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USANO COME LAVAGNE PER SCARABOCCHIARE LE CORTINE EDILIZIE DEI CENTRI ANTICHI E DICONO SIA CULTURA (Quando nella Gjitonia si esagerava con le cose e i giochi, dietro i fiori di una finestra si udiva dire: Ezi e bëni porcaritë ka Gjitonia juei, ndësè e kini, gnë mosë ezni ndë pistë e digjiani)

Posted on 06 aprile 2023 by admin

Colore

NAPOLI (Atanasio Pizzi Basile) – Gli istituti e le istituzioni preposte alla salvaguardia della regione storica, perché poco attente alla conoscenza utile per le minimali cose da valorizzare, maliziosamente, hanno taciuto dando valore con men­daci ed ingrate osservazioni, di alcuni stranieri non parlanti, non potendo sfug­gire dalle nebbie, le miserie, e le turbolenze delle loro contrade, non hanno avuto, per questo, modi di trovare altrove agio, sanità e quiete, sotto questo amenissimo clima proposto con la pro­tezione delle maliziose regole, nate per valorizzare le cose migliori che avrebbero dovuto onorarci con tutta l’umanità.

Purtroppo così non avviene, perché siccome i preposti, furono scelti tutti di piccola statura, una volta saliti in cattedra hanno scambiato il loro ruolo immaginandolo campanile.

Purtroppo così non avviene, perché siccome i preposti, furono scelti tutti di piccola statura, una volta saliti in cattedra hanno scambiato il loro ruolo immaginandolo campanile.

A rivendicare dunque il decoro della nostra ingiustamente malmenata patria, rendeva necessario un sito come Scesci i Passionatit che in  forma di manuale, ne met­tesse con chiara  parsimonia lo stato fisico e morale di ogni cosa e figura, in modo che anche uno svagato lettore che vo­glia solo deliziarsi di materiali, curiosità e avvenimenti, sia co­stretto suo malgrado, a conoscere la parte morale, e trovi  nello stesso tempo quelle notizie che possano avere un posto sicuro, rendendo facile l’acquisire di tutte le comodità dilettevoli della storia e le cose Arbër.

Tale scopo si vuole giunge col presente lavoro e siate voi tutti giudici, o pubblico imparziale.

Se si esamina la storia degli interventi urbanistici nei “Centri Antichi IN Regione Storica”, si ha la misura di come in queste latitudini, le basi del restauro siano stati argomento mai approdato, così come l’analisi delle “tipologie edilizie” e ancor meno le direttive dei piani del colore, tutti indispensabili, per difendere questi ambiti irripetibili della storia del Mediterraneo.

Vero è che ha preso scena l’interesse del colore, non per valorizzare ripristinando lo stato storico dei fondamentali identificativi per valorizzare li luogo, ma si persegue il mero raffigurato, oltremodo, in contrasto con le leggi del buon senso, ignoto sin anche ai preposti d’ambito.

È palese constatare che nell’immagine comune, gli edifici del centro antico devono rinnovarsi, grave diventa non tener conto della radicata tradizione costruttiva e formale, che in passato ha caratterizzato l’ambiente e lo scenario urbano.

II gusto si evolve ma, soprattutto, mutano i processi produttivi in edilizia, mirando sempre più alla riduzione dei tempi di lavorazioni c dci costi, ormai uniformati ogni cosa e soprattutto luogo.

Tale esigenza va in contrasto con l’istanza di conservazione dell’immagine tradizionale e consolidata locale, di un ben identificato centro antico e, come ormai, diventata consuetudine, tendere a semplificare ulteriormente il linguaggio storico delle facciate, trasfigurando completamente il volto del costruito.

Ad esempio, in pochi anni molti edifici ottocenteschi riccamente decorati e colorati con tre differenti tinte di coronamento, allo scopo di esaltarne i valori plastici, sono stati oggetto di pittura, come gli stessi balconi e finestre, concepite per l’affaccio sulla strada e l’esposizione all’aperto di piante ornamentali, sono stati manomessi perdendo ogni valore di filtro tra l’interno dell’abitazione privata e lo spazio pubblico.

