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L’OLIO D’OLIVA PREFERITO ALLA SETA SECONDO LE POLITICHE DELXVIII SEOLO

Posted on 26 giugno 2020 by admin

IL corpo umanoNAPOLI (di Atanasio Arch. Pizzi Basile) – Nel settecento il sud dell’Italia e in particolare la Calabria viveva un momento storico non dissimile da quello attuale, genericamente diffuso in tutta la nazione italiana.

La Calabria, nel settecento, era considerata il sud depresso, del Regno di Napoli, rivedendo scientemente gli aspetti, sociali ed economici odierni, si può sintetizzare nel presente come l’Italia intera, è verso l’Europa unita del nord.

Le difficoltà del mercato e il progressivo indebitamento, per opera del fisco, nel settecento, rese i poli produttivi economiche labili, e fino a quando fu più possibile sostenerli, nonostante non mancarono riformatori, i quali constatato la crisi della seta di Calabria, l’eccellenza di quel tempo, non ebbero sufficiente istinto imprenditoriale per  introdurre tecnologie in grado di rinnovare l’antica filiera seticola e della filatura in generale.

Nonostante, la Calabria dal Trecento, era stata la patria del telaio senza mai scendere dal piedistallo, rimase abbarbicata a metodiche di lavorazione non in grado di confrontarsi con i nuovi mercati in crescita da altre latitudini già dal XV secolo.

Anche quando la domanda continuava imperterrita a scendere, perché pretendeva standard più accessibili, come ciò che era prodotto fuori dalla Calabria, i regnati partenopei, immaginavano che l’attesa avrebbe fato la differenza e quanto prima avrebbero partecipato da protagonisti alle richieste del nuovo mercato.

La crisi strutturale specie della seta calabrese divenne irreversibile,giacché, dalle misure intraprese dai grandi proprietari di gelseti, che seguivano una progressiva riconversione più remunerativa verso la granicoltura e soprattutto nell’olivicoltura, mentre i possessori di piccoli giardini con gelsi proseguirono la produzione asettica che non poteva rispondere adeguatamente alla richiesta di un mercato in piena espansione, sia in qualità che in quantità.

Valga di esempio il caso di un grande produttore di seta, il quale, investì  per acquistare  un considerevole numero di unità fondiarie nel basso Ionio da destinare a gelseto, questi visto trascorsi anni senza l’intervento dello stato, che in qualche modo incentivasse il settore, preferì predisporre le colture a fini cerealicoli estensivi e dell’olivo.

Quando finalmente l’investitore calabrese aveva ormai terminato il processo conversione, il governo centrale  spedì macchinari per la produzione di seta, mettendole a disposizione gratuita  degli industriali del luogo, ma purtroppo nessuno ne volle trarre profitto, perché ormai il processo seguiva la via dell’olio.

Ormai, l’antichissima produzione della seta di Calabria era scomparsa per sempre, dismesse le grandi estensioni di gelseti elemento fondamentale della filiera, il governo centrale era rimasto immobile senza operare attività economiche ce ne potessero cambiare la tendenza, che certamente non sarebbe avvenuta nel breve periodo.

La riconversione fu imponente e soprattutto a favore dei saponifici francesi e delle industrie meccaniche inglesi, dove la richiesta preferiva l’olio di bassa qualità calabrese.

Le esigenze di riconversione, andarono notevolmente in questa direzione, i gelseti erano dappertutto abbattuti con l’accetta, l’impianto di oliveti non conosceva sosta e ciò avveniva nelle aree più produttive della Calabria.

L’impianto olivicolo fu avviato, senza grandi investimenti, per cui mancarono, da subito la raccolta razionale delle olive dall’albe­ro, differenziandoli con quelle raccolte a terra, oltre mancava o era completamente assente l’indispensabile sistematica potatura, queste, tutte attività che avrebbero preteso abbondanza di manodopera, allungamento dei tempi di produzione e capitali più cospicui da investire nella nuova attività.

I proprietari del tempo, non fecero altro che sostituire il gelso, e impiantare l’oliveto dovunque era possibile.

La conseguenza fu l’enorme accrescimento della produzione globale dell’olio nella Calabria, destinata a superare spesso, l’antica produzione puglie­se, con uno smercio che favoriva le attività di taluni porti tirrenici, i quali non erano mai stati al centro di tale vivacità.

Tuttavia va rilevato che la qualità dell’olio calabrese non riuscì a diventare pari alla quantità di produzione, nonostante fosse diventato un vero fiume che andava a sostenere, la produttività, dei saponi francesi e per ironia della sorte come lubrificante delle macchine dell’industria inglese, proprio in campo tessile.

Così, le macchine inglesi per produrre tessuti marciavano grazie all’olio di quella Calabria che, per produrre quell’olio, aveva rinunciato alla seta e alla tessitura in senso generale.

La conferma che la Calabria fosse diventata il fornitore ufficiale, sin dai suoi primi passi dell’industria inglese, lo riscontra ancora oggi nella misurazione del litro tipico dei frantoi, infatti, l’unità di misura ”il litro oleario” corrisponde a quattro “pinte britanniche” ovvero poco più di 2 litri dell’attuale misura commerciale.

