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L’ABITO DA SPOSA ARBËRESHË (Stolithë i Nusesh Arbëreshë)

Posted on 13 maggio 2021 by admin

gjakNAPOLI (di Atanasio Pizzi  Basile) –

Nota in Anteprima-

Il componimento sartoriale che porta la donna a diventare moglie, è un insieme di messaggi, bene auguranti, che la donna sposa e il marito sposo hanno come prima dote; esso diffonde il giorno delle nozze e nei tempi a seguire ogni volta, indossate o quando sono depositate negli appositi contenitori, i temi di attività condivise, per il proseguimento della specie in senso tangibile ed intangibile.

A tal fine, chi indossa quelle vesti, è opportuno che abbia consapevolezza, dei messaggi e del significato di ogni atteggiamento, postura o elemento indossato di rifinitura, che è esposta.

Agghindarsi con quelle vesti, immaginando che sia puro folclore, sminuisce il valore dell’atto, terminando per essere inopportuni, incoerenti per terminare nel seminato dell’inopportuno, specie se ad essere esposti imprudentemente tratta minori.

L’abito nuziale rappresenta un manuale rigido e chiuso, una fortezza di messaggi, composto da strati in vestizione; insieme di oggetti per confermare l’evoluzione della coppia, dopo l’atto legale e religioso di unione.

Il disciplinare è eseguito da persone adulte, quanti conoscono il senso di quegli oggetti e di quelle vesti,  sono molto cauti e informano l’indossatrice di turno, gli altri cadono in errore e quando non hanno argomenti per difendersi dal volgarmente esposto, considerano le note cquale disprezzo personale.

L’abito nuziale rappresenta un manuale di atteggiamento composto da strati di vestizione, oggetti per confermare lo l’evoluzione della coppia dopo l’atto legale e religioso di unione, eseguito da persone adulte, quanti conoscono il disciplinare sono sempre molto cauti  e informano l’indossatrice di turno, gli altri cadono in errore e quando non sanno come difendersi dal volgarmente diffuso, considerano le note come disprezzo.

Premessa-

Il tema che segue vuole dare lustro e significato al prodotto sartoriale che identifica il matrimonio arbëreshë, forma artistica, realizzata seguendo l’itinerario storico disciplinare consuetudinario, contenuto in ogni dettaglio che da forma al costume nuziale quando è indossato nelle varie fasi della vita della donna.

Si mira, in oltre, a mettere in luce il valore di ogni elemento o facente parte la vestizione, associandolo al matrimonio, espressione del sistema famiglia, portato con orgoglio dalle donne arbëreshë e per questo sintesi della loro vita , prima durante e dopo il matrimonio.

Seguendo per questo la rotta che collega consuetudini di vita quotidiana illuminate dalla luce di credenza diffusa Greco Bizantina.

Prima di dare inizio alla trattazione, è doveroso ringraziare: Caterina e Carmela da Frascineto, Lucia da Santa Sofia, Anna Maria da Vaccarizzo, Gabriella da San Benedetto Ullano, Fortuna Vicchio da Lungro, Anna Rita da Falconara, Adriana di San Demetrio, in quanto espressione contemporanea per come si indossa, si espone il costume e si esegue  la vestizione correttamente.

Va in oltre rilevato che esse hanno contribuito a esprimere pareri e sensazioni di vestizione cogliendo oggi giorno quegli attimi della vestizione di oltre due secoli or sono.

Un’occasione sprecata da un numero considerevole di addette, che ritenendo esse sufficientemente formate, hanno preferito la via fatua del sentito dire, protagoniste in forma illusoria di favole per restare al cospetto della vestizione per caso.

Questi ultimi, in specie, continuano imperterriti a vivere orfani dei principi fondamentali dell’identità arbëreshë, imbibendosi della stessa teoria malevola dei volgari, che invece di unire separano i minoritari, verso mete prive di trascorsi del componimento sartoriale.

