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GJITONIA, SECONDO GLI STUDI IN STORIA-ARCHITETTURA E URBANISTICA-DI UN ARBËR

Posted on 02 novembre 2022 by admin

Norman DouglasNAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – E’ stato detto che vi sono due versioni della storia:

  • quella ufficiale menzognera, che ci viene insegnate e largamente diffusa;
  • la storia segreta, dove giacciono le vere cause degli avvenimenti, una storia spesso vergognosa;
  • a noi studiosi il compito di rendere nota quale sia la vera storia e cosa è menzogna Arbër.

Gli elementi sono molteplici, ma il teorema, privo dei più elementari fondamenti di cose riferibili agli arbër, vorrebbe la Gjitonia, simile, uguale o equipollente al Vicinato è la più approssimata, instabile e priva di senso che sovrasta tutte le altre.

A tal proposito, si ritiene sia giunto il tempo di rimuovere, la polvere nascosta sotto il tappeto, come fanno le massaie, quando ricevono preavviso di tempo insufficiente, per preparare casa e ricevere degnamente gli ospiti.

Com’è accaduto nel 1999, quando fatta la legge per le minoranze storiche d’Italia, gli Arbër dovettero allestire in tutta fretta l’incauto teorema, copiando nei temi Olivettiani, per accedere con poco impegno, tra gli eletti della 482.

Trovandosi, i su citati operatori culturali, impreparati e per apparire, dovevano inventare almeno una cosa, caratteristica e caratterizzante la minoranza, che per una stranezza legislativa, non difende glie Arbë la storica minoranza, ma forse, quanti approdarono a Bari nell’estate del 1999, questo chiaramente non è vero, ma leggendo gli articoli di legge, di Albanese tratta.

In oltre gli storici dell’epoca ignari di ogni cosa, invece di illuminare le eccellenze Arbër/n che la storia teneva in bacheca, pronte ad essere esposte e illuminate, pensarono di legare tutto al circoscritto idiomatico, ancor oggi incompreso, la bitta, il chiodo ( Koshëda in Arbër) a cui fissare ogni cosa con:  Gjitonia e parlate mai in senso unitario, riversando tutto nell’Albanese moderno.

Certo che non era un buon biglietto da visita, vedere la legge a pieno regime e sentirsi ripetere il ritornello: “la Gjitonia come il Vicinato”, o i quartieri dei borghi Arbër.

Il dato forviante ha piegato i cultori di ieri e di oggi, a tal proposito, l’auspicio vuole che quelli di domani, abbiano nel loro scrigno culturale, elementi sufficienti a comprendere la storica differenza.

Ad iniziare da oggi a trattare le cose, come sancito anche dall’articolo nove della Costituzione Italiana, che riferisce della tutela e valorizzazione delle cose e dei beni materiali e immateriali di una ben identificato territorio o macroarea minoritaria, come utilizzava fare Olivetti con i suoi gruppi di lavoro multidisciplinari, ancora ignota a molti operatori e amministratori moderni.

Avere un numero ampio di esperti, che studiano, intrecciano dati storico, con il vissuto e i segni del territorio, in tutto, ricerche i campo Geologico, Ambientale, Sociale, della Psiche, Antropologico, Architettonico, quella che si intende come il rapporto di convivenza a lungo termine tra Uomo, Natura e le vicende di trasformazione che conducono al costruito del “tema ambientale ad opera dell’uomo”, fornirebbe le certezze sino ad oggi negate.

Per iniziare il discorso di tema è bene precisare che la gjitonia è anche insieme di gruppi familiari allargati, in evoluzione mnemonica di radice, il termine definisce gruppi molto radicati a un ben identificato territorio, che si usa definire parallelo, sempre simile, ma comunque che non gode di diritti, ne prerogative che hanno gli aventi ruolo e grado, ovvero, infatti gli unici diritti a loro affidati affidato sono la dirigenza di un ristretto ambito, per dare al luogo movimento, secondo i riti di credenza e consuetudini di confronto con il territorio.

I Katundë arbër ( paese, contrada, frazione) possono essere riassunti come una tessitura urbana identificabile nel rione romano, dal punto di vista espansivo, mentre per quanto riguarda le architetture e gli aspetti sociali attingeva della radice greca,

La differente mentalità nel modo di insediarsi rispetto agli indigeni locali, non sempre, dagli storici è stata intercettata con successo, infatti, comunemente si confonde il modello sociale di mutuo soccorso generico, “il Vicinato” con quelli dei cinque sensi e di ricerca dell’antico ceppo familiare arbër, detto “la Gjitonia”; oltremodo ritenendoli identiche, equipollenti o addirittura simili, quanto questo dato non ha alcuna fondatezza, storica, sociale e di credenza.

I Vicinato e la Gjitonia, sono due modelli sociali ben distanti e pur se coabitando ambiti mediterranei sono diametralmente opposti:

Il Vicinato, genericamente interessa la fascia mediterranea che da Est a Ovest comprende l’Abruzzo sino alla punta più a sud della Sicilia; coinvolgendo tutte le popolazioni della Grecia più ad Est, sino alla punta più estrema della penisola Iberica; unendo in questo ambito individui di radice multi locale, in cooperazione sociale genericamente sotto il controllo del “commarato del semplice mutuo soccorso”.

