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Protetto: SANTA SOFIA D’EPIRO E IL CATASTO ONCIARIO (A mio Padre)

Posted on 21 maggio 2013 by admin

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Protetto: QUANDO IL COLLEGIO CORSINI ERA DI SAN BENEDETTO ULLANO sà lòt kjò zëmer

Posted on 25 marzo 2013 by admin

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DOMENICO MAURO: San Demetrio Corone, 13 Gennaio del 1812, Firenze 19 Gennaio del 1873

Posted on 14 marzo 2013 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Domenico Mauro fu definito: Uomo di profondo ingegno e di ricchissima dottrina, onorò la terra d’Arberia per il suo forte valore in armi per la patria e la letteratura.

Il riferimento non è esagerata, poiché il Mauro, oltre che un buon letterato, fu veramente un grande amante della Patria.

Nacque in San Demetrio Corone il 13 gennaio del 1812 da Angelo e Caterina Lopez, il suo percorso formativo ebbe inizio presso le scuole nel Collegio Italo Albanese di S. Adriano dal 1823 al 1830, dopo di che si trasferì a Napoli per continuare gli studi nelle discipline giuridiche.

Ispirato però da ideologie Carbonari, già da San Demetrio dove si riuniva per questo motivo in casa di Giuseppe Barone, educato nel Collegio che era la fucina del liberalismo meridionale, si affermò nella nobile missione di esaltare i sensi di libertà le giovani leve della città partenopea.

Trascorsi i primi anni a divulgare questo nuovo modello di pensiero, per essere più incisivo nelle sue idee aprì una scuola privata gratuita cui accorsero in molti giovani studenti.

La polizia Borbone che nella capitale era attenta ai nuovi pensieri di rinnovamento, ben presto seppe del suo progetto e per questo lo arrestò e rinchiuso nelle carceri del regno per quattro mesi.

Il mauro dopo la detenzione e le minacce che gli furono rivolte per spegnere il suo ardore, proseguì la sua opera nei convegni privati, nei caffè e in ogni dove.

Arrestato nuovamente nel 1837, cambiò atteggiamento e da allora inizio a diffondere le sue idee a mezzo stampa e nel 1840, pubblicò il libro Allegorie e Bellezze della Divina Commedia.

Nello stesso anno diede avvio alle stampe di un giornale letterario dal titolo: Il Viaggiatore, che per i suoi alti contenuti patriottici fu soppresso dalla vigile polizia partenopea .

Proseguendo gli ideali della Giovine Italia, convinto che sarebbe bastato dare il segnale della rivolta, per vedere insorgere, come un solo uomo i popoli del Regno di Napoli contro l’aborrita tirannide Borbone, egli decise di scendere in campo ed agire direttamente.

A tal proposito ritenne che la sua attività sarebbe stata più pregnante nei paesi albanofoni del cosentino, dove egli, arbëreshë di nascita, era tenuto in grande considerazione e aveva perfino fissato il giorno in cui doveva scoppiare il primo moto liberale calabrese, ma la polizia Borbone anticipò le sue mosse e lo arrestò a San Demetrio rinchiudendolo nelle carceri di Cosenza.

L’insurrezione però solo rimandata, giacché anche dal carcere, Domenico Mauro trovò il modo di comunicare con i suoi amici e il 15 marzo il moto cosentino scoppiò egualmente, ma purtroppo non ebbe un buon esito perché costò la vita di parecchi giovani e valorosi arbëreshë.

Il patriottico gesto valse a richiamare di lì a poco in Calabria i Fratelli Bandiera e i loro compagni, dando così avvio all’azione che sedici anni più tardi, li fece entrare da trionfatori a Napoli.

In quell’occasione Domenico Mauro si salvò perché chiuso in carcere e non ebbe a combattere con gli altri, ma i servizi di polizia dei Borbone sapevano, che tutto ciò era avvenuto per opera del Mauro e mancando le prove di complicità per condannarlo lo tennero in prigione fino al gennaio del 1845, facendolo passare dalle patrie galere i Cosenza a quelle di Santa Maria Apparente di Napoli.

Appena libero ricominciò la sua opera di propaganda con più entusiasmo e nuovamente arrestato sino al 1848, in periodo fu detenuto assieme al fratello Vincenzo che l’anno prima, aveva con altri Italo Albanesi ordito una congiura contro il Re.

Egli fu il principale promotore della manifestazione del 27 gennaio che strappò al Borbone la Costituzione, le elezioni che seguirono furono un suffragio a suo favore giacché gli elettori del suo collegio lo elessero con più di ottomila preferenze.