Introduzione- 

Di sovente si racconta o si espongono i costumi arbëreshë, elencando cosa lo componga, secondo la mera sequenza in fredde, nel frattempo, colorate vesti; enunciazioni locali, ben distanti dal loro reale significato storico rispettoso del disciplinare generazionale da madre a figlia.

Il più delle volte, infatti, la consegna orale, del prezioso manuale del matrimonio, non avviene come la storia vuole, ma per sentito dire, terminando la consegna nell’esprimere pare su un’ipotetica vestizione, coronando il tutto con errori a dir poco paradossali, amalgamando addirittura arte sartoriale, con attività non proprio di radice e trama tessile.

Un’altra metodica che ormai è diventata regola certificata, consiste nel proporre il tema della vestizione nuziale,  divagando liberamente in tesi di laurea o esperimenti editoriali, i cui docenti o esperti/e di riferimento, non essendo titolati/e in tal senso, finiscono per approvare, invece di correggere, quanto portato inventato dagli improvvisati stilisti della storia.

Questi comuni atteggiamenti, producono un duplice danno verso quanto dovrebbe essere sostenuto e valorizzato del prezioso modello, arbëreshë; il primo consiste nel avere un prodotto di tutela certificato da istituti, che non posseggono alcuna capacita culturale in tale area; il secondo ancor più pericoloso, in quanto lascia variegati componimenti scritti che primo poi sarà adottato come originale, traducendo tutto in una perdita della tradizione più intima della minoranza.

In questi componimenti che poi non sono altro che riversamento malevolo di concetti senza alcuna attinenza, con il protocollo quadrangolare chiuso arbëreshë, si fa grande sfoggio nel citare l’appartenenza in forma della tipica parlata, senza avere alcuna consapevolezza del significato dell’oggetto esposto o misura, sia dal punto di vista pagano o religioso.

Questo è il motivo che ha determinato la deriva, senza precedenti, mina vagante, del significato della vestizione in sposa; le cui parti, da quando le università e l’editoria hanno ritenuto tutelare e promuovere ben distanti dai temi della ricerca, aspettando seduti nelle cattedre che gli elementi sfilassero al loro cospetto senza alcun metro di misura, ricerca storica o titolo.

Tutto ciò ha condotto l’unico elemento artistico della regine storica confondere persino il tema di cinque sensi, liberando nelle disponibilità di quanti non avevano e ne hanno olfatto, tatto, lungimiranza, gusto e orecchio.

Premessa al discorso della vestizione-

Il matrimonio rappresenta l’unione fisica, morale e legale dell’uomo (il marito) e della donna (la moglie) in completa comunità di comuni intenti e vita, al fine, di fondare “la famiglia e perpetuare la specie”.

Il termine matrimonio come genericamente lo intendiamo, non collima con gli usi delle popolazioni del passato, in cui le unioni coniugali hanno avuto forme svariatissime per innumerevoli atti complessi, sin anche riferibili alla durata del rapporto in senso di tempo e di fatti.

Pochi sono i popoli che concepiscono il vincolo coniugale come indissolubile e nella maggior parte degli altri, la separazione, sotto forma di abbandono, di ripudio, di divorzio, largamente praticati, spesso per la sola volontà del  marito; meno spesso per il deliberato proposito della donna, che generalmente persegue la meta del tetto maritale.

Dalla disposizione che mostrano i popoli a contrarli, con persone della famiglia, della parentela o della tribù; o con  persone estranee al  proprio gruppo,  i  rapporti  matrimoniali si chiamano endogamici o esogamici.

Una forma estrema di endogamia è il matrimonio tra fratello e sorella, che si è osservato in vari luoghi, sebbene  per lo più, entro l’ambito delle classi sociali più  elevate.

Fra le norme che regolano l’endogamia, non va dimenticata quella in cui il fratello può sposare la sorella, ma non la maggiore di età.

