Posted on 25 agosto 2012 by admin
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Posted on 30 luglio 2012 by admin
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Posted on 10 marzo 2012 by admin
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Posted on 09 marzo 2012 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Nella trattazione storica che hanno avuto come protagonisti gli Albanofoni nel Regno delle due Sicilie si ricorda per tradizione i giorni prima e dopo il 18 Agosto del 1806.
Fu allora che i briganti (?) scheggiarono Santa Sofia, terminando la vita del Vescovo Bugliari, del medico suo fratelli, il notaio, la guarnigione intera e un numero imprecisato di Sofioti/e, la vicenda, vide soccombere dal 13 a 19 agosto il piccolo Katundë, al punto tale che ogni generazione che seguì a quell’evento, è stata allevata in memoria e ricordo del momento più buio della storia locale e di tutto il regno, un lutto o senza soluzione di continuità dal 18 Agosto del 1806, ciclicamente ricordato da chi è saggio e conosce tutte le pieghe di quella vile vicenda di potere occulto.
La terribile pagina ebbe inizio con il brutale assassinio di Giorgio Ferriolo insieme al suo piccolo stato maggiore, composto dal fratello e da alcuni uomini fidati, continuò con la devastazione del paese intero e si concluse con il vile assassinio del Vescovo Francesco Bugliari, vero e unico bersaglio poco più in basso di dove era allocato il Monte del grano.
L’accento dell’eccidio è stato sempre posto sulla domestica Bertina, ma la complicità di indegni personaggi della stessa comunità Albanofona, fu determinante per portare a buon fine la volontà dei mandanti; alcuni presenti e ripagati con misere suppellettili, mentre i registi assenti, grazie all’eliminazione del prelato, poterono godere e rivestire diversi ruoli di rilievo all’interno del regno, grazie a Dio, solo durante il decennio francese per poi trovare fine, per ironia della sorte “dietro “a un granaio.
Va premesso che il Bugliari aveva avuto solidi contatti con Pasquale Baffi, i due oltre a essere stati gli unici artefici del trasferimento del collegio in Sant’Adriano, si scambiavano ogni tipo di notizia relativa agli eventi che sfociarono con la rivolta del 99.
Una fitta corrispondenza intercorse tra lo studio legale del Baffi, allocato nel centro storico di Napoli e l’abitazione paterna del Bugliari posta a monte del centro abitato di Santa Sofia d’Epiro.
Analizzando con perizia storica gli avvenimenti, apparisce molto strano che negli accadimenti napoletani a pagare sia stato solo il Baffi e che a essere devastata, sia stata sola la sua abitazione nei pressi dell’allora Biblioteca Nazionale e non il suo studio dove si conservavano preziosi manoscritti inediti e lettere di corrispondenza privata. Continue Reading
Posted on 05 novembre 2011 by admin
SAN DEMETRIO CORONE (di Adriano Mazziotti) – Un parco culturale per il Collegio Italo-Albanese. E’ l’idea che la maggioranza consiliare ha presentato nell’ultimo civico consesso, illustrata dal consigliere Salvatore Mauro e dal sindaco Cesare Marini.
Si tratta di una indicazione concepita per dare al Collegio una nuova destinazione compatibile con la lunga e illustre storia dell’Istituto, chiuso nell’anno scolastico 1988/1989 per il forte calo di convittori. Una destinazione non sostitutiva della sua passata funzione ma inserita nel progetto di recupero di tutta l’aria circostante, da trasformare in parco naturale, dove inserire il parco culturale che inglobi l’ex convitto e la palazzina dell’ex rettore. Il primo immobile, ampiamente riqualificato e dotato di 42 posti letto, potrà ospitare una scuola superiore post universitaria e residenziale per la formazione di dirigenti amministrativi e funzionari albanesi e dell’area balcanica (una vecchia idea del parlamentare Pd Cesare Marini). Il secondo edificio sarà riconvertito in Cittadella dell’arte, collegata alla Biennale d’arte e poesia e al Festival della canzone arbëreshe, con annessi una sala audio e uno studio di registrazione. Continue Reading
Posted on 21 ottobre 2011 by admin
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Posted on 07 ottobre 2011 by admin
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Posted on 24 settembre 2011 by admin
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Posted on 19 settembre 2011 by admin
ROMA (di Paolo Borgia) La costituzione dello Stato unitario italiano compie 150 anni. Una costruzione – ancora incompleta – che diede allora una definizione istituzionale ad una penisola appenninica già caratterizza da una cultura molto ricca e multiforme ma dotata da un carattere unitario che era andato crescendo nel tempo secolare. La commemorazione del 150° anniversario è l’occasione per riscoprire le ragioni storiche della unità d’Italia, la sua identità e la sua “missione”. E’ un riscoprire le radici culturali e politiche che possono servire da base per il mantenimento dell’unità e della dignità politica dell’Italia: scopo stesso del processo politico fisiologico che si deve fare carico di traghettare l’unità di partenza all’unità di arrivo, confermata e consolidata, e che l’apparato politico oggi non realizza.
