Posted on 02 novembre 2018 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: Passa il carrozzone Presidenziale in terra arbëreshe: pronti a saltarvi sopra? No, grazie: resto a piedi !
Posted on 25 settembre 2018 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Quando agli albori del 1978 varcai la porta dell’Archivio di Stato di Napoli, non avrei mai immaginato che dopo due decenni sarei stato uno dei componenti il gruppo di progettazione per la sua riqualificazione e restauro, traendo per questo un bagaglio professionale d’ineguagliabile spessore, ne che la documentazione che avrei di li a poco consultato, per iniziare ad indagare la storia della Regione storica, sarebbero state l’avvio di un calvario culturale di confronti con quanti uso identificare come “l’ignoto cultore”.
Relativamente al motivo che mi aveva portato a varcare la soglia dell’Archivio di Stato, per la ricerca di documenti e definizione di nuovi stati di fatto della Regione storica e ambientale Arbëreshë, appellata ancora oggi in maniera vetusta, dall’ignoto cultore, “arberia”.
Oltremodo vorrei precisare che per “ignoto cultore” si vorrebbero individuare quell’esercito, causa delle gravi ferite, inferte per incompetenza alla regione storica, resa per questo, irriconoscibile dal punto di vista linguistico, consuetudinario, metrico, religioso e del genius loci.
Le mie ricerche comunque hannodato avvio a un nuovo stato di fatto, legato al genius loci arbër, la rotta seguita non si è ostinata a voler scrivere messali in arbëreshë, a guisa dei rumeni bizantini; o a tutti i costi usare la grammatica Grerca e Latina; menare a sostituire vocaboli Arbëreshë con Albanesi di radice turca, ma, invece, produrre un nuovo modo di idagare e restituire certezze alla definita Regione storica e ambientale Arbëreshë.
Studiare la geografia del territorio occupato dagli arbëreshë, tracciare le macroaree di locazione e comprendere i motivi di tale disposizione, per individuare il sistema metrico più attendibile di tutti i centri con simili origini.
In seguito, sono stati fondamentali cercare gli enunciati che descrivessero suntamente, la disposizione urbana, i rioni, le gjitonie e i gruppi familiari, al fine di fornire un metodo di lettura degli ambiti urbani limitrofi, in tutto, definire la storia urbanistica e architettonica della regione arbëreshë italiana, associata alla toponomastica della terra di origine.
tutto ciò ha avuto il suo culmine in occasione di misurarsi con i vertici politici nazionali, nel corso della delocalizzazione di Cavallerizzo, avendo ricevuto investitura ufficiale perché C.T.P. dell’Associazione Cavallerizzo Vive; l’unica Associazione che si è adoperata per evitare la più terribili disavventure che vede protagonisti gli arbëreshë di questo secolo .
Certamente la grande esperienza accumulata in anni di studio, la metrica attinta nei corsi dalla facoltà di Architettura di Napoli, la fortuna di aver frequentato questo luogo con docenti di altissimo spessore, la conoscenza delle tradizioni, la lingua e le caratterizzazioni tipiche dei paesi di minoranza , sono stati i segmenti ideali per chiudere solidamente il cerchio con la mia innata predisposizione.
Sono trascorsi quattro decenni da allora e ancora oggi l’“ignoto cultore” adducendo eresie senza tempo, senza luogo, ne memoria per la storia della regione, come se non bastasse, non avendo argomenti da aggiungere, si ostina a presentare trattazioni irriconoscibili, invece di confrontarsi con i nuovi enunciati di studio.
Nemo propheta in patria, è una locuzione in lingua latina che significa: “Nessuno è profeta nella [propria] patria”; l’espressione vuole indicare la difficoltà delle persone di emergere in ambienti a loro familiari.