Partecipano del principio endogeno le unioni obbligatorie entro le caste o le classi, nati allo scopo di mantenere integra la purezza del sangue o delle tradizioni genealogiche. 

L’orrore del sangue, cioè dei rapporti sessuali fra consanguinei, è alla base delle unioni esogamiche, le quali sono  variamente stabilite, secondo che l’interdizione o tabù riguarda il gruppo intero o il sottogruppo. 

Presso molte genti la proibizione ha un campo più ristretto specie le popolazioni riunite in clan o le fratrie, a queste ultime, se differenti è permesso il legame coniugale. 

Questo perché le fratrie sono divise in più clan, che formano dei veri e propri aggruppamenti esogamici, la caratteristica del clan totemico, per la mitica genealogia che affratella tutti i suoi membri.

Ordinariamente, in rapporto col sistema di parentela adottato o seguito dai differenti  nuclei  etnici, secondo che la genealogia segue la linea femminile o maschile, il matrimonio è vietato nella parentela maternale ammesso in quella del padre, o viceversa.

Gli atti che nella vita popolare dei primitivi intervengono a formare o a sanzionare le unioni coniugali, possono rappresentare o il contrasto delle parti, per il possesso forzato o violento della donna; o l’accordo delle stesse, per la  cessione della  sposa.

Da qui i due principali tipi di connubio, che portano i nomi di matrimonio per ratto e per compra-vendita della donna, queste divengono il manifesto dei rapporti sociali o regime di convivenza tra popoli:

  • il primo caratterizza la vita dei nomadi sfruttatori del suolo, e cacciatori sin anche della figura femminile.
  • il secondo caratterizza la vita dei sedentari, pastori, agricoltori, per i quali la donna, diventa o costituisce un valore aggiunto, al pari di tanti altri oggetti che  rappresentano la  proprietà.

È chiaro che se questi erano i presupposti antichi nel corso delle varie epoche, i principi si sono uniformati verso altre forme più rispettose specie nei confronti della donna, ciò non toglie che nelle consuetudini non troppo lontane, dalle nostre ere, il rito che precede e segue, l’atto del matrimonio celi nelle pieghe ritualità che attingono a da questi estremi modelli di porre in essere l’atto della procreazione riconosciuta.

Se a questi brevi accenni sono allocati all’interno del percorso, evoluivo/consuetudinario arbëreshë, danno la misura e rendono più chiaro ancor la linea seguita nelle tappe del matrimonio riferibile al popolo arbanon.

Sicuramente rappresenta l’evoluzione da modello endogeno a esogeno per giungere alle ritualità di unione,espresse sino agli inizio del secolo scorso, sia in forma materiale se sia in espressioni immateriali.

Certamente avendo ben chiare tutte le ritualità che si adopera nel matrimonio arbëreshë, si possono intercettare, quanto sia il valore dello sposo e della sposa rispetto e la parità degli sposi e cosa è rimasto ancora presente come atteggiamento in forma di emulazione rituale.

Di tutti i piccoli segni subliminali, valga il detto che: lo sposo deve non appartenere alla medesima gjitonia, “il luogo di ricerca della radice familiare, attraverso l’esame sensoriale dei cinque sensi”.

Il ratto figurato o simbolico, in età moderna, si risolve in una serie di formalità che le parti compiono dopo l’intesa o dopo la stipulazione dei patti, per la consegna della sposa .

Tali formalità possono assumere, talvolta, la forma di veri e propri giochi, secondo l’usanza esogamica, che porta il  fidanzato dopo  aver condotto a termine  le trattative con la famiglia  della donna, si  reca nel giorno  stabilito a rilevare la sposa, seguito  dai parenti e dagli amici, ai quali è affidato il compito di trarre in inganno la fanciulla e di per condurla  nell’abitazione maritale. 

