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IL COSTUME E L’IMMUNITÀ DI GREGGE

Posted on 06 ottobre 2020 by admin

AAAAAAAA1NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Di sovente quanti indossano o espongono il costume, arbëreshë, nelle manifestazioni di ogni ordine o grado, non sono, il più delle volte, consapevoli che non si tratta di una comune trattazione, ma sacri messaggi di buon auspicio su base pagana e religiosa per la famiglia che si va a formare.

In quelle vesti, che in diversi modi sono palesemente esposte o trattate a dir poco inopportunamente, è contenuto il disciplinare d’iniziazione e di augurio, di una nuova famiglia della minoranza storica Arbëreshë.

Parlare e trattare degli elementi che compongono le preziose vesti, non è un compito di facile attuazione, perché le vesti che sono giunte sino a oggi sono una sintesi moderna di quel disciplinare che in circa tre secoli di consegne generazionali ha smarrito grosse porzioni del protocollo di memoria.

Questo motivo ha indotto lo scrivente a disegnare una sorta di “esploso” di tutti gli elementi (il filo e l’ago compresi)che compongono il vestito matrimoniale, poi in seguito, con dovizia di particolari e perizia storica della memoria ereditata, è stato ricomposto il mosaico di elementi, secondo un ben identificato parallelismo di significati edificanti e mete da perseguire, secondo le basi delle vigili leggi consuetudinarie,  da  seguire  dai i due sposi per la continuità  e fornire nuova linfa alla specie.

 I contenuti e i messaggi che le vesti in senso di forma, colori  e diplomatiche, sono incaricate di riverberare, sono numerose, non certo in questo breve possono essere rievocate, quello che si può fare, sono accenni, cui poi i in altra sede, saranno forniti dettagliatamente come analisi.

La vestizione che poi è il prodotto finale di un’accurata composizione sartoriale è fatta di postura e quindi di un adeguato spessore di tacco, che dovranno produrre i giusti presupposti di portamento per coprire e avvolgere senza esternare le forme femminili dai fianchi sino a sfiorare la pinta delle scarpe sul davanti.

Dalla vita, è un susseguirsi di regole dove, dopo aver indossato il merletto “imbosato” sulla camicia bianca che si estende sino alle ginocchia,  posizionando “prima sutana e poi la zoga”, queste con le apposite bretelle, sovrapposte, devono essere calibrate con saggezza e arte sartoriale, per descrivere alla  base di entrambe, un piano perfettamente orizzontale.

Sia suttana che la zoga rappresentano figurativamente gli emblemi delle due figure maschili della sposa, secondo le rigide  regole Kanuniane.

La parte posteriore e i fianchi, la veste deve descrivere su tutto il semi arco posteriore, prima una semi curva a sbalzo affinché la linea perpendicolare verso terra, non interferisca con nessuna delle parti anatomiche femminili sino al piano orizzontale idealizzato in precedenza.

Dopo indossato le zoga e il merletto, calibrato il tutto, si passa alla vestizione del gjpuno, che deve avvolgere le spalle descrivendo la zoga, una linea sui fianchi, sino alla prossimità del seno per avvolgerli per meta e curvare oltre la linea baricentrica di questi, per poi risalire e girare attorno al collo, ripetendo lo stesso tragitto sull’altra “baffa del corpo”.

La testa della sposa è un emblema di significati materni, la cui origine fonda nella storia di Zeus riflesso nel cappello dei Dogi veneziani, ed emulato nel copricapo di Scanderbeg.

La Kesa per questo rappresenta l’emblema dorato di crescita, che copre le nudità dei capelli femminili raccolti a modo di fonte këshetë; per questo ogni elemento come quest’ultimo, sono caratteristiche figurative e subliminali, che attraverso la vestizione vantano un quadro augurante e bene augurante, il continuo della specie sotto quell’ombrello di inculturazione.

Questa  non deve essere intesa come un espediente unico di quella giornata, ma quanto indossato, rappresenta il totem della famiglia, “il libro mastro identitario” di quella specifica coppia; tutte le persone che lo vogliono generalizzare o banalmente indossare, quanto usano anche frammenti ricomposti con altri, se non adeguatamente calibrati, indossati ed esposti, sono irrispettosi, verso tutte le nostre madri, le ultime ad averle utilizzate con saggezza, eccetto un paio di eccezioni,  che con diligenza abnegazione e rispetto le hanno portate in dosso, al fine di inculturare, quanti in grado di percepirne il senso e il valore.

Il costume tipico arbëreshë delle fasce bizantine della Calabria citeriore e un libro non scritto, com’è consuetudine della minoranza; lo  legge solo chi ha percorso le tappe dell’inculturazione locale, diversamente da quanti s’inventato, lettori provetti.

Questo dato ormai alla deriva, più devastante, ha raggiunto il suo culmine proprio un anno addietro, quando i vantatori seriali essendo stati preferiti alle persone di cultura, si sono dilettati a dare spettacolo stendendo a terra il proprio gonfalone , disponendo donne in costume inginocchiate attorno.

Certamente le consuetudini di capitolare dei popoli, non saranno il nocciolo culturale di queste figure, ma se non si rendono conto di quello che hanno fatto, dopo un anno dall’accadimento, la tragedia finale è in atto; non per i pochi che sanno e tirano per rimediare, ma per le capre che credono che i prati verdi, sono per brucare, correre e belare.

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