Molti altri esempi di alterazione delle caratteristiche architettoniche e decorative delle facciate potrebbero essere citati, ma è sotto lo sguardo di tutti la metamorfosi esteriore del centro abitato a causa di iniziative molto spesso di carattere individuale,

Tuttavia, addentrandoci nel nocciolo della questione e osservando il clima culturale odierno, ci si rende conto, che questo tema non ha mai raggiunto la maturità teorico-disciplinare, che potesse, dopo tante esperienze negative di varia natura, dar luogo almeno un barlume di ragione utile a sollecitare le oscure menti preposte, che preferiscono, prospettive diseducative di blasfemia se non addirittura mussulmana credenza.

La realtà dei fatti resta stesa alla luce del sole, in prospettiva storta, con le inopportune esibizioni di “non arte”; violenza gratuita verso, gli inanimati elevati, in altre parole gli inermi e statici paramenti pronti ad accogliere, o meglio subire questi messaggi a dir poco inutili.

Infatti sono gli stessi cittadini e proprietari utenti, a cui vanno aggiunti i turisti della breve sosta, che restano confusi alla vista dei concetti raffigurati di finitura, senza testa, corpo, ma dell’apparire di una coda che stridula o meglio raglia arte in strada quando è troppo tardi per tornare a casa.

Ancora oggi, infatti, la redazione di un Piano del Colore, a queste latitudini apparentemente mediterranee è un argomento ignoto, specie per gli innumerevoli dissacratori di pareti, che qui corrono scellerati, poi se il consenso arriva con il mutismo è anche degli uffici preposti, spinti dal comune disinteresse verso la tutela della storia, l’argomento assume le sembianze di emergenza sociale, a cui porre rimedio e rispondere con energico disappunto.

Ciò che ad oggi sfugge è il dato che l’abuso artistico cosi realizzato, sia dal punto di vista burocratico per le prassi edilizie private violate, potrebbe diventare un balzello civile e penale non irrilevante.

Se a questo sommiamo il dato inconfutabile che ostinandosi a compromettere superfici di muratura e imbrattare manufatti lignei, come infissi, porte finestre e lucernai, difficilmente le attività di recupero o restauro moderno, poco potranno fare se non compromettere ancora di più, con il pigmento anomalo sparso sulle superfici lignee e gli elevati storici del costruito.

Ma non è nemmeno raro imbattersi in atteggiamenti opposti, laddove il cittadino avverte che qualcosa non va, per questo riassume il disagio con una sentenza sbrigativa, rivolta a questo o quell’imbrattamento, dicendo per esempio che “è come un pugno in un occhio”, ma non basta, come sono inutili azioni di ribellione popolare, come parole indirizzate al vento che porta via, specie se rivolti alle istituzioni che nel contempo immaginano cose, di lumi d’ignoto a venire.

La radice di colore dei centri storici del meridione e specie dei paesi elevati dal XIII secolo, nasce dai rudimentali elevati, di primo insediamento, per questo, fare un’analisi specifica di luogo ed elementi naturali tipici, fornisce un quadro d’insieme pittorico, secondo il quale l’esigenza primaria degli abitanti di queste colline fu di mimetizzarsi, il più possibile, realizzando parallelismi cromatici con l’ambiente naturale e, per lo scopo assunse il ruolo di murazione ideale prima, per quanti trovarono luogo in queste colline boschive, agli albori del Età Moderna.

Paesi che si affacciano con discrezione sulla valle del Crati, offrendo gradevoli prospettive, attraverso le quali si poteva assistere al miracolo dell’apparizione notturna e della sparizione diurna.