Abbandonata i gelsi e la sericol­tura per la scarsissima irrorazione di capitali e di lavoro specializzato, fece si che l’olivicolture divenne ben presto la risorsa economica che impegnava più famiglie e più nuclei produttivi, mantenuto comunque un livello assai basso rispetto a come era stato per la seta.

Il cambiamento segnava anche la fine di un primato millenario, destinato a ripercuotersi in enormi perdite di capitali che non sarebbero stati più recuperati.

La Calabria, non ha storicamente un’esatta localizzazione sul territorio regionale di esemplari particolarmente estensivi, di uliveti, in quanto, da millenni è presente l’oleaster (in arbereshe liosterà) una sorta di cespuglio spontaneo di olivo, ancora diffusamente presente in molte zone e da cui si estraeva un rudimentale olio.

La piantumazione e la cura della pianta, si deve sicuramente attribuire ai monaci Basiliani, che affinarono questa attività, ed e grazie al monachesimo latino, benedettino, cistercense, certosino, florense, e, infine francescano, che questa attività ha avuto una tradizione che oggi caratterizza con eccellenze il territorio.

L’olivo è segnalato nel Cosentino e sulle coste del reggino dall’epoca sveva; si hanno testimonianze, per il territorio di  Bisignano e Luzzi nella valle del Crati già dal XIII secolo.

Lo testimoniano, le entrate dei feudi cosentini dei Principi di Bisignano tra il 1578 e il 1580, che segna l’inizio della maggiore diffusione della coltura dell’olivo nella provincia e nella regione, causa l’esenzione di tasse,  cui godrà la l’attività fino ai primi decenni del Seicento.

In questo periodo nella Calabria citeriore ebbero un ruolo fondamentale, i profughi arbanon, questi per la loro grande esperienza nel rassodare e porre a dimora ogni genere di coltura da un lato si resero protagonisti nel mantenere i gelseti ancora produttivi e dall’altra rassodare e riconoscere quali fossero i terreni più idonei per vite, ulivo e cereali.

Gli arbëreshë dopo aver rassodato il terreno lo osservavano, lo tastavano, misuravano con le mani la consistenza e poi lo odoravano e ne sentivano il sapore masticandolo.

Una consuetudine antichissima che usava sia per le attività agricole ma anche per quelle d’insediamento per la realizzazione delle “dimore sia in forma estrattiva sia in quella compositiva”.

Oggi, dopo alcuni secoli di lenta ma progressiva espansione dell’olivicoltura, essa è presente su buona parte del territorio della provincia, escluse le superfici occupate dalla catena appenninica e dall’altopiano della Sila ad altitudini in media superiori ai 600 m.

Le maggiori concentrazioni si registrano nella sibaritide, sulle colline ioniche presilane, nella fascia prepolino e nella media valle del fiume Crati.

Resta un dato fondamentale, ovvero, per non aver difeso le attività che rendevano la Calabria l’eccellenza nella produzione della gelsi-sericol­tura, non aver intuito dare forza economica finalizzata a rinnovare la filiera di questa eccellenza, si è finiti per oliare gli ingranaggi delle industri britannica che aveva sottratto il primato.

Oggi che la seta proviene da altre latitudini, le stesse capaci di trarre profitto da quell’attività per la quale ci siamo dimostrati incapaci di saper amministrare, valorizzandola rimane l’olio, che a differenza di quelle epoche si raccoglie dall’albero e si estrae a freddo.

La particolare metodica sommata alle caratteristiche territoriali e climatiche della provincia citeriore e in particolare la media valle del Crati; culla naturale mediterranea, la stessa che consente di caratterizzare gli elementi tipici della “nota dieta mediterranea” riconosciuto diffusamente nel trittico alimentare: ulivo, vite e cereali.

Un equilibrio unico tra ambiente naturale e produttivo, che consente al territorio di auto rigenerarsi, mantenendo le produzioni in equilibrio perpetuo tra di loro.

Sicuramente la perdita del primato della seta è stata un pessimo affare, per la classe dirigente del settecento, ma l’equilibrio naturale che nel contempo gli operosi calabresi e le minoranze storiche sono riuscite a porre in  essere sono irripetibili.

Oggi la produzione dell’olio ha raggiunto eccellenze che nessuno avrebbe mai immaginato, considerando che si è iniziato con il fornire olio per sapone e ingranaggi e oggi l’olio calabresi sono esportati in tutto il mondo con valori di rilievo e raccontano di un olio ambito in tutte le tavole che contano perché in esso è racchiuso il valore unico di:

Colore: verde con venature oro e riflessi color smeraldo;

Odore: fruttato leggero e fresco, con piacevoli sentori di frutta, ortaggi, e cuore di carciofo;

Sapore: sapido, lievemente dolce, con gradevole percezione amara, discretamente pieno e persistente;

Sensazioni: aspettiamo le vostre in Regione Storica Arbëreshë, perché graditi ospiti, di una consuetudine antica.

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