Il Risorgimento costituì l’epilogo di un notevole sviluppo identitario iniziato molto tempo prima, alla cui costruzione contribuì in modo fondamentale l’opera della Chiesa romana con le sue istituzioni educative ed assistenziali, con le sue rigide norme comportamentali, con le sue efficienti configurazioni istituzionali ma anche nei rapporti sociali, nell’arte ed altro. Ma in modo particolare la scaturigine del Risorgimento si deve alla diffusione del messaggio irradiato dalla rivoluzione francese e napoleonica, coagulando nei 50 anni, che precedettero il 1861, adesioni alle rivendicazioni di libertà e ai moti rivoluzionari.
Come dice Costantino Mortati «il principio unitario della volontà sovrana», la “nazione” non veniva espressa direttamente dal popolo ma da una classe illuminata, gli eletti, senza vincoli di mandato elettorale. Questa classe di appartenenza borghese si autodichiara “classe generale”, tendente a realizzare uno stato moderno centralistico liberale. Si tratta di una unità istituzionale, dove la “sovranità popolare” non è considerata prioritaria. Si tratta di una “volontà generale” di una minoranza, in cui la mancanza di una “sovranità popolare” porterà alla mancata realizzazione di 2 dei 3 principi del “trittico” del 1789 (uguaglianza e fraternità) e perciò della parziale realizzazione del concetto di “cittadinanza”. Da ciò inevitabilmente scaturisce il ritardo italiano nella reale emancipazione, nella “sproletarizzazione della società civile”, già presente sulla attuale carta costituzionale ultracinquantenaria.
D’altra parte l’espressione “Stato nazionale” appare artificile e precaria laddove storicamente preesistevano “nazionalità spontanee” e la loro integrazione forzata attraverso l’imposizione di una lingua unica, di una educazione scolastica con programmi unificati, della coscrizione obbligatoria mostrano con chiarezza che si trattò di introduzione di una “nazionalità dominante” di “moderati” (Antonio Gramsci). Oggi, però, si è costituita una identità nazionale che riesce a convivere, in una tensione continua e problematica, con le nazionalità spontanee italiane. Ciò non ha nulla di miracoloso ma è dovuto al cammino di sofferenza comune del Paese ma anche a quella tradizione di sacralità civile che si chiama Neri, Bosco, d’Acquisto, Olivelli, Moro, Livatino, Falcone, Borsellino, Rossa, Bachelet, Biagi…
Oggi celebriamo l’unità d’Italia, consapevoli che ci sono antichi problemi, solo parzialmente risolti, e nuove sfide da affrontare. Oggi celebriamo “gli italiani, brava gente” che hanno sempre saputo ripartire da un nucleo fondamentale di valori condivisi, direi congeniti, alla cui base sta, prima di ogni cosa, la fraternità.
Riproporre oggi il “trittico” del 1789 non è una ingenuità, è proporre la fraternità come via per dare piena espressione della libertà e dell’uguaglianza, come risorsa civica, politica per far fronte al recupero delle ragioni dell’Unità del Paese. Paese in cui esistono i cittadini, resi stranieri a se stessi. Solo così potremo vivere nonostante le differenze esistenti tra di noi, non come cause di conflitto ma come occasione per accettare il nostro uguale diritto di essere diversi.
L’Italia è stata costruita dai giganti e può essere distrutta da nani. Abbiamo bisogno di giganti e lo possono essere i comuni cittadini: non perchè dotati di chissà quali attibuti o genialità ma perchè resi grandi dalla loro salda coerenza ad un’idea, quell’idea che ci fa essere quello che siamo.
Storia, cultura, intelligenza ma soprattutto decisione e volontà di essere, oggi, l’idea-Italia.
Posted on 08 settembre 2011 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi ) – Sul mio libretto universitario, che conservo gelosamente, il primo esame per il conseguimento della laurea da me sostenuto, porta la firma del prof. Ludovico Quaroni.
Conoscendo la fama del professore, seguii quel corso senza mai perdere una lezione, alla fine del quale mi ritrovai con un ricco bagaglio di nozioni progettuali e il principio secondo cui gli uomini e i contesti della progettazione vanno rispettati.
Per trovare il terreno ideale dove questa affermazione non trova il ben che minimo riscontro basta recarsi nello sconfinato e variegato scenario delle pertinenze minoritarie. Questo è sempre più ricco di labili teorie dissociate del contesto, rappresentazione di istanze ed esigenze demenziali da soddisfare, poiché privi dell’adeguata preparazione storica a cui fare riferimento.
Eppure c’è chi usa questo nome per arrogaesi il diritto o dovere di stravolgere e violentare gli anfratti e la storia architettonica delle minoranze del meridione e non solo.
