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“hoj gàcë ku jie”

Posted on 21 settembre 2017 by admin

O MIA SCURE DOVE SEI!NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Un’arbëreshë di Acquaformosa al seguito di Garibaldi, durante una delle battaglie sul fronte lucano si rese conto che caricare il fucile era una perdita di tempo; e al grido di “hoj gàcë ku jie” stacco la baionetta dal suo fucile e affrontò il nemico.

Certamente oggi nella battaglia per la tutela delle eccellenze della Regione Storica, chi sente e avverte il che i propri valori sono calpestati e resi irriconoscibili, istintivamente gli ritorna in mente il grido dell’acquaformositano, per scacciare le innumerevoli inesattezze messe in campo.

Eppure l’estate appena terminata aveva fatto ben sperare dopo il convegno di Ginestra degli Schiavoni a maggio e in seguito a Luglio con la Vëllazëria di Casalvecchio di Puglia, purtroppo non è stato così, per colpa dalla mancata educazione storico culturale dei saltimbanchi che vagano come zombi affamati nei territori del principato Citeriore e Ulteriore, aldilà del faro.

Alle soglie del sesto secolo di tutela del codice più antico che vive, in quello che s’identifica come il vecchio continente, invece di seguire la rotta tracciata dai nostri avi, si preferisce seguire il turpiloquio, in cui la tarantella calabrese è il momento più coerente, a cu fa seguito l’armata di saltatori addomesticati, urlatori non parlanti e musicanti muniti di clarinetto, tamburelli e fisarmonica.

Parlare o discutere di turismo congressuale in questi scenari è come cercare di dare la benedizione al diavolo, in quanto tutti credono di possedere il contenitore del codice, inconsapevoli che in realtà non è altro che un “pacco napolitano”.

Le danze aprono le rievocazioni di avvenimenti mai esistiti, parlate alloctone, tradizioni diversamente abili, movenze turche, sonorità di tradizioni che spaventano e fanno fuggire i pochi studiosi e turisti accorsi.

La consuetudine, l’idioma, la metrica, la religione Greco bizantina, sono patrimonio unico e inscindibile, cercare di renderli indipendenti l’l’una dall’altra per il proprio tornaconto è come essere irrispettosi verso il buon nome di tanti valorosi che per difenderli attraversarono monti mari e ancora monti, sicuri che i loro discendenti nel corso dei secoli li avrebbero difesi allo stesso modo e onorato quel sacrificio in egual misura.

È per questo che bisogna stare molto attenti, nell’ esternare, sbagliando, le cose più elementari e non voglio trattare e dilungarmi su cosa succede quando si vanno a sporcare riti, che affondano le radici negli anfratti più intimi del codice arbër.

La storia dell’arberia non inizia nella seconda decade del ‘800, che rappresenta invece il momento cruciale della violazione del codice, per opera di uno scellerato che ogni qualvolta che a napoli iniziavano le rivolte, tornava a casa con la scusa di avere dolori addominali (prima di lui e molto meglio di lui) hanno illuminato la scena d’arberia, culturale e scientifica d’Europa, in maniera molto più pregnante e con argomenti e dati di gran lunga più seri.

Non sono pochi i dipartimenti nati per la valorizzazione di questo codice, che per non aver attuato come guida un progetto di ricerca, hanno perso la rotta e il lume della ragione, scavando a fare i piccoli archeologi (ironia della sorte o per incapacità interpretativa) lì dove tutto era cominciato sei secoli orsono, proprio lì dove i nostri avi avevano preferito fuggire, pur di non soccombere alle anomalie che avrebbero compromesso irreparabilmente il prezioso codice.

Oggi alle soglie del sesto secolo, ignari studiosi, hanno ritenuto che proprio quelle persone che volevano distruggere il codice potevano fornire elementi utili per arricchirlo, avviando così addirittura una trattativa culturale proprio con chi ambiva alla manomissione del codice; peggio di così, in un Europa così vasta, non si poteva inciampare

Tornando ai giorni nostri, non è concepibile che la tradizione e la metrica possa essere arricchita da chi la voleva distruggere, in altre parole non facciamo altro che alzare la bandiera bianca dopo sei secoli di onorato lavoro.

Scambiare canzoni con danze, persone anziane con carne cotta, parlate rarissime con scimmiottamenti turcofoni, il costume solenne per un abito di carnevale, solamente perche una legge elargisce risorse alle persone che amano flagellarsi; volendo usare un eufemismo, sarebbe come una mandria di bufali che corre su di un prato e punta verso bambini ignari che giocano.

Non resta che confidare nelle persone di buonsenso, che anche se poche sono comunque più preparate dei bufali, alle quali se si toglie il fieno a piccole dosi; augurandoci così che si sfianchino e non possano più calpestare il codice fatto di: famiglia, fratellanza, onestà e rispetto.

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