Raramente stato invitato in manifestazioni nei luoghi della regione storica, in cui l’“ignoto cultore” per aver letto i miei scritti, ambisce a emergere ad ottenere certificazioni urbanistiche e storiche per scopo di sopravvivenza locale, invitandomi a certificazioni gratuite; NO cari signori io non sono una ONLUS e non credo in questo tipo di illusori meccanismi sociali.
Studio e produco certezze, cercando di misurarmi e confrontarmi con l’“ignoto cultore” che continuamente sfugge; egli ha da sempre parlato di arberia (?????”’), come paradiso terrestre dove hanno vissuto solo nobili e ricchi cavalieri, non sopporta che i miti che imprudentemente ha innalzato gli vengano scalfiti, ne ha interesse per realizzando un ambito logico in cui delineare come sia stata conquistata la scena del palco europeo dalle nostre eccellenze culturali.
Studio e produco certezze per la “regione storica” e se alcuni hanno dubbi sulle mie risorse culturali ed economiche, sappiano che non sono quelle delle istituzioni o dei canali equipollenti; esse non sono altro che il frutto della caparbie scelte di VITA e per questo ritengo di averle meritate sul campo, lo stesso dove l’“ignoto cultore” teme di confrontarsi per sfuggire ai fantasmi messi in campo.
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Posted on 16 maggio 2018 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Quanti hanno studiato le vicende storiche che accompagnano le genti che vissero i territori dell’odierna Albania sino al XVI secolo, usavano riferire che: ogni volta che due o più arbër si riuniscono e parlano in lingua di quei tempi, nasce una piccola arbëria.
A questo principio generico non di luogo, se associamo il concetto di Regione Storica, inquadriamo anche i territori paralleli ove il codice consuetudinario tipico Arbëreshë, ha trovato l’ambiente ideale per fiorire come in terra madre.
La regione storica è lo stato, il luogo o ambito naturale parallelo in grado di unire tutti i paesi di simili radici, conseguenze della diaspora avviata dal XV secolo nei Balcani; da essa nasce la scissione della popolazione secondo due dinastie diametralmente opposte:
Gli storici fanno risalire l’origine di questa dolorosa vicenda al tempo che vide protagonista Giovanni Castriota Principe di Croja e i suoi quattro figli Reposio, Stanista, Costantino e Giorgio.
Questi ultimi consegnati ai turchi a seguito del ricatto per evitare la capitolazione di Croja, furono allevati nella corte ottomana con nomi regole e abitudini dissimili dal codice Kanuniano Arbër.
Giorgio ed i suoi fratelli appena entrati nella corte turca, non mantenendo la parola, vennero circoncisi secondo il rito della legge di Maometto e secondo la costumanza di quella gente per l’occasione quella di cambiar il nome e Giorgio fu nominato Scander-begh: nome composto di due vocaboli Turcheschi; il primo !Scander”, che vuol dire “Alessandro” e il secondo “begh”, che vuol dire “Signore”.
Che questa fosse opera del caso o un presagio per il suo futuro nessuno lo può dire, certamente nome più idoneo non poteva essere scelto dai regnanti turchi.
La richiesta di riscatto dei figli appartiene a un modus operandi che i turchi utilizzavano e mirava a ottenere piena proprietà del principato o “regione” senza spargimenti di sangue a lungo termine.
Quando Giovanni Castriota dovette consegnare i suoi figli ai turchi, correva l’anno 1413 e Giorgio aveva poco meno di nove anni; dopo essere stato circonciso e avviato alle regole e all’apprendimento delle consuetudini turche, seguì la sua ascesa nell’arte della guerra, conducendolo già nel 1421 a rivestire la carica di “Sangiacco”.
Da lì in poi le sue gesta si annoverano negli annali delle dispute che ebbero come protagonista le velleità di conquista dei turchi, al punto tale che, le tante battaglie e scontri diretti, lo portarono l’alias di Scander-begh ain auge.