Montuosità che per la forma dei suoi antichi canaloni, assumeva le sembianze di elefanti mastodontici, che voltavano le spalle al Crati per andare sulle rive del Tirreno.

Lo stesso fenomeno si verificava nel declivio della preSila Greca, un sistema di paesi o meglio Katundë, disposti a quote ragguardevoli e sicure, che per incanto sparivano alla visione diurna e apparivano con le fioche e tremolanti luci rossastre al calar del sole.

Oggi tutto questo non esiste più e se si va per panorami tra le colline a destra o a sinistra del fiume Crati, si possono individuare e riconoscere paesi ad oltre venti chilometri, a vista d’occhio, e pure senza occhiali, per le inopportune pigmentazioni, per non aprire pena verso le inadatte coperture.

Le pigmentazioni del nuovo costruito, per così dire, di radice pompeiana o addirittura a impronta d’arlecchino, priva di senso e di colore, va oltre i limiti della riservata decenza, che nel secolo scorso era ancora cultura, anzi oserei dire, un modello di convivenza e rispetto dell’ambiente naturale.

Tutto ciò che un tempo rappresentava la fioritura naturale di un ben identificato costruito, nel corso delle stagioni, nei Paesi, Katundë, o Frazione ha perso ogni sia connotazione per le finalità di convivenza ambientali e naturali.

Il genio degli abitanti che vivevano questi luoghi, ha ispirato sin anche il sancito dell’articolo nove della Costituzione Italiana, sono stati proprio questi ambiti ad ispirare chi dispose le basi e colse i germogli indispensabili a questo fondamentale pezzo della Costituzione del bel paese Italia.

Il colore dei numerosi centri antichi detti minori, è un esperimento naturale, che nasce dalle esigenze degli abitanti, sin dalla notte di tempi.

A ben vedere, mentre chi si insediava nelle isole o nella terra ferma a ridosso delle vie del mare, rendeva visibili il luogo abitativo, con colori forti ed appariscenti, una sorta di faro diurno per tornare a casa.

Diversamente da quanti si insediavano tra le colline e costruivano le case, cercando un compromesso tra gli elevati composti di elementi naturali locali di pigmentazione, realizzando una sorta di parallelo con lo stato agreste di fioritura d’aree.

Questo dà ragione ai numerosi elevati di pietra locale alettate e rifinite con impasto di calce, sabia torrentizia calcarea e argilla, utilizzata poi anche per dare continuità e coloritura muraria all’esterno.

Cosi come i coppi di copertura a doppia regola, realizzate con argille rossastre locali e poi infornate con scarse temperature, il fenomeno serviva a far germogliare in estate particolari muschi, che germogliavano il parallelismo cromatici della lamia di displuvio, con il contesto arboreo circostante.

Questo spiega anche il fenomeno di poca visibilità a distanza dei centri abitati di giorno e poi di notte, con le luminarie, apparire come miraggio collinare.

Per questo sostituire tetti con inadatti apparati moderno lamellari, dipingere momenti di vita e corredi, sulle superfici dei riservati elevati di luogo, diventa un esperimento senza senso e rispetto della storica consuetudine locale, ma quello che più duole si interrompe una volontà antica, la stessa che oggi potrebbero essere il vanto identificativo che magari, “i Borghi medioevali non hanno e ne avranno mai per costituzione formale”.

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Ma questa appena accennata è un’altra storia, ancor più amara, che tratta di Case favellanti, Minareti, Camini, Gjitonia, Scesci, o suonatori la Baglama seduti sulle resta delle colonne greche, uno scenario anomalo e ben lontano “thè mesi” materno, preferito dalle giovani leve al pitturarsi di Arberia.

 

 

P.S. non si dice Qendër, ma Mesë o Mesj chi non lo sa, si informi prima di scriverlo e mettersi al centro della tavola, sopra il ricamato a uncinetto, che non è un palco e ne una cattedra, ma solo un componimento casalingo per quando arrivano ospiti a ubriacarsi di vino.

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