La Gjitonia è composta da gruppi familiari allargati, che s’insediano nelle stesse aree, secondo precise e storiche disposizioni; macchina sociale precostituita, in cui ogni elemento o gruppi di elementi assumono uno specifico ruolo, secondo capacita e forza di corpo e d’animo, i cui diritti e doveri sono finalizzati per la sostenibilità dei gjitoni, in armonia e nel pieno rispetto del territorio.

La Gjitonia non ha confini fisici in quanto trova ragione in essere in quegli spazi ideali che come cerchi concentrici partono dal fuoco domestico della regina della casa e si espandono in ogni dove si riesce a generare l’armonico sentimento dei cinque sensi condivisi.

Diversamente dai valori spaziale dell’identità Arbër che si contrappongono ai nuclei urbani degli indigeni, questi pur se apparentemente simili, mostrano una sostanziale differenza, distinguendo quanti s’insediarono in fuga dalle terre d’oltremare e chi già in quelle terre dimorava.

Per questo i Katundë arbër, denotano le vicende di un periodo medio breve di confronto e scontro, con gli indigeni locali; solo dopo aver tracciato con senso, i valori, le cose materiali e immateriali oltre il genius loci, iniziarono a edificare le prime case in muratura con senso della terra di origine e di quanto delineato dai trascorsi storici del luogo.

All’inizio forme elementari e modeste, ben disegnate e definite in cui gli elementi fondanti erano: il recinto, la casa e l’orto botanico, un micro ambito circoscritto idoneo a soddisfare le esigenze dal gruppo familiare allargato e dei suoi animali domestici, da lavoro e trasporto.

Sono gli stessi ambiti abitati dagli arbër, pur se in apparenza possono apparire simili alle trame urbane degli indigeni, specie quelli costruiti dalla fine del XV secolo alla meta del XVI, per lo sviluppo delle aree agricole del meridione.

Tuttavia nella sostanza, i Katundë in elevati e tacciati Arbër, hanno finalità ben diverse, in quanto, dovevano rispondere a esigenze consuetudinarie “parallele importate dalla terra di origine”, a est del fiume Adriatico sin dove sfocia nello Jonio.

Di estrazione Arbanon, gli Arbër sono la dinastia che proviene degli Stradioti (i soldati contadini), ancora presenti nel meridione italiano, sostenute, secondo la sola forma orale, ritmata dalla consuetudine, la metrica del canto e la religione Greco Bizantina.

Per quanto attiene agli aspetti abitativi, la minoranza Arbër si può ritenere pioniera italiana del principio di “città diffuse” o “impianti urbani Aperti”.

Questi insediandosi in questa lingua di terra multietnica, nel corso del XV, per la diaspora in corso, ripopolarono quelli che erano i resti di antichi insediamenti ormai segnati da pochi elementi in elevato oltre la chiesa, a media distanza dei più solidi Borghi amministrativi e del potere politico locale.

Si disposero in sette regioni del meridione secondo “Arche strategiche” con finalità ben programmata, realizzando così, quella che oggi è identificata come “La regione storica diffusa Arbër”, sedici macro aree, di cui fanno parte oltre cento agglomerati urbani tra paesi (Katundë in arbër) e frazioni (kushëth in arbër) tutte territorialmente distanti dalle aree paludose (Fushëth in arbër).

La caratteristica che contraddistingue gli agglomerati apparentemente disordinati, è racchiusa nella toponomastica e nell’aggregazione del modulo abitativo di base, che si articola lungo lingue di terra ben identificate secondo sistemi, prima articolati e poi in seguito lineari.

Quattro sono gli elementi toponomastici storici dei centri antichi Arbër: gli ambiti del credo, ovvero, la chiesa Greco Bizantina (Kishia); Il promontorio o luogo di osservazione (Bregu);  l’ambito circoscritto di primo insediamento Piazzetta (Sheshi); gli spazi delle attività ed espansione (Katundë).

Sono sempre quattro i toponomi ricorrenti in tutti agli odierni “centri antichi”, l’identico sistema urbanistico aperto, adottato sin anche nelle terre di origine balcaniche.

A tal proposito, l’insieme d’identificazione detta anche dei cinque sensi, ovvero gjitonia, rappresentava anche la linea oltre la quale ci si poteva contrarre matrimoni, estendendo  il perimetro diffuso, si sino a tutto il contesto territoriale dove vivevano gli arbër.

I due confini, confini, minimo e massimo sono stati in vigore sino agli inizi del secolo XVIII, quando la conseguente mutazione della “famiglia allargata”, in “urbana diffusa” e poi, in tempi più recenti parte integrata del sistema, “metropolitano/multimediale” hanno azzerato il primo confine e liberalizzato il secondo.

Questo conferma quanto citato prima, ovvero, i rapporti, meglio l’indagine dei rapporti di sangue ovvero parentela dimenticata, di quanti entrassero a far parte degli ambiti di gjitonia, che nei contratti di matrimonio escludevano le forme di unione endogene avendo come finalità solo quella esogena di appartenenza.

P:S: – «È curioso a vedere che quasi tutti gli uomini che valgono molto, hanno le maniere semplici; e che quasi sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore»

– Giacomo Leopardi-

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