Chiaramente questa essendo stata un’incoronazione turca, sancisce la definitiva appartenenza al popolo di adozione; confermata addirittura persino dagli stessi Albanesi, i quali ormai soggiogati dalle sue gesta continuarono a utilizzare, ancora oggi lo fanno, in maniera poco attenta ripetono quell’alias.
Esso così come deciso dai turchi ogni volta che è pronunziata “conferma l’ideale occupazione, delle terre Albanesi e i luoghi dove viene ripetuto, da parte del popolo ottomano”; Tuttavia tornando alle vicende del grande condottiero Giorgio Castriota; la svolta si ebbe quando nel 1443 la morte raggiunse Giovanni Castriota principe di Croje (il Padre) e i turchi per nome e per conto del figlio Reposio (per i turchi Caragusio) per acquisire i possedimenti del principato.
A quei tempi Giorgio C. era tenuto impegnato dal pascià, in battaglie lontano da quei luoghi, sicuro che la manovra di acquisizione, non sarebbe scaturita in alcuna reazione nel ormai forgiato condottiero.
La realtà fu ben diversa, rispetto a quanto previsto, infatti, al ritorno dalla missione, la notizia della perdita del padre aggiunta a quella della dipartita dei suoi fratelli per avvelenamento, risvegliò in lui gli antichi dettami, sconosciuto ai turchi, che affonda le sua radici nel concetto di famiglia Kanuniana; vero è che nel 1444 videro tornare protagonista Giorgio a Croja e sedere sul trono del principato paterno e porsi alla testa dei gruppi territoriali albanesi. Fu da allora che ebbero inizio le attività contro l’usurpatore e da quella data, avranno modo di assaporare i dolori provocati da una macchina da guerra, sino allora, ritenuta nelle loro disposizioni.
Le doti di condottiero avranno modo di essere protagoniste nelle dispute tra Angioni e Aragonesi e in quella che è ricordata come la guerra dei baroni, sulla base di accordi di capitoli che ponevano diversi governarati in terra d’Albania alle dipendenze degli Aragonesi.
Non si astengono dall’amicizia di Giorgio Castriota, il Papa e i Dogi veneziani, che aprono dialoghi e trattative atte a rispolverare antichi ideali fatte di domini e crociate.
In questo mio breve, ciò che vorrei mettere in risalto è il comportamento del Castriota che non è dissimile da quello delle migliaia di arbëreshë, che partirono dalla terra di origine per imposizione turca dopo la sua morte.
Così come il Castriota non mise mai da parte il senso e il rispetto delle proprie radici, ritengo che a pieno titolo pongano Giorgio Castriota figlio di Giovanni a essere il primo arbëreshë esule forzato d’Albania.
Questa breve riflessione deve far meditare gli studiosi e quanti si prodigano per valorizzare con senso e garbo la lingua, la metrica del canto, la consuetudine e la religione ortodossa di quanti vivono la regione storica.
Lui pur se forzatamente esiliato in terre alloctone non ha mai dimenticato o messo da parte il codice antico e quando ha dovuto prendere la migliore decisione a preferito, le sue origini, la sua gente che lo riconosceva per il suo nome, per il suo cognome e non per l’alias assegnatogli dai turchi.
Per terminare affermo che: Gli abitanti della terra dei Balcani, della regione storica e di ogni dove si ripete il miracolo arbëreshë, devono ricordare che ogni volta che appella Giorgio Castriota con l’alias Scander-begh assegnano lo Stato, la regione e il luogo ai turchi e nel contempo dissipano un frammento del codice arbëreshë.
Volendo stilare una lista storica degli arbëreshë, il numero uno di diritto deve essere assegnato a Giorgio Castriota di Giovanni, nato a Kruja, il 6 maggio 1405 e deceduto ad Alessio, 17 gennaio 1468; gli altri che seguono sono tutti illuminati dalla sua luce e hanno seguito la stessa rotta adoperando quei principi contenuti in quel codice identitario che solo chi vedere e sente l’arberia, da sei secoli a questa parte, riesce ad avvertire.