Avvenuti poi i luttuosi fatti di Napoli del 15 maggio, quando il Borbone abolì la costituzione, fu dei 64 che firmarono la protesta dettata da Pasquale Stanislao Mancini, e dopo aver strenuamente combattuto sulle barricate, corse a sollevare e far sentire forte il grido di libertà dalle Calabrie.

Il Mauro si prodigò assieme al Damis a raccogliere uomini, denari e armi; il Comitato di Cosenza presieduto da Giuseppe Ricciardi, nominò commissari con pieni poteri per il Distretto di Castrovillari i deputati Domenico Mauro e Muzio Giuseppe, anch’egli arbëreshë di Frascineto.

Intanto a Spezzano Albanese e a S. Elia, gli insorti respinsero valorosamente le truppe regie, purtroppo l’incertezza che allora era più forte di ogni cosa, fece venire meno le altre province del Regno e l’inesperienza dei capi puerilmente discordi, da una parte; e la sconfitta di monte S. Angelo, la perdita di Mormanno da cui venivano i viveri agli insorti accampati nella valle di San Martino, e il sospetto temporeggiare del generale Ribotty, dall’altra, produsse il primo luglio lo sbandamento delle truppe del Mauro a Campotenese, e così il generale Lanza, con i suoi uomini poterono ricongiungersi con quelle regie del brigadiere Busacca, che si era rinchiuso a Castrovillari.

La rivoluzione fu così spenta da loro, così come, contemporaneamente, e per le stesse cause, fu spenta dai generali, Nunziante e Nicoletti, nel distretto di Nicastro e di Reggio.

Costretto quindi a fuggire, lasciando il fratello Vincenzo, che in una simulata fuga del Lanza, si era spinto fino a Rotonda, dove poco dopo fu preso e barbaramente ucciso con altri cinque, il Mauro si recò a Cosenza, passò con i membri del Comitato, i Siciliani e gi avanzi delle bande degli insorti calabresi a Tiriolo, poiché Cosenza non era atta a sostenere un assedio; e quando, saputo della capitolazione conclusa fra il Nunziante e Stocco, riusciti vani tutti i tentativi fatti per ritentare la sorte delle armi, Ribotty e i Siciliani vollero tornarsene in patria, egli e parecchi altri, tra cui Nicotera, Miceli e Musolino, presero la via del mare e l’8 luglio si imbarcarono Botricello Jonico per Corfù. Seguendo poi le esortazioni di un comitato romano, del quale facevano parte Giovanni Andrea omeo e suo figlio Pietro, Domenico Mauro si reco da Corfù in Albania e raccoltavi con Francesco Sprovieri, una folta schiera di baldi giovani ,si tenne pronto per sbarcare in Calabria, per prendere in mezzo i borbonici con Garibaldi e Fanti, che dovevano entrare nel Regno delle Due Sicilie attraverso gli Abruzzi.

Ma, per i tumulti di Genova e per altre ragioni, non essendosi potuto fare quel disegno, corse a Roma con Nicotera, Sprovieri, Miceli e De Riso a combattere per quella Repubblica, e caduta questa, corse il pericolo di cadere nelle mani della famigerata polizia borbonica, poiché rifiutatosi di obbedire con gli altri ora nominati, di obbedire all’ordine del generale Oudinot di partire subito da Roma, fu con loro arrestato il 4 dicembre e condotto a Civitavecchia per essere consegnato al governo napoletano.

Dalla cittadina Laziale, si come era provvisto di passaporto Inglese, lui e alcuni suoi amici poterono imbarcarsi su una nave francese per Marsiglia, sceso con un pretesto a Genova e riuscì a rifugiarsi a Torino, città dove già si trovavano altri illustri dissidenti meridionali.

In Piemonte visse umilmente del suo lavoro, a Torino il suo carattere e le sue idee avevano il soppravvento su ogni cosa soleva recarsi nel caffè della Perla, e incontrare gli emigranti meridionali, infuocandosi nella disputa, tenacemente convinto delle sue opinioni, i suoi occhi scintillavano, batteva il pugno sul tavolo, pareva rivivesse in quelle dispute e dimenticare la sua miseria, in quanto il più disagiato degli emigrati meridionali e tale era la sua dignità di povero che bisognava ingegnarsi con i più ingegnosi sotterfugi per, fargli accettare qualche.

Nel soggiorno torinese si convinse della necessità di sostenere Casa Savoia al fine di ottenere l’unificazione della patria.

Nel 1851 pubblica il libro Vittorio Emanuele e Mazzini, in cui, modifica il suo programma repubblicano e indica i mezzi per raggiungere il fine.

