Categorized | In Evidenza, Racconti, Storia

L’ACQUA CHE SCORREVA NEI CENTRI STORICI HA SUGGERITO DOVE FARE SHËPI, RRUHA E GJITONI (chi studia tutela confronta conosce e valorizza cosa tramandare)

Posted on 26 maggio 2024 by admin

Sila GrecaNAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Terra di Bisignano (oggi, Santa Sofia d’Epiro) in origine fu un casale di frontiera, occhieggiante alle vele che approdavano nei naturali abbracci calabresi, della sibaritide.

Il casale nasce nell’entroterra, che fu mira, come tutta la corona di colline che perimetra la valle del Crati, dalla soldataglia longobarda, scossa dai passi cadenzati delle milizie bizantine, punteggiata dagli agrari delle grange francofone, mira dei desideri normanni.

Tutti pronti a disporre del laborioso cuneo produttivo, che da Bisignano conduce sino al promontorio denominato, Sana Vote di Castello.

Un ter­ritorio fertilissimo, circoscritto dai laboriosi torrenti del Duca e del Galatrella, che con le proprie gemme d’acque sostenevano cunei agrari, da cui fiorivano alimenti genuini dalla croce di bosco verso valle e, poi dai porti dello Jonio, lungo il Mediterraneo davano agio alimentare in ogni dove.

Confermato sono le vicende dalla storia che dal VII secolo, poneva il territorio dell’odierna Italia, termine e non più continuo, di pertinenza geo­politica romana, dove, il confine a sud era segnato lungo il corso dei fiumi Crati e Savuto, che dalle coste del Tirre­no di Amantea conducevano sino a quelle Joniche dalla Sibaritide.

Per la difesa di questi lime, nato, dopo la dismissione della diocesi di Turio, trovò dimora una famiglia indigena: i Berlingieri, che per la via e le convenienze Vernacolari offerte dall’acqua, edificarono l’originario nucleo denominato Karkarellët.   

Il tutto nella connessione delle acque limpide e genuine di Morrjitj e le ferrose che scorrevano nel Vallone del Duca, un affluente del Galatrella

In questa storica connessione di Acque buone trovarono dimora, numerosi distaccamenti di soldati Longobardi nel versante nord, a sud si contrapponevano i Bizantini, li lungo la strada di costa che da Rossano conduceva verso Bisignano e Cosenza.

I soldati preposti al controllo, in sicurezza, si disponevano lungo il camminamento storico ispezionando i greti degli affluenti storici del Crati verso la collina.

L’acqua è noto che scorre e segue il tempo, ma il tempo non si ferma, mentre l’acqua si arresta, cambia itinerario, fa solchi, segna i luoghi e, l’umo che osservano dalle prospettive ancora vuote, prende spunto dai quelle vie scalfite dallo scorrere dell’acqua, e costruisce seguendo il tempo che scorre senza sosta. 

A tale scopo si vuole dare memoria dei Katundë Arbëreşë, i luoghi dove le vie, i vicoli sono onomastica viva e riverberano senza pausa il tempo che fa scorrere l’acqua: Lavinë, Parerë, Trapesë, Stangò, Vallj, Shëşë, Cangellë, Sentjnë, Morrj hìutë, Kopëshët, ecc., ecc., ecc.

Quindi a Ovest, nella connessione dei due torrenti Nasce il primo nucleo ai tempi della nascente diocesi di Bisignano e, a ovest nel tempo dei longobardi fermati dai Bizantini, è sempre la salubrità delle acque e il loro operato a dare un nuovo spunto abitativo.

Valga, il Lavinaio, refluo torrentizio, che scorreva da monte a valle, in quello che poi sarebbe divenuto il centro antico, del casale Terra di Sofia, dove lo scorrere naturale lascia sabbia candida, dando così avvio all’assemblare dell’edificato originario primo di piazze vichi, case e la chiesa.

Nascono così numerosi Katundë arbëreşë, in tutto, il risultato di eventi che uniscono uomo, ambiente naturale; ovvero, acqua che si ferma e segna ogni cosa per il tempo che scorre.

Tutto questo a iniziare dal XIV secolo secondo i patti dell’Ordine del Drago che vide giungere nelle rive dello jonio i laboriosi Arbëreşë, con la sola aspettativa di poter vivere queste terre parallele simili o equipollenti alla loro terra natia.

Dove lo scorrere dell’acqua da senso e scandisce il tempo che non ha mai soste e, tutto si trasforma in risorsa, come la sabbia e le sue infinite grammature, in tutto suggerimenti, dalla natura e del tempo per l’uomo.

