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DALLA “SCUOLA” DI PALAZZO GRAVINA GERMOGLIANO LE NOZIONI PRIME DEL MIO NATIO KATUNDË (rrgheth i motith cë shëcii haret cë chemj soth phër mendh i menatveth)

Posted on 08 agosto 2023 by admin

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NAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Sancito che la storia non è “un discorso nuovo” come dicono alcuni, ma unico percorso, generalmente realizzato da saggi e, non deve prevalere il principio o spunti del libero diffondere, specie se per opera di quanti, fuggendo dalle nebbie, le miserie e, le turbolenze delle loro confusi natali di origine, esternano sotto forma di favoletta la storia e, ignari sin anche di quanto largamente diffuso della Olivetara Scuola.

A tal fine e per questo, si ritiene necessario editare inserti periodici, come questo in lettura e, suggervi come era uso fare Vincenzo Torelli, il genio editore, di conservarli gli editi periodici, così a fine anno tutte le famiglie consapevoli dello stato delle nostre cose avranno un volumetto dove sono ben annotate la consuetudine, il costume, la religione, l’idioma.

Il fine vuole offrire gratuitamente e senza spesa o rincaro anche al più svagato abitante locale, quando, ispirato a deliziarsi può conoscere la parte più intima del suo luogo natio, acquisendo notizie, comodamente e senza patire, nel dover fare file in archivio o nelle biblioteche di stato, disdegnando le favole o le graffitate locali.

Lo scopo qui perseguito, mira ad informare con dovizia di tempo, cose, uomini e se vi fossero dubbi emersi a riguardo dal presente lavoro, sia giudice e giuria il pubblico imparziale, che alla lettura dei fogli raccolti gratuitamente, leggerà ogni cosa.

Il luogo oggetto di questo breve edito, è uno dei numerosi, fortilizi verso l’entro terra citeriore dello Jonio, nati per garantire la difesa con indigeni locali e alimentare le necessità della “fannullona Sibari” dalla seconda metà dell’8° sec. a.C., identificato e facente parte dei territori di Bisignano con l’appellativo primo, di “Castello”, cui comprendeva anche il loco denominato Terra, il tutto dopo la dismissione della diocesi di Thurio.

Il Katundë come terra di Sofia, fu identificato dopo l’innalzato religioso Bizantino e quelli civili del IX secolo d.C. lungo la via di costa, che da Rosano conduceva a Cosenza e, nei pressi del torrente Galatrella, da soldati Bizantini preposti al controllo del confine lungo il corso del Crati, che li contrapponeva a i longobardi e poi abitato dal XI secolo d.C. dai monachi della grancia cistercense, perché luogo sicura da cui trarre benefici, dalle floride terre a garanzia del cuneo agraria in sicurezza, posto a breve distanza dalle sedi di Luzzi e di San Marco.

Bisogna attendere il XIV secolo per veder gli esuli Arbanon, a cercare misura nuova per insediarsi, presumibilmente il pomeriggio del 7 settembre del 1471, questi giunti nel loco oggi nota come “Sheshi Ka Arvomi”, prima accesero un grande fuoco e poi si sedettero attorno per decidere chi si sarebbero fraternamente così organizzati: un gruppo si posiziono in località pedalati e zone limitrofe e l’altro rimase insediando in quei pressi dove esisteva la chiesa e un vecchio insediamento abitativo denominato ancora oggi “Ka rin rellëth”; il tutto appellato Terra di Sofia.

Il Katundë, così articolato, non ha mai avuto la connotazione di Borgo o di luogo in difesa murato e, dopo le vicende precedenti dal IX sino Al XV secolo, è stato organizzato dagli Arbanon secondo disposizioni di strategica convivenza.

Allo scopo furono realizzati qui in Terra di Sofia, come in tutti gli altri siti di radice Arbanon, quattro punti strategici di comune convivenza, e qui in particolar modo si articolarono ancor di più, con l’unione dei due gruppi divisi inizialmente e unitisi nel 1535, in un continuo edilizio nell’arco naturale che va dal luogo degli eroi sino fianco est del Torrente del Duca e alla connotazione originaria così suddivisa e composta:

  • il rione o meglio lo sheshi che si sviluppa a ridosso della chiesa: Ka Kishia;
  • l’originario sito costruito dagli indigeni; Ka rin Relljiet o Moticelljet;
  • il rione dove si allocano i gruppi familiari allargati Arbanon Sheshi;
  • il promontorio di avvistamento dove si esercitavano e si organizzano i difensori preposti: Bregù;

Prima con attività estrattive di residenza e poi sempre più energicamente con lo scorrere dei decenni, a un fitto tessuto di vichi, fondaci, vanelle, botteghe e case, un «labirinto», senza edifici pubblici o monastici in quella parte di territorio noto come, rione di approdo.

Il Katundë dopo il 1535 divenne ancora più ricco quando tutti gli Arbanon si unirono per dare vita al tessuto odierno, apparentemente caotico, ma per la posizione e le modalità di sviluppo teneva conto della difesa non in forma muraria, giacché affidava allo stesso sistema edilizio di ispirazione orientale/bizantina, risultato delle influenze note agli esuli perché tipiche dall’Oriente dal Mediterraneo più estremo.

All’interno della maglia edilizia e viaria dell’Iunctura Arbanon, i vicoli ciechi, segnano, la privatizzazione di un ben identificato contesto di famiglie, legate da vincoli di parentela, anche con i residenti in contiguità abitativa.

I fondaci, diversamente, erano per questo comparti abitativo/commerciali espressione di attività generata direttamente dal luogo, ove era uso attivarsi in compiti di apparente confusione, senza riposo sino al compimento dell’impegno giornaliero assunto.

Nelle attività di sviluppo degli Sheshi, sorgono case con orti, giardini, in tutto, spiazzi terrazzati, anche in forma di orto botanico, riproducendo in miniatura tipologie rurale, generalmente affiancati o disposti nei pressi elevati di riferimento civili e religiosi.

Correva il 1595, quando fu eretto il convitto estivo del vescovo do Bisignano, quasi sempre seguito da un folto gruppo di seminaristi, noto in paese come palazzo Arcivescovile, nel Katundë inizia una nuova svolta culturale ed economica.

La residenza Vescovile nasce perché, luogo sicuro e climaticamente favorevole al vivere in solitaria preghiera, specie in quell’epoca che vedeva minati gli equilibri sanitari e, un luogo isolato con una buona esposizione climatica dava modo per sentirsi più a lungo e in vita alle cose della chiesa romana.

Con il peggiorare delle vicende naturali e indotte, quali, carestie, terremoti e pestilenze, l’abitato si isola dalle vie di transito e confronto, subendo un decadimento demografico ed economico a dir poco notevole, il non confronto produttivo tra famiglie.

Le oscure vicende subiscono un rilancio intorno alla metà del XVII secolo, quando terminata la paura da pandemia, in Terra di Sofia e negli ambiti di pertinenza, dove comunque la malaria non aveva mai attecchito in maniera devastante-

Tuttavia, lo scenario che si presentava, non lasciava presagire uno stato economico fiorente, specie nelle attività agresti, in abbandono per non dire allo stato terminale.

Bisogna attendere la seconda metà del XVII secolo quando le autorità preposte, al fine di risollevare l’economia, distribuivano seminativi, per riavviare la filiera produttiva agro, silvo e pastorale, e i loro derivati, ormai senza domani e non certo per “rotazione triennale”.

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