La compravendita e il ratto della moglie vanno insieme, il contratto segue il ratto, come il baratto dopo il furto.

E che la compravendita sia la forma più recente di matrimonio si rileva dal fatto che il matrimonio si concretizza attraverso un ben noto protocollo, non scritto, secondo il quale all’interno della nuova unione, ogni facente parte depone la sua dote sia in forma di mestieri o arti e sia in forma di solidità economica con mobili immobili e ori. 

La fusione della consistenza economica nuziale, relativa alle disponibilità che si attribuisce alla donna richiesta dall’uomo richiedente, determina anche la raffinatezza di tutti gli elementi che compongono l’abito della sposa e rappresenterà l’emblema della famiglia anche dopo il matrimonio, svolgendo ance nel proseguo della vità l’emblema rappresentativo in ogni occasione pubblica sia religiosa e sia civile.

In  un primo momento le offerte hanno il valore di compensi; in un momento successivo, l’idea  del compenso  è mascherata  da quella del dono;  onde,  nel primo caso, il matrimonio  per compravendita  reale; e, nel secondo, per compravendita  simulata  o simbolica.

Il Costume e la sua radice.

Gli elementi più rilevanti della riforma amministrativa promossa nell’Italia rivoluzionaria e napoleonica, generalmente sono identificati nei meccanismi che governarono le istituzioni e i conseguenti processi storici definitori dei referenti.

Soprattutto per il Regno di Napoli, gli studiosi hanno rivolto la propria attenzione ai meccanismi amministrativi, trascurandola configurazione territoriale e nello specifico delle macro aree locali.

Questo modo di indagare ha adombrato i legami con la più generale strutturazione del territorio e con l’importanza che strade, architettura, arte e paesaggio incisero sull’evoluzione in forma tangibile e intangibile.

Solo di recente, anche, nel campo degli studi meridionali è emersa la necessità di occuparsi degli sviluppi che hanno prodotto la configurazione territoriale e i confini tra comuni e comunità.

Essi rappresentano foriere di grande novità, nel panorama degli studi meridionali, per questo, le ricerche danno frutti, di fondamentale importanza che in molti casi ribaltano la sequenza degli accadimenti, rappresentando una vera e propria radiografia degli insediamenti.

La nuova metodica, d’indagare del territorio in età moderna, apre nuove prospettive per leggere meglio, il rapporto tra abitato e campagna, un quadro della geografia feudale, lasciato in cantina perche difficile da interpretare.

L’emergere di nuove strutture amministrative autonome, fanno perno nei primi decenni del Seicento, sulla fiscalità dei casali e sulla loro richiesta di autonomia in occasione dell’avvio di analisi per il catasto conciario.

La discussione preparatoria della legge del 14 dicembre 1789, che anticipa lo stesso ritaglio della maglia dipartimentale per l’evidente necessità di sostituire con istituzioni più solide le municipalità rivoluzionarie, nate nel caos dei mesi precedenti, prospetta l’opportunità di porre un limite demografico al di sotto del quale non si sarebbe potuto costituire il comune, indicandolo in 4-5 mila abitanti, con l’evidente disegno di sottrarre i piccoli insediamenti alla più facile influenza della chiesa e della nobiltà, ma anche per la non meno evidente carenza di un sufficiente numero di cittadini attivi, reclutabili per l’amministrazione della comunità.

In Italia il problema dell’adeguamento della maglia amministrativa si pone definitivamente con la nascita della Repubblica Cisalpina e, poi, con la Repubblica Italiana e con il Regno d’Italia per la Lombardia, il Veneto e gli altri territori di riferimento.

Per quel che attiene il Mezzogiorno, la legislazione d’impianto della riforma amministrativa e della configurazione territoriale relativa alle istituzioni locali arriva all’ombra delle armate dell’aquila imperiale durante il regno di Giuseppe.