Commenti disabilitati su L’ARBËRESHË GIORGIO CASTRIOTA DI GIOVANNI (Kruja, il 6 maggio 1405 – Alessio, 17 gennaio 1468)
Posted on 10 maggio 2018 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: IL PONTE SU CATENARIE DEL GARIGLIANO È UN OPERA ARBËRESHË
Posted on 01 maggio 2018 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Mio Padre raccontava spesso, nelle gelide serate senza luce elettrica riuniti davanti al camino, il suo sofferto ritorno a casa a seguito del disarmo dell’esercito Italiano alla fine della seconda guerra mondiale: dopo aver parcheggiare il camion officina nel cortile della caserma a Riva di Trento, gli venne ordinato di recarsi nella camerata, ritirare il tascapane e gli effetti personali, poi un ufficiale gli fece consegnare il percussore del fucile, la baionetta, in fine di tornare a casa, perché i servigi verso la patria erano terminati.
All’inizio una grande gioia e subito dopo si rese conto che casa distava oltre mille chilometri dalla parte opposta dell’Italia e non nella comoda direzione Est-Ovest; ma secondo quella più impervia e colma di pericoli, Nord-Sud, per questo sarebbe stato più prudente da percorrere a piedi.
Un percorso intriso di pericoli, in quanto, andare controcorrente alle truppe tedesche che ripiegavano devastando ogni cosa e imprigionando ogni persona che non avesse effigi germaniche non sarebbe stata cosa semplice.
Fine marzo, in quella verde vallata dove erano terminati i patimenti di soldato, rimaneva un solo ed unico alleato il Santo Patrono Sant’Atanasio il Grande; e fu così che fece voto di rientrare in paese entro il due di maggio per onorare il santo e abbracciare moglie e figlia.
La primavera stava per sbocciare dopo un lungo inverno durato anni e dopo un attimo di sbandamento quel voto al santo protettore apparve l’unico fine da perseguire con tutte le forze,
Dopo aver salutato i miei commilitoni, per non apparire ancora come gruppi antagonisti alle truppe tedesche, ci disperdemmo e ognuno di noi prese la via di casa.
Sapeva di non dover seguire strade carrabili, spiagge e ferrovie, in quanto, la campagna, i boschi e i corsi fluviali erano gli unici alleati; quante chine e quante discese dovute percorrere, poi torrenti e campi senza semina.
Si cibava di prodotti naturali e poche cose che ogni tanto gli donavano i contadini che cercavano di rigenerare gli scenari di una guerra che avevano voluto altri.
Pastori, contadini, mugnai e manovali che svolgevano attività, dividevano volentieri con lui le poche cose del pranzo e lui per ricambiare, avevo solo il racconto della sua storia e la meta a cui ambiva, non ricordava a quanti aveva detto di essere un Sofiota e quali ideali lo sostenevano; poi giungeva il momento di riprendere l’orizzonte ancora soleggiato.
I primi di aprile attraversa la campagna toscana e quanti incontrava, gli dicevano che non avrebbe mai potuto portare a termine l’audace impegno.
Cosa lo spingesse ad andare avanti era il sagrato di quella chiesa la famiglia e i visi fiduciosi di quanti incontra, che come in una gara podistica facevano il tifo per lui, non avendo altro da offrirgli se non le poche cose per cibarsi, la sua infondo era una gara contro un invasore che contro corrente, avrebbe potuto portarlo con se in ogni momento.
Tutte le persone che incrociava ritenevano che la distanza fosse eccessiva e trovare un passaggio era pericoloso, in quanto avrebbe potuto mettere fine al voto, quindi, ogni volta gambe in spalla fino che la luce del sole lo accompagnava.
Lungo la strada immaginava di risalire via Pasquale Baffi e arrivare in piazza, nel momento in cui le campane a festa annunciavano l’uscita del Santo; poi gli amici, i parenti come lo avrebbero accolto, chissà se nella processione ci sarebbero state la moglie e la figlia Francesca o come gli aveva promesso, rimaste a casa ad attendere il suo ritorno.