Prova di questo è l’edificato del XI secolo di radice cistercense, ripreso dagli albanofoni a seguito della peste del 1638, viene eretto quale chiesa padronale, modificati il corso di questa risorsa naturale, in favore di una credenza Alessandrina leggendaria che in altro capitolo sveleremo.

Poi le strategie locali indirizzarono l’acqua, che qui si fermava a depositare sabbia, a dispetto del tempo e, venne fata scorrere, verso altri rioni, che videro innalzate le case dai Baffa, Becci, Rizzuti e sin anche il nuovo monte del grano ad opera in risorsa dei Masci.

Per chiarezza di intenti, qui si useranno toponimi e identificativi, del Katundë di Terra di Sofia, della diocesi di Bisognato, ma per tutti gli altri centri abitati di simile periodo, cambiando i toponimi o l’identificativo famigliare, mentre la trama unifica per tutte il protocollo di sviluppo di centro antico che si va formando in origine, secondo le epoche, in tutto il tempo.

È grazie allo scorrere dell’operosa e instancabile acqua, era rifiniva la sabbia, in quelle aree di iunctura urbana, dove a forza di rotolare, si depositava finemente in diverse grammature, prima che l’acqua prendesse la via dei torrenti per giungere a mare. 

In tutto, acque che scendono da monte, segnando i lavinai, poi divenuti progressivamente cunei stradali, vichi e in alcuni casi ripide scalinate, determinando per questo, il progetto del centro antico, come oggi appare, eseguito dagli uomini nello scorrere del tempo.

Sicuramente il costruito è da attribuire all’opera dell’uomo, ma la traccia dei percorsi, cunei espressione dell’erosione dell’acqua, conducono nei rioni in crescita, divenute, Vie, Vichi o luogo di Piazze, suggeriti dall’acqua esposta al sole e alla luna senza sosta.

Come la storia, il tempo alimenta e talvolta tace o tiene velate cose; l’acqua rimane in vigile attesa per avere forza per incunearsi, scorreva o cadere per segnare luoghi e storia.

L’acqua basta lasciarla libera ed essa prima o poi trova una via per scorrere, e comporre, quei percorsi avvolte comodi, che l’uomo pratica e vive, perché espressione di trame naturali, che l’ambiente concede e, l’acqua mai le abbandona.

Il centro antico qui preso in esame, ma potrebbe esse uno degli infiniti di radice collinare si sviluppa a ridosso di tre percorsi storici, perché per natura erosiva l’acqua trascina sabbia, sminuendo la pietra e quindi i detriti per diversi secoli macinati, tutti poi giungevano nel parerò naturale dove le acque prima di precipitare nel torrente Galatrella e poi Cangellë, lasciavano in questo naturale “cuneo campanaro”, la candida sabbia color oro, per edificare;

  • Il Primo come già accennato è il più naturale e segue la odierna via detta Şigjona, germogliando nella corona, che cinge il paese in tempo denominata Kiubicë (verso la via di cresta), per poi insinuarsi nel paese dove furono erette, le stalle e il palazzo Bugliari di sopra, sempre più vorticosamente affianca le case dei che furono prima dei Baffa e in epoca francese dei Toscano, scalfisce il posto di osservazione ricordato come degli eroi da Bregù, e dopo un breve pendio si distende nella odierna Piazza Sant’Attanasio, per continuare: un tempo per via Şigàtà, da dove si riversava nel più a valle torrente del Galatrella, poi a fine del XVII secolo, con l’edificazione della chiesa del Santo Patrono, dedicata a Sant’Atanasio, venne deviato verso palazzo Tallarico e, passato il lato corto di questo edificato, precipitava nel cuneo dove depositava la sabbia e,  si univano poi al corso delle acque del torrente Cancellj più a valle.
  • Il Secondo Lavinaio è una conseguente biforcazione del primo, nasce dal continuo di Palazzo Bugliari di sopra, l’esenzione prospettica dell’ingresso che guarda a nord, qui raccoglieva i reflui piovani del continuo su citato e, della strada che piegava per Bisignano, affiancato residenza dei Bugliari di sotto, si riversava nel tratto di via Epiro, per piegare su via F. Bugliari e giunta su Piazzale dei Vescovi seguiva la via di fianco al Palazzo dei Fasanella, un tempo il monte del grano, per unirsi al primo e quindi nel pareo della sabbia.
  • Il Terzo è il più interessante, in quanto da origine allo storico toponimo di Trapesa, generato dalle acque reflue e piovane delle residenze a sud ovest, o meglio a monte dell’odierno palazzo Bugliari, oggi sede del Museo e del Comune, si dipartiva per essere il Vutto del palazzo Bugliari e del palazzo degli Elmo, (il palazzotto ad impronta di masseria barcellonese); il braccio che segnava lo spazio di reflui, oggi Trapesa, tagliava la proprietà dei Bugliari per passare davanti la casa di questi in forma più limpida e controllato refluo, anche se il toponimo dà la misura dell’inesistenza purificata del lavinaio, mentre l’altro braccio serviva da refluo naturale di questo e di palazzo Elmo e dei Calvano, per poi riversarsi nello Sheshi Ka Arvomi verso il torrente Cancellj.