Nel periodo precedente gli studiosi ricordano due tentativi recenti, il primo al tempo della Repubblica Napoletana del 1799, che attraversa come una cometa, il firmamento dell’universo politico italiano del tempo e l’altro durante la prima Restaurazione Borbone che per la verità in qualche modo richiama il progetto del 1767, relativo anche a un articolato piano di gerarchizzazione del territorio.

Con i nuovi provvedimenti sono finalmente riempiti di contenuti e attività amministrativa e giu­diziaria, ma quello che più conta e dalla prima nota territoriale al nostro discorso la divisione di compartimenti territoriali cui faranno parte da ora e sino all’unità d’Italia le macro aree della regione storica arbëreshë e in particolare i mandamenti territoriali di Calabria citeriore.

Esaminando con dovizia di particolari i paesi che sono la fucina di studio del nostro discorso, sotto l’aspetto amministrativo, sociale e religioso, si rileva che i paesi contenenti la quasi totalità degli elementi caratteristici del costume tipico da sposa, fanno parte dello stesso mandamento e sono sotto la giurisdizione religiosa di radice, Greco Bizantina, e per questo caratterizzato, indelebilmente il territorio.

Questo conferma un dato inconfutabile, in altre parole, dalla fine del 1767 in avanti, il voler identificare con radice, meno appariscente all’interno del presidio religioso più incisivo, la caratterizzazione religiosa non più forgiabile si caratterizza con le attività di unione matrimoniale, attraverso, il tipico costume arbëreshë che ne contiene fondamenta, radice di prosecuzione, crescita e guida.

Le consuetudini nella settimana prima della domenica di vestizione-

La rotta storica che andremo a percorrere mira a focalizzare non la mera esposizione delle vestizione o la elencazione sterile  degli elementi che compongono il costume tipico, cuore pulsante della consuetudine arbëreshë, ne tantomeno realizzeremo illustrazioni o apparizioni comunemente interpretate con sceneggiate di vestizioni, appartenute ad altre donne, con evidenti differenti anatomie, per questo senza  avere consapevolezza di cosa si va a compiere o si finisce di rappresentare il profano e non il sacro vincolo.

Per questo ogni cosa esposta o raffigurata, mira a rendere noto il significato che nel matrimoni assume quel determinato capo di abbigliamento, sia esso intimo, intermedio o visibile, tratteremo i temi di ognuno di essi e cosa rappresentano, a partire da ogni piccolo dettaglio in forma figurata o di pigmentazione.

Un discorso di continuità generazionale raccontato, cui si da ruolo e senso alle vesti, compreso il significato che hanno le eventuali movenze e posture che inconsciamente si assumono nel corso della vestizione

Quella vestizione che in molti inopportuni sceneggiati viene attuata da persone improvvisate, ma quello che più duole senza alcuna grazia conoscenza del rito, si elevano a saggi di atti che per questo si traducono in atteggiamnti a dir poco volgari per una sposa.

La vestizione della sposa il giorno del matrimonio, segue un protocollo antico e si compone di adempimenti, disposti nell’arco temporale della settimana che precede la domenica del matrimonio, generalmente nell’arco temporale dell’estate arbëreshë.

Tutti gli adempimenti di conoscenti, nëdrikùla, familiari, sposi e shëniagnëth svolgevano nell’ora e il giorno stabilito per adempiendo i doveri di credenza e di consuetudine.

I più salienti erano l’allestimento del letto nuziale il giovedì precedente il matrimonio e la mattina di domenica quando la sposa veniva vestita, con quelle sacre e rappresentative vesti.

Le Vesti della Sposa da nuda-

Scutina: Una fascia di cotone che si avvolgeva tra le parti intime a modo di mutando.