Questo accade perché non essendo in grado di realizzare adeguate analisi e sintesi volte a definire i requisiti, le forme e le dimensioni dell’intervento architettonico, attraverso cui dare forma e configurare gli elementi costruttivi ed esecutivi, per poi metterli rigidamente a confronto con le preesistenze ambientali, al fine di dare continuità alle vicende storiche del contesto, si realizzano modelli vuoti di ogni riferimento.
L’itinerario così descritto porta al prodotto finale che diviene “la costruzione da incubo”.
Per evitare ciò, la stesura del progetto si esprime e si configura attraverso l’interfaccia continua e solidale tra la cognizione creativa delle forme e l’interpretazione tematica di esigenze e funzioni mutuate attraverso la codificazione di prestazioni e requisiti locali.
Le risorse, i mezzi, le procedure, le azioni, gli aspetti morfologici vengono tradotti ed integrati nelle più realistiche e articolate risoluzioni operative e nelle compatibilità univoche del sistema ambiente.
Le proposizioni sistematiche che interessano il progetto, e più propriamente le sue qualità, intese come espressioni di adeguata rispondenza all’uso e come valori che riflettano il giusto rapporto tra prestazioni attese e risorse impegnate, richiedono la rielaborazione di alcuni dei percorsi enunciati, al fine di acquisire la portata di influenze e ripercussioni che essi hanno in definitiva sul progetto.
Essenziale è riprendere quindi il tema della costruzione del progetto, in un momento in cui la progettazione e la produzione edilizia sono percorse da innovazioni che hanno decisive ripercussioni nel modo di concepire ed attuare gli interventi architettonici.
Queste trasformazioni consentono di attuare nuove sinergie che si traducono in rinnovate possibilità di interpretare e valutare le mutazioni che si vanno registrando nelle più recenti realizzazioni architettoniche che impiegano fattori innovativi immateriali, quali la gestione evoluta dell’informazione e la costruzione assistita del progetto.
La immagine architettonica come idea anticipatrice del progetto e la concezione operativa come fase razionale del processo, attraverso le quali si rappresentano e si materializzano le forme immaginate, rifuggono da una susseguenza cronologica che, in pratica, sarebbe tutta da dimostrare ma, soprattutto, escludono gli equivoci.
Progettare è sempre il risultato del porre insieme, confrontare, elaborare, ordinare e rielaborare e ancora, riordinare conoscenze culturali.
Anzi, quanto più il progetto pone insieme in modo coerente discipline, tematiche, aspetti culturali e esigenze autoctone, tanto più esso contribuisce alla crescita e il rispetto delle proprie radici
Ed allora la costruzione del progetto può essere individuata come momento contestuale per produrre architettura, momento nel quale ricomporre espressioni interdisciplinari per rendere le diverse classi del sapere individuate riconoscibili ed egualmente apprezzabili e reciprocamente compatibili.
E’ l’idea condivisa, ma non sempre conseguita in maniera interattiva, in quanto solitamente la ricerca non si spinge oltre una semplice addizione di elaborati, e al più ad una verifica di congruenza degli aspetti che si riconoscono in maniera approssimata nella progettazione pluridisciplinare.
Fare architettura, più di ogni altra attività creativa, implica la costruzione di sistemi coerenti; questa è la prima ragione a cui si affida la definizione di progetto sostenibile, dove la sostenibilità è intesa come progetto o processo integrato nel quale si manifesta la capacità di immaginare l’intervento architettonico e di anticiparne la configurazione delle sue espressioni formali senza traumatizzare i contesti nei quali ognuno dei fruitori si possa riconoscere.
Il meccanismo circuitale tra costruzione, sistema generatore e forme, induce ai valori espressivi che si rivelano nelle forme costruite.
La costruzione deve dimostrare che l’idea immaginata, prima che diventi materia e quindi non più reversibile trovi nel contesto dove si va ad intervenire la giusta misura e l’adeguato equilibrio.
L’informazione e la ricerca, nella costruzione del progetto, possono essere considerati congiuntamente come momenti e come strumenti di conoscenza.
In tal senso, ricerca ed informazione si pongono come termini combinatori delle connotazioni conoscitive necessari tanto al progetto proponibile, quanto alla sostenibilità della sua costruzione.
Il tecnico che produce arte (?) in contesti di grande valore storico e propone forme e segni che sono l’espressione dell’anti architettura è come se commettesse il più subdolo dei reati, ovvero quello di infliggere violenza nei confronti di inermi, indifesi o di qualsiasi essere che non ha la capacità di reagire.
Gli esempi a cui fare riferimento sono sotto gli occhi di tutti, ma la cosa più grave e sempre la stessa, chi pagherà i danni di questa violenza, chi rimetterà le cose a posto e quando questo sarà attuabile se la cultura della violenza è ancora viva e vegeta?