Questo e tanti altri erano i pensieri che lo accompagnavano, e intanto chilometro dopo chilometro la meta era sempre più vicina.
Era iniziata la terza decade di aprile e iniziate già le novene, quando si trovò nei pressi di Salerno, se le forze lo avessero sostenuto così come, nelle settimane passate l’impresa sarebbe stata possibile e continuando a cibarsi di ogni cosa che la primavera offriva, la meta diventava sempre più prossima.
Nei pressi di Battipaglia evitò il centro abitato, così come fece a Eboli, poi verso le gole di Campagna su per frazione quasi deserte, giunse nei pressi delle grotte di Pertosa.
Da qui per Lagonegro, Laino e Campotenese, preferì seguire percorsi sempre più impervi per evitare di incontrare le retroguardie tedesche.
E finalmente la mattina del trenta di aprile, vicino al centro di Castrovillari, ebbe modo di concedersi una pausa di riposo per presentarsi degnamente da soldato al raggiungimento dei suoi cari e dei suoi paesani.
Attraversato il Crati vicino il cimitero di Tarsia e raggiunti, i luoghi della giovinezza, dove portava le pecore a pascolare, la china che avevo percorso tante volte, lo fece sentire a casa perché ormai conoscevo ogni zolla e ogni anfratto di quegli ameni luoghi, per oltre un mese immaginati.
Quell’anno il due del mese di maggio cadeva di mercoledì e quando in vico III° Epiro, Adelina si senti Chiamare da suo zio Giuseppe, mentre iniziarono i primi rintocchi delle campane a festa, nulla di più intonato risulto per lei il ritornello,: Adollì, ezë mbë quishë se u mbiosh Janari!
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Posted on 18 marzo 2018 by admin
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Posted on 24 febbraio 2018 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: UNA STORIA DI RINASCITA CULTURALE E DI CAPARBIE CROCIATE.
Posted on 23 gennaio 2018 by admin
Premessa
La capacità di acquisire nozioni per alcuni è una dote naturale, se poi la professione è il frutto di passione che è associata alla conoscenza della lingua madre, applicarli ai temi di tutela e la caratterizzazione della Regione Storica, diventa un’attività spontanea.
Cosa diversa fanno, quanti credono all’impunità dai circoli del rotacismi, dei capitoli, dalle chiavi musicali o dai modelli, laici e non solo, capitolini, che stravolgono e minaccino ogni cosa.
A tal proposito è bene precisare che: se credere che sei secoli di storia si possano riassumere in un foglio notarile; se credete che sia stato indispensabile fornire alla regione storica carta penna e calamai per ottenere tutti i primati guadagnati; se credete che sia un dovere cantare inni Balcani moderni; se credete che la gjitonia sia una piazza, una strada e diverse porte; se credete che l’urbanistica si possa riassumere nelle vicende della fumettistica sessantottina; se credete che gli arbëreshë non pronunciano i mesi dell’anno; se credete che le valje sono la rievocazione di una battaglia; se confondete la primavera Itali Albanese con le Valje; se credete che sia opportuno chiudere il patrimonio sartoriale nei musei; se credete che il costume sia un’occasione di apparire sciatti e sgarbati; se credete che P. Baffi si stato un massone; se non sapete che L. Giura è stato l’eccellenza ingegneristica e della scienza esatta dell’ottocento; se non sapete che V. Torelli è stato eccellenza dell’editoria Italiana dell’ottocento; se credete che Mons. F. Bugliari è stato trucidato dai banditi per un limite territoriale tracciato male; se solo immaginate che il lavoro fatto da Mons. G. Bugliari, sia l’opera di un prete decrepito; se credete che innalzare in pubblica piazza statue alloctone porti ricchezza; se credete che la nobiltà sia solo questione di titoli; non perdete tempo a leggete i miei scritti in quanto punto verso rotte diametralmente opposte alle vostre e vi ritrovereste in luoghi e cose che non siete in grado di condividere.