Petilia:  Una fascia di seta rettangolare che conteneva i seni nella parte anteriore, legata alle spalle con quattro lacetti di cotone che erano fissati nei quattro angoli del rettangolo,una sorta di reggiseno a fascia senza i tiranti superiori

Linjè-a: Camicia di cotone bianco a contorno del collo e l’unione dei seni dal Merletto (Mèrlletin) di tulle ricamato a mano e rigidamente impostato sino alla vita; questo rappresenta il limite di appartenenza, dalla vita sino ai polpacci come luogo per generare e dalla vita sino al collo come il luogo per allevare, uno rappresenta la semina, e il secondo la fonte per la prole.

Petilè-a: Striscia di stoffa rettangolare in seta con legacci in cotone annodati alle spalle, sul davanti contiene il seno e interrope all’altessa superiore del seno l’ampia scollatura che scende dal collo;

Sutanin-i: Sottoveste bianca ricamata alla base finemente con allegorie delle virtù della sposa, fissata in corrispondenza della vita, in corrispondenza di Linjè, si estende verso il basso sino nella parte delle gambe tra polpacci e caviglie;

Sutanin-i verd: Sottoveste a trame, (Pieghe) perpendicolari, pigmentate secondo le priorità di credenza familiare, tessuto in raso, con rinforzo nella parte della vita, questo serve ad avvolgere uniformemente le caratteristiche anatomiche dalla vita in giù della sposa, oltre ad assumere il significato allegorico di confine o frontiera invalicabile del suo primo tutore maschio: il padre.

Sutanè-a razi: Sottogonna in raso pieghettata con un bordino d’oro, essa rappresenta la dote e quindi la figura paterna, simbolo di rispetto e solidità morale della giovane; il padre perche nelle consuetudini antiche rappresentava il primo tutore maschio della giovane figlia; le pieghe rappresentano la barriera esoterica e religiosa dell’inviolabilità della donna a cui si affida il padre tutore che sarà sempre il riferimento ultimo per la difesa,

Cohè-a Gonna pieghettata di raso in seta e oro, così denominata, perche rappresentano il marito e la casa che assieme andranno a costruire; duecentoquaranta pieghe rappresentano la barriera esoterica e religiosa dell’inviolabilità della donna affidata dal padre alle attenzioni del marito.

Xhipun – i Nastri: Corpetto con ricami in oro e colore porpora: azzurro, rosso, verde, di stoffa; rappresenta la storia della famiglia che si va a formare; riassunto delle nove generazione che dall’unione e dalla fonte del seno materno renderà possibile la prosecuzione della specie, unione tra uomo e donna che attraverso la fonte materna genera e da senso alla unione che si va ad attuare.

Kezè – a: Diadema nuziale riposto in testa; di estrazione o meglio di radice dogale prende spunto dalla massimo esponente sociale e religioso di quella società, unico e solo ad avere la direzione di ogni cosa, in quale fonte insostituibile di sapere e tutela.

Il  tipico copricapo con la sfera nella parte sommitale posteriore rappresentava la fonte materna di ogni cosa,;m cosi anche per il costume arbëreshë, riposta in capo alla donna, sopra la topica pettinatura figurativamente emulava, il seno in senso di saggezza che attinge dal passato, le prospettive del futuro.

Kallucieté, -t: Calze bianche lavorate a mano; erano l’emblema della calore a che tiene sempre solida l’istituzione che genera la prole, prua e divinamente inviolabile.

Kèpucè, -t: Scarpe realizzate dello stesso tessuto della “Zoha” rappresentano le fondamenta della famiglia e per questo filate e tessute in oro, la rappresentazione del divino, in quanto, espressione di luce senza origine.

Per terminare questo breve si vuole accentuare il valore sociale del costume, che vuole rappresentare un’insieme di valori consuetudinari, pagani e religiosi, essenza bene augurante, per il sostenere e valorizzare attraverso i colori e raffinate stoffe lino, cotone, raso, broccato, di seta e oro, in una armonica combinazione, la fonte di un’identità che si consolida nel tempo e non smette di esistere.

                                                                                                            Napoli 2021-05-13

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