Il refluo di meditazione delle Acque, ovvero dove si fermava e non seguiva il tempo, prende il toponimo storico di Trapesa, Vutto della mensa Arcivescovile o, misura di cose preziose, in senso di piccole dosi, o meglio scarti alimentari della mensa arcivescovile lì, in affaccio e, certamente posta più a monte della connessione di reflui corporali che segnavano la discesa verso il torrente più a valle.

Sono questi gli elementi primari che hanno tracciato i percorsi che conservano la memoria, dei Berlingieri Bisignanesi, i Soldati Bizantini, della Grangia Cistercense e degli Albanofoni prima e degli Arbëreşë per chiudere definitivamente questo “recinto antico” che lasciava tutti liberi e, nel contempo difendeva i suoi abitanti indigeni e della diaspora, da ogni ingerenza, maturale o di genere in aguato.

Per lavare igienizzare o sanificare cose, un tempo i Katundarj si recavano nel denominato (Ronzj i Ghëròghëtë), lungo il corso dell’instancabile torrente storico, sempre fedele e presente; mentre per abbeverarsi erano le fonti, i due termini di approvvigionamento, germogliate a seguito di due depressioni, o smottamenti storici.

Gli stessi che dividevano il Katundë, e qui non edificabili, e sino alla fine degli anni sessanta, mai nessuno ebbe fiducia di elevarvi case, stalle o altro tipo di rifugio, se non orti e produrre eccellenza ortofrutticola, ricercata sin anche dalle genti che vivevano nei cunei agrari.

Note erano, Patate, Zucchine, Pomodori per insalata, Fiori di Zucca, Fagioli, Ceci, Piselli, Taccole, Cipolle e come non ricordare, l’inconfondibile basilico e l’ornamentale prezzemolo.

La novità storica per una nuova acqua, giunse nel 1935, quando venne inaugurato il “Civico Acquedotto” il quale doveva dare agio e comodità a tutto il Katundë, anche se in poco più di un decennio, questa bolla di acqua, andò sempre più ad esaurissi e, con essa si è anche accodata la storia del paese, quella che avrebbe dovuto studiare per dissetare la mente per capire, preservare, tramandare cose buone e, non povertà di memoria, questo almeno sino ad oggi.

 

Altro elemento fondamentale erano i Butti o Vutti secondo le epoche di rotacismo linguistico; cavità naturali o artificiali attigue alle abitazioni sino al Rinascimento e, servivano per lo sversamento di rifiuti e deiezioni, umane.

Per evitare la diffusione dell’orribile puzzo che si alzava da esso, si copriva il butto oli si realizzava nelle zone ventilate al fine di deviare i miasmi, evitando altresì anche che divenissero fucine di gravi infezioni si versava all’interno cenere.

Essi servivano anche come latrine per lo sversamento delle acque nere.

Erano collegate agli orti o direttamente nelle strade, dove vi erano lasciati liberi maiali che fungevano da spazzini.

Nei butti o vutti si deponeva di tutto ivi comprese le suppellettili di casa ed i corredi da cucina e vasellame pregiato nei periodi di pestilenza.

Questi a non avevano regole precise nei piccoli centri ma tutti si stabiliva che tutti dovevano essere attigui, le officine o le periferie del centro.

Per le minime lavorazioni sporche quali il risciacquo degli animali macellati e il lavaggio dei prodotti grezzi dell’artigianato tessile, furono costruite i “guaççatorium” che rappresentavano la parte più bassa delle fontane pubbliche, istituendo la carica di maestro pubblico addetto alla risoluzione del problema dello smaltimento degli scarti

E se la toponomastica non è un’opinione, catastale o bibliotecaria, la memoria va al toponimo: Ka Sanë, che ambiva a indicare un Luogo sanificato o santificato dalla Natura e per incanto ascensionale.

Comments are closed.

Advertise Here
Advertise Here

NOI ARBËRESHË




ARBËRESHË E FACEBOOK




ARBËRESHË




error: Content is protected !!