precisa per la molteplice manifestazione del fenomeno e pertanto, ispirata a parametri afferenti alla sfera percettiva, che in alcuni casi espone solo frammenti, senza forma senso e garbo.

Parallelamente all’operazione di identificazione dell’oggetto di studio si è provveduto, in coerenza al percorso deduttivo premesso, ad approfondire la conoscenza della legislazione nazionale e regionale, mettendone in luce positività e carenze, delineate in altro capitolo dal titolo “Aspetti legislativi”.

Un’attenzione particolare è stata qui riservata alla legge della Regione Campania n. 26 del 18/10/2002, in quanto essa, sebbene non pienamente pertinente, per questo oggetto di sperimentazione applicativa in alcuni centri abbandonati, come riscontrabile nella descrizione dei progetti in corso nei quattro centri campione esaminati, dove non appare mai l’involucro abitati co come primo, ma accennato in diverse forme, come di genio diffuso senza tempo.

Relativamente ai, “centri storici minori abbandonati”, è stato approfondito il tema dell’abbandono, nei suoi caratteri generali, non tralasciando valutazioni di tipo economico e sociologico inerenti alla possibile rinascita dei luoghi, nella consapevolezza, di un non proprio progetto.

Ritenuto che l’operazione di restauro non è da sola in grado di assicurarne la piena riuscita, per questo essa deve essere inserita in una strategia complessa e coordinata, possibilmente concordata per essere comprensoriale e continuativa nel tempo e, non mera parentesi di superfetazioni aggiunte per leggi e trame di capitoli economici.

La complessità del tema ha richiesto, per una più ampia definizione, l’analisi delle tipologie abbandonate, le cause e le reazioni, in conformità della poca dedizione allo spopolamento, operando confronti metodologici e procedurali tra realtà regionali, nazionali ed internazionali.

Sulla base di valutazioni teoriche interessanti i processi di nascita, trasformazione e morte di un centro urbano, si è proceduto a selezionare e studiare alcuni casi di rivitalizzazione attuati nel contesto internazionale.

La lettura delle connotazioni positive e delle ricadute negative riscontrate in queste esperienze è risultata utile per delineare possibili strategie operative di recupero, unitamente ad alcune riflessioni suscitate dalla complessa realtà e dal fascino

dell’abbandono in operatori di differenti settori. Gli aspetti geografici, sociologici, filosofici, economici, urbanistici, geologici ed ambientali risultano di fatto complementari a quelli architettonici e restaurativi. Pertanto si è ritenuto opportuno non trascurare il colloquio interdisciplinare nella conduzione del cammino percorso, indirizzato al perseguimento di un effettivo ed efficace recupero socio-culturale dei centri abbandonati, da attuare con gli strumenti del restauro conservativo.

Queste premesse hanno guidato lo studio del caso campano, argomento centrale del lavoro, illustrato nel quarto capitolo “I centri storici minori abbandonati della Campania”.

Il confronto con una precisa realtà territoriale ha consentito la verifica della varietà tipologica con cui si manifesta il fenomeno indagato, facendo emergere così paralleli di lume della presenza di tanti piccoli nuclei caratterizzati da rilevante ricchezza storica, artistica, architettonica, ambientale, urbanistica e culturale.

Per il censimento dei centri ci si è avvalsi nuovamente di una metodologia deduttiva, esplicitata attraverso progressivi restringimenti del campo di indagine, operati con l’ausilio di fonti statistiche, bibliografiche e cartografiche e facendo ricorso ad interviste telefoniche indirizzate ai responsabili degli uffici tecnici; tutte le informazioni sono state successivamente verificate nel corso di numerosi sopralluoghi.

I trenta nuclei individuati, localizzati anche nelle province di Napoli Capitale, Caserta, Benevento, Avellino e Salerno, sono stati classificati in categorie di studio derivate dai caratteri eterogenei riscontrati e, tutti mirano non solo ad esplorare e mettere in dialettico confronto le singole realtà insediative ma anche ad agevolare il controllo dei risultati sia in fase di studio che di presentazione finale della ricerca.

Le caratteristiche di ciascun nucleo sono state brevemente illustrate in schede monografiche nelle quali si è preso in esame l’origine del toponimo, le caratteristiche storiche, geografiche e socio-economiche, gli assetti tipologici nel loro storico determinarsi, le modalità ed i tempi di abbandono, lo stato di persistenza dell’abitato e, dove sono stati predisposti, progetti di recupero, in atto o in corso di elaborazione.

Nella presentazione dei casi di studio, oltre a descrivere le caratteristiche orografiche, paesaggistiche ed urbanistiche dell’abitato, una particolare attenzione è stata indirizzata ai materiali ed alle tecniche impiegate, alle vicende costruttive, alle opere di consolidamento ed allo stato di degrado in cui attualmente versano.

Tra i nuclei censiti sono stati scelti per un’analisi più approfondita i comuni di Santa Sofia D’Epiro e la frazione di Pedalati (CS), Lungro (CS), Cavallerizzo Frazione di Cerzeto (CS) San Demetrio Corone e la frazione Macchia (CS), Civita (CS), Falconara Albanese (CS), San Benedetto Ullano e la frazione Marri (CS), Cerzeto e le sue frazioni(CS), Caraffa di Bruzzano (RC) Caraffa di Catanzaro (CZ) San Nicola dell’Alto (KR), Greci (AV), Ginestra degli Schiavoni (BN), Casalvecchio di Puglia (FG), San Giuseppe (TA), Barile (PZ), Maschito (PZ), Ginestra (PZ), Brindisi Campagna (PZ), Villa Badessa (PG), Campomarino (CB), Ururi (CB), Piana degli Albanesi (PA) e Napoli , in quanto, centri interessati da tipologie simili sia in senso architettonico che di organizzazione urbana tipiche del parallelismo territoriale del mediterraneo storico.

I centri non rappresentano un campione casuale in quanto confermano le tradizioni, nelle diverse macro are regionali di Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Lucania, Calabria e Sicilia, dove è stata approfondita l’evoluzione storico-urbanistica degli insediamenti, analizzando più dettagliatamente lo stato dell’abitare senza murazioni in sicurezza dell’Iunctura.

Va in oltre rilevato che un latente abbandono diffuso senza soluzione di continuità, è in atto dagli anni sessanta del secolo scorso, per questo, il futuro di questi centri non focalizza nulla di positivo in forme di merito alla tutela con le istanze culturali del restauro conservativo.

Le vicende degli alberghi diffusi o dell’ospitalità alberghiera privata in questo momento produce danni irreversibile, un assalto di cavallette impazzite invade i nostri centri antichi e senza tregua,, una forma di accoglienza paragonata a che sino a ieri non aveva letti patti e forchette per mantenere i pochi familiari, oggi invita frotte di curiosi, che terminano con l’imprimere e autografa cose della storia, oltre a portare in pegno intonaci, sabbia e pietre.

In questo discorso si mira a tracciare almeno le linee guida fondamenta della conservazione della parte antica del costruito, con il bandire la libera accoglienza se non negli alberghi, avvalendosi anche del contributo di autorevoli docenti Urbanisti, Storici, Geologi e Antropologi.

L’obbiettivo mira a realizzare progetti, volti alla conservazione del genio locale nel corso dei secoli, avendo come regola prioritaria l’inscindibile legame dell’architetture e la natura, in tutto, il territorio, con i suoi abitanti e con le loro tradizioni culturali storicizzate rivalutate per essere gradualmente e con parsimonia esposte.

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