In questo frangente Luciano Murat cercò di raccogliere consensi per occupare il trono di Napoli, il Mauro, fece tacere ogni sentimento di opportunismo e tra coloro che firmarono una sdegnosa protesta, in cui si minacciava che se un Murat fosse salito al trono di Napoli, sarebbero corsi a difendere il Borbone.

La guerra di Crimea prima e l’eroica spedizione di Sapri dopo, impedirono quel pericolo e quando nel ’60 Garibaldi si decise di accorrere in Sicilia, con lui corsero anche gli altri arbëreshë, Crispi, Damis e suo fratello Raffaele Mauro, a far parte dei MILLE.

Si distingue nelle battaglie di Calatafimi e Milazzo, e mandato con Stocco, Bianchi e Plutino fu inviato in avanscoperta in Calabria per preparare la strada al Dittatore, venne coinvolto nelle vicende di Soveria, in cui le truppe borboniche del generale Ghio si dovettero arrendere al Damis supportato dai Carabinieri Genovesi.

Seguì il Battaglione degli arbëreshë da semplice militare con la Divisione Damis e Garibaldi in entrando a Napoli venerdì, sette di settembre 1860 da trionfatore.

Poi, mentre tutti chiedevano ricompense ed impieghi, egli non chiese nulla, e pago solo del dovere compiuto, tornò ai suoi studi e alla sua solitudine.

Ne uscì soltanto per rappresentare al Parlamento il collegio di Benevento, ed ebbe la soddisfazione di vedere realizzato, con Roma capitale, anche il più ardito dei sogni esposto nel suo libro del 1851.

Quando si accingeva a pubblicarne altre, per contribuire a fare gli italiani, dopo aver contribuito a fare l’Italia, fu colpito da un terribile male, morì a Firenze il 19 gennaio del 1873 di Domenica e venne sepolto a San Miniato al Monte.

Di lui, pochi oggi leggono gli scritti, pochi ricordano la sua vita temeraria e di eccelso del romanticismo Calabrese; ma quando l’Arberia avrà ricuperato il pieno possesso del senso storico e vorrà ricordare i suoi uomini, per l’eredità che ci hanno lasciato, il libro d’oro dei grandi arbëreshë avrà di diritto una pagina a memoria di Domenico Mauro.

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MONS. GIUSEPPE BUGLIARI – 12 MARZO 1813 – 1 SETTEMBRE 1888 Kùr fërnoi një moth

Posted on 23 febbraio 2013 by admin

NAPOLI ( di Atanasio Pizzi) – Adagiato su una spianata dei contrafforti presilani, a poco più di seicento metri sul livello del mare, tra poggi e valloni che degradano fino alle rive del Crati, si distingue per la sua particolare conformazione urbana, il piccolo agglomerato di Santa Sofia d’Epiro.

Francesco Bugliari e la Moglie Maria Pizzi, abitavano in questo paese nel corso del XIX secolo e precisamente nella cortina edilizia posta sul declivio a sud del Trapeso, da dove si poteva osservare l’affascinante scena dell’Appennino, che si sviluppa nella catena del Dolcedorme; verso levante con le montuosità che degradano nello Ionio e verso ponente i frastagliati e imponenti fianchi della Mula che coprono l’orizzonte del Tirreno.

I Bugliari come la maggior parte delle famiglie di origine arbëreshë viveva in questo paese una vita agiata tra la casa e i campi, da cui provenivano le risorse di sostentamento in  attività agro-silvo-pastorali; solida e nello stesso tempo razionale economia che rnon offriva alcun eccesso.

Era di sabato, quel 12 di Marzo del 1813, quando Maria Pizzi diede alla luce il figlio Giuseppe, che fu accolto e cresciuto sotto la vigile guida dei due genitori, i quali, lo formarono con sani principi morali, rispettoso per il prossimo, divenendo per lui  la fondamentale guida di tutto il suo percorso di vita.

Giuseppe Bugliari consapevole dell’indigenza familiare, da autodidatta riuscì a svolgere l’apprendistato necessario a essere accolto tra gli allievi del Seminario Vescovile di Bisignano; terminando in pochi anni il percorso d’istruzione grazie al suo elevato valore in campo filosofico e teologico.

Durante la sua ascesa di religioso e letterato non ebbe mai incarichi ufficiali, in quanto, fu per quasi tre decenni insegnante privato, ambito dai nobili casati, sia in Calabria Ultra sia in quella Citeriore.

Solamente al termine della sua carriera, per nomina di Papa Pio IX, riveste la carica di Vescovo e Presidente del Collegio Italo-Greco in S. Adriano.

La carica di guida didattica, spirituale ed economica del Collegio gli fu attribuita per il suo indubbio valore morale e religioso, doti essenziali per assumere la guida dell’istituto, siccome ormai alla deriva, andava riformato secondo gli antichi dettami per i quali era stato fondato.

Le sue indiscusse capacità di religioso eccelso, ebbe occasione di metterle in luce già quando asceso agli Ordini Minori, era richiesto in quanto ottimo predicatore, a tal proposito va ricordato in particolare l’orazione del due di maggio del 1835 a Santa Sofia d’Epiro, in onore del Patrono S. Atanasio l’Alessandrino.

Ordinato Sacerdote nell’aprile del 1837, gli fu offerta con insistenza dai dirigenti del Seminario Vescovile di Bisignano, una delle cattedre, che preferì all’insegnamento privato che gli consentiva di uscire dalla sua provincia per trasferirsi a Catanzaro, in casa dell’avvocato Ignazio Larussa, a formare i giovani rampolli di quella famiglia.

Nella capitale di Calabria Ulteriore, il Bugliari intrecciò molte relazioni con letterati di quella città ed avere così a sua disposizione le biblioteche private più rinomate per affinare sempre di più il suo grande bagaglio filosofico, letterale, e teologico.

Religioso per intimo convincimento, con tutto il rispetto e la dovuta obbedienza al capo della Chiesa, il Bugliari, non trascurò mai il percorso degli ideali, di libertà, indipendenza e unità dell’Ita­lia.

Negli anni in cui risedette a Catanzaro, ebbe la possibilità di confrontarsi con eminenti magistrati pres­so la Corte di Appello, tra i quali il Procuratore Generale Pasquale Scura, arbëreshë di Vaccarizzo e da parte della madre di costui, Rosa Ferriolo concittadina del Bugliari.

Fu proprio negli ambiti della provincia catanzarese, colmi di ideologie unitarie che instaurò solidi rapporti all’interno del gruppo dei liberali mazziniani.

Con essi partecipò alla divulgazione del giornale politico della Giovane Italia e per distribuirlo lo spinse a esporsi a rischi e pericoli.

A Catanzaro la Polizia Borbone aveva sentore che i liberali si comunicassero tra loro le notizie del giornale di Mazzini; il Bugliari era tra quelli che erano attentamente sorvegliati, ma per l’autori­tà che casa Larussa rappresentava in quella città non ebbe mai problemi.

Nell’autunno 1847, dovendosi recare a S. Sofia, durante il tragitto, in diligenza, da Tiriolo a Cosenza il Bugliari ebbe modo di viaggiare assieme a un Padre Gesuita.

La conversazione tra i due religiosi divenne ben presto animata; dalla teologia alla filosofia approdarono nel campo minato della politica.

Il Bugliari, manifestò esplicitamente le sue opinioni come d’altronde era convinta tutta la generazione liberale del 1848 e si rivolse al Gesuita con espressioni incaute.

Quest’ultimo prese atto di tali dichiarazioni; a quel punto il Bugliari si rese conto di essersi esposto in maniera incauta e con la persona sbagliata.

Giunti a Cosenza intorno a mezzanotte, il prete sofiota, scese dalla diligenza e prese alloggio in un albergo nei pressi della stazione di posta.

Il mattino seguente fu svegliato della polizia, il Gesuita lo aveva denunciato, per questo motivo venne condotto in commissariato e dopo essere stato minutamente perquisito, lo sottoposero a interrogatorio.

Rilasciato, giunse a S. Sofia, dove gli pervenne dopo pochi giorni, la condanna senza essere sottoposto ad alcun giudizio: l’esilio con divieto d’insegnare per sei anni ad Arena nella Calabria ultra.

In questa cittadina dopo poco tempo si ammalò di gotta e solo grazie all’intercessione del Barone Satrino, del Larussa e del Marchese Gagliardi, tutte famiglie che dal Bugliari avevano grande stima del prelato sofiota, ebbe ridotta la pena.

In seguito nel 1858 si trasferì a S. Sofia, per educare i figli di Raffaella Fasanella, nipote del Vicario Generale della Diocesi di S Marco e Bisignano.

Nel novembre del 1867, abbandona l’insegna­mento privato per dare idonea formazione culturale ai nipoti,  a Cosenza, allievi del rinomato Liceo Telesio.

Nel mese di ottobre del 1860 lo Scura rivestiva la veste di Ministro di Grazia e Giustizia a Napoli sotto il Governo Pro-Dittatoriale di Gari­baldi, avendo l’incarico di scegliere persone note, per coprire posti di fiducia, si ricordò del Bugliari, cui scrisse in Amantea per ben due volte, offrendo la carica di Prefetto della Biblioteca Na­zionale di quella città, con lo stipendio di seimila lire annue.

Il Bugliari ringraziò, perