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GIACULATORIA PER LA TUTELA DELLE COSE E LE MENTI DEI GENERI ARBËR

Posted on 02 aprile 2023 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Questa giaculatoria storica nasce per le figure meno utili per la ricostruzione degli eventi solidi della Regione storica diffusa degli Arbër.

Essa rappresenta una preghiera povera indirizzata al popolo dei comuni, per questo fatta di contenuti semplici, tale che, possa essere fondamenta, anche di quanti credono di avere titoli e mai distaccatosi dell’età prescolare, gli analfabeti o illetterati diffusi, in altre parole, da ogni abitante che vive e non sa di essere parte della minoranza storica, più longeva e solida del vecchio continente.

L’esigenza nasce a seguito degli appuntamenti culturali svoltisi in assenza, nel corso del tempo che hanno visto arrivare, vivere e terminare la pandemia 19.

Questa, invece di essere utilizzata come monito e riflettere sulle innumerevoli pene culturali degli ultimi due decenni, è stata una parentesi delle pagine più pietose e irriverenti che la storia ricordi, con finalità di tutela delle cose materiali ed immateriali della regione storica diffusa, tra le più devastanti.

Iniziando a riflettere immaginando che la minoranza fosse viva per l’esclusiva eredità parlata; qualche figura a dir poco, formata, ha furbescamente ritenuto, potersi inventare storia, alfabetari e cavalieri senza cavallo a sostegno di Don Chisciotte in perenne discussione, qui non con i mulini a vento, qui trasferitosi a per colloquiare con l’architettura, l’urbanistica e addirittura le solide case, che come tutti sanno non parlano perché sono episodi unici della storia.

Sopportare che figure deboli della storia, saltino la fila e si dispongano in mostra, più dei geni è storicamente comprovato, per questo lasciano sempre il tempo che trovano, tanto gli ultimi saranno sempre in ombra, mentre i primi brillano per luce propria anche se lo spazio per loro è in fondo alla piazza gremita che comunque ascolta e apprende nozioni.

Quello che oggi è diventata indecenza sono le attività di tutela indecenti, dei fatti culturali e le attività di valorizzazione degli elevati storici, continuamente violentati perché, muri inermi, senza braccia, gambe e piedi per scalciare o “sucuzzare”, verso quanti le impropriamente colora con irriverenza, le cose e gli elevati d vivere per portarli in auge.

Nonostante la storia di questi edificati che hanno dato i natali ad eccellenze del mondo della cultura, della scienza esatta, delle lettere, della politica e la conservazione e tutela delle cose che oggi ci indicano con luce la nostra radice, si preferisce deturpare, spruzzando per ribellione ogni sorta di componimento in colore senza la ben che minima vergogna.

Tutto questo nella più demenziale inconsapevolezza degli atti commessi contro i saggi, i quali, stanchi e abbandonati dalla plebe, che evita pure di rimborsare trenta tre danari e fare opera gratuita di rimedio del violato senza riguardo.

Affinché questa elevazione di giaculatoria smuova le coscienze di tutti è bene precisare di cosa parliamo:

Il salto di quota che caratterizza le colline della regione storica e ogni Katundë, dalla zona bassa a quella più alta individuato sia classificato o rientri in un unico tema così come segue; individuato un elevato di credenza, si articola nei suoi pressi un pennino, identificabile quale pettine di nascenti di elevati abitativi che disegnano vichi, rampe, supportici, case e spazi o slarghi, utilizzati per realizzare elevati; il pennino mira a definire quattro rioni che strategicamente legano tutti gli oltre cento paesi riedificati dal 1479 al 1563 secondo lo stesso impianto di cui è composta la capitale, in epoca ducale dalle stesse genti provenienti dal mediterraneo del sud est.

I pennini restituiscono «strette vie a gomito, gradinate, in parte coperte da portici o supportici con volta con copertura piana e sin anche voltata, per superare il dislivello, cis’ come avviene nella città ducale partenopea che darà qualche secolo dopo la metrica per fare Katundë.

È dunque caratterizza questo fitto tessuto di vichi, fondaci, vanelle, botteghe e case, un «labirinto di vicoli», senza edifici pubblici di rappresentanza né grandi complessi religiosi di rilievo, in altre parole un apparente carattere caotico di chiara ispirazione orientale, bizantina o islamica, dovuto alle influenze dirette di giungevano dall’Oriente.

All’interno della maglia edilizia della Iunctura (legame) ducale, i vicoli ciechi diventano occasione, ideale per ‘privatizzare’ o ‘semi privatizzazione’ in un contesto di famiglie legate da vincoli di parentela. residenti in contiguità; i fondaci,

invece, sono comparti abitativo-commerciali che derivano direttamente dalla tipologia di luogo di apparente confusione, ma dove elemento ha compiti e ruoli ben identificati, perché proprietà intrinseca di ogni facente parte di quel luogo.

Specie lungo i pennini sorgono case con orti, giardini e spiazzi terrazzati che riproducono una tipologia rurale e persino tuguri scavati nelle pareti tufacee o di estrazione più morbida secondo una tipologia rupestre molto diffusa, come sappiamo, in tutta l’area di espansione dei paesi collinari.

Questa qui esposta è una breve trattazione di quello che poi divengono i veri presidi per la valorizzazione di un antico consuetudinario tra i più solidi del bacino mediterraneo.

VincenzoTorelliUn sistema abitativo che oggi è la radice di numerosi centri antichi del meridione italiano, lo stesso posto nelle disposizioni di numerose amministrazioni e il più delle colte non ne comprendono o non sanno misurarne il valore.

Vero è un dato inconfutabile, il quale statisticamente non promette nulla di buono specie dalla emanazione della legge 482/99 che invece di attivarsi verso il costruito e le attività di Genio locale posto in essere mena a voler sottolineare il modo in cui si deve scrivere una lingua; e siccome questa è antica la si vuole santificare sgrammaticando con caratteri latini e greci, immaginando che solo questi nel globo terreno erano gli unici alfabetari.

Le consuetudini e le attività proto industriali e la definizione dei cunei agrari per il sostentamento e quelli della trasformazione, erano definiti pensati ed organizzati in questi luoghi di raccolta e accoglienza delle genti Arbanon.

Vere e proprie culle della tradizione, sono esse a riverberare le cose della storia, recarsi ancora oggi in questi luoghi, che vivono senza tempo, se educati ad ascoltare, accogliere e fare proprie quale fosse l’operosità in lamenti della fatica del passato, si potrebbe partire e parlare con la lingua giusta il racconto delle cose Arbër.

Noi siamo la generazione allevata dalle nostre madri, le nonne e le vicine di casa che per abituarti ad ascoltare ti dicevano; figlio benedetto siediti qui e ascolta (Nga e ulu këtu, paçurat); atto che nella stagione lunga (l’estate) aveva luogo di fianco la porta e seduti nel sedile di controllo e in inverno (la stagione breve) davanti al camino, raccontando gesta e avvenimenti dolci e sin anche cruenti per in passaggio generazionale del parlato Arbër.

fratelliLa trattazione dei sostantivi che trattano del corpo umano e gli elementi naturali primi, per il sostentamento della specie, in tutto, lo storico protocollo divulgato ai quattro venti, ancora oggi ignorato dai preposti, nonostante i fratelli Grimm lo abbiano diffuso e urlato ai quattro venti.

Per concludere questo breve, si vuole aggiungere un dato fondamentale, monito per quanti fanno e cercano di scrivere una delle storiche forme di vita basate su base di confronto orale.

Codice di appartenenza compreso solo dal più grande, l’unica, eccellenza in campo di analisi e comparazione linguistica scritta che l’Europa e il globo intere riconosce agli Arbër: Pasquale Baffi il dolce e fantastico lettore e scrittore di Greco e Latino, l’eccellenza più alta, che compreso il valore dell’idioma Arbër, la sua radice comparata con quanti per la via Egnazia transitassero per raggiungere la gloria dell’anima; lui il Baffi non ha segnato mai un punto, una virgola o una parentesi, pur avendo titoli ed argomenti elevati per farlo, in Arbër.

Vita Mons Giuseppe BugliariSe egli non ha preso penna e scagliato calamai a chi ragliava, ha compreso il valore per non esporre il patrimonio identitario al libero e indemoniato ballo tondo che si sarebbe spezzato, come è stato, irreparabilmente.

Vero è che promuovere vicende di comunemente per eccellenza, senza avere consapevolezza di chi siano stati e cosa abbiano fatto: il prelato Bugliaro Giuseppe, Pasquale Baffi, Mons. Francesco Bugliari, Mons. Domenico Bellusci, Vincenzo Torelli, Luigi Giura, Pasquale Scura, Mons. Giuseppe Bugliari, Terenzio Tocci, Giorgio Ferriolo, Giuseppe Albanese e tanti altri, che nei casi più banali hanno dato lustro agli Arbër nel mondo per i loro lumi, oltre a mettere in gioco il loro fisico per ideali comuni; è una grave mancanza di rispetto delle cose che fanno grande la Regione storica diffusa degli Arbër.

photo_2023-04-02_13-36-02Se nei giorni scorsi un Artista Albanese, ha riunito alla Piazza Mercato di Napoli più persone di quante si è abituate a vedere nelle manifestazioni di lettura o scrittura degli ultimi decenni, un numero di partecipanti che mancava dal 10 maggio del 1831, sempre realizzato da un Arbër lungo il corso del Volturno, è il segno evidente che gli Albanesi come gli Arber uniscono più genti con eventi di radice, da quanti si ostinano a imporre alfabetari.

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