Si gnë lavinë
La legge a titolo di questo scritto, quando fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 20 dicembre 1999, attivò una serie di effetti anomali, la cui corrente s’incuneò nelle rughe e negli sheshi della regione storica, con una tale violenza da far vibrare gli elevati e quanto e quanti in essi era contenuto; un’energia tale da avvicinare cavalieri e cavalli indigeni in via di estinzione, nel breve e medio termine.
L’evento sollevò dal loro torpore, un gran numero di miracolati che indossato mantello e sistemato in bella mostra il cappello dei “titoli Tiranensi” che nel ristretto orizzonte delle gjitonie, si elevò a strimpellatore di una storia che non ha ancora avuto luogo.
Il gesto, legittimato dalla classe politica, cambia la rotta del progetto legislativo, nato già con la dote lacunosa per tutelare le minoranze.
La non completezza della legge innesco il processo manifestatosi con l’apertura di un considerevole numero di attività che miravano più alla gloria che allo spirito della tutela .
In luogo, s’intrecciarono rapporti tra i “gabinetti” degli operatori di “difesa” e gli organi preposti per finalizzare le risorse poste al bando, che non usufruirono di una solida propedeuticità storica.
Ogni sorta d’illuminato, registratore e telecamera munito, iniziò ad imprimere su nastro magnetico, ogni suono e alito di vento proveniente da Est, che storicamente i nostri avi, lo apostrofavano come malevolo, freddo e da cui era preferibile difendersi per sfuggire agi effetti influenzali.
Nonostante il ricordo di quest’antica consuetudine ancora viva, furono innalzate macchine da festa e progetti senza alcuna radice, i cui traguardi miravano all’ottenimento di frutti alloctoni senza cognizione di luogo, di tempo, di causa e di uomini.
Fabbrica eolica a cielo aperto, costruita con materiali che generalmente si utilizzano come complementari in una struttura che richiede una consistente dose di solidità e durevolezza .
Naturalmente e per meglio precisare mi riferisco a manoscritto atti notarili e capitoli, generalmente considerati, nello svolgere una ricerca storica, come periferici o complementari; tuttavia negli ambiti di ricerca della R.s.A. furono elevati come definitivi e/o fondamentali.
L’ondata culturale trasversalmente organizzata senza alcuna formazione, priva persino del buonsenso, ma fortemente radicata nel territorio, spinto da una ben nota forza politica, avvio il dilagare lungo la piana, che notoriamente in agricoltura e priva di argini solidi.
La fretta di voler apparire, e lasciare sullo sfondo, chi potevano offrire supporto antropologico, geologico, architettonico e di quelle materie idonee a consolidare il prezioso patrimonio della R.s.A., fece apparire la minoranza come il luogo ove mercanteggiate matrimoni, ovini, bovini, terreni, case e cose.
La confusione del mercato, è stata pregnate al punto tale da allontanare l’attenzione dal “Genius Loci”, storicamente noto come, la preghiera a cui affidarsi prima di avventurasi in qualsivoglia processione.
Il frutto anomalo posto a dimora, ha prodotto un danno materiale di inestimabile valore, giacché, avviò un processo di contaminazione persino del territorio parallelo.
Sottovalutare aspetti unici, spogliati di ogni cosa è stato come calpestarli nelle migliore delle ipotesi o addirittura venduti al primo offerente nella peggiore, quanto si presentava innanzi.
Nacquero così gli stati generali che dovevano fornire la chiave di volta e dare solidità ai trascorsi storici che dovevano sostenere le scelte future; tuttavia il primo elemento identificativo a essere sacrificato in nome di una non meglio identificata urbanistica arbëreshë fu la Gijtonia, in seguito le Valje, poi dopo, la Primavera Italo-Albanese, per giungere addirittura nel pretendere di edificare un paese:
Zëmi
Si potrebbero accennare ad altre distrazioni, il cui fine ha prodotto elementi d’instabilità della minoranza più numerosa d’Italia; tuttavia bisogna pensare ai domani e non ai ieri che ormai il danno lo hanno prodotto.
Allo stato odierno non rimane altro che recuperare i mille frammenti di cui è ricoperta la Regione storica, prefissando un traguardo, non prima di munirci di una grande scorta di caparbietà e conoscenza storica, per continuare a essere la minoranza ancora viva e meglio integrata del mediterraneo; ritenendo di non fare errore se collocare la R.s.A. anche come eccellenza all’interno del vecchio continente.
Per concludere cosa possiamo solo augurarci di fare gjitonia e risvegliare i sensi antichi che sono indelebilmente racchiuse nelle quattro colonne inossidabili della Regione storica Arbër.
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Posted on 09 gennaio 2018 by admin
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Posted on 02 agosto 2017 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Quando E. Fabbricatore agli albori degli anni settanta del secolo scorso, rileggendo le frasi storiche di cui ne faceva un vanto, suscito un certo interesse quando nel corso di una riunione con zoti G. Capparelli, brandi pubblicamente questa frase, con voce cupa tremolate; il suo modo tipico di esporsi.
Da allora il raffinato prelato, ne fece buon uso sino a renderla partecipata e condivisa da tutte le persone che hanno avuto modo di apprezzare e condividere molte delle sue scelte immateriali, (per quelle materiali avremo modo di discutere in altri termini).
Certamente essere di più facilità nel perseguire un traguardi, tuttavia, la solidità morale e fisica degli elementi che compongono l’insieme, legati da simili ideali, non garantisce l’omogeneità richiesta all’insieme, motivo per il quale lungo l’itinerario tutto deteriora e si disgrega.
Motivo per il quale non basta essere di più e avere un solido progetto da perseguire, perché se uno o più elementi dell’insieme risultano essere deteriorati, è la macchina che cambia direzione e produce danno.
Dal canto mio sono anni che analizzo studio e sottopongo a verifica l’insieme della Regione storica Arbëreshë, nonostante abbia cercato di individuare i sotto sistemi omogenei, manca sempre un elemento nella valorizzazione dei quattro pilastri portanti dell’arberia.
Esistono: regole ben chiare da seguire; uomini e donne di cultura con grandi capacità interpretative eccellenti; prelati integerrimi per la migliore lettura religiosa; sono questi che da secoli guidano e conducono l’arberia attraverso i secoli e con grande stupore va rilevato, che l’elemento mancante è quello istituzionale; “la politica!”.
Rileggendo gli eventi storici dagli anni sessanta a oggi, la caratterizzazione linguistica, canora, consuetudinaria e religiosa della R.s.A. è stata mantenuta viva dall’opera di cultori; uomini e donne, sia civili che religiose, nell’assenza totale delle istituzioni.
Queste ultime quando sono intervenute, l’hanno fatto in ritardo o quando i problemi erano già stati risolti da cultori o appassionati della propria identità.
Tutte le volte che sono state chiamate in causa, le istituzioni si sono presentate addobbate per prendersi i meriti di vicende e sacrifici che ancora oggi continuano a non comprendere.
Come non apprezzare gli studi e le partecipazioni per la caratterizzazione dei tanti E. Fabbricatore o le vicende che hanno dovuto affrontare gli instancabili Zoti Capparelli; al fine di lasciare segni tra i più raffinati della R.s.A.
Si potrebbe continuare a raccontare vicende e aneddoti all’infinito tuttavia sfido chiunque a riportare un episodio dove un politico abbia aggiunto un granello di sabbia che avesse coerenza con la storica consuetudine arbëreshë.
È vero che “ INSIEME SIAMO DI PIÙ” ma se sappiamo, dove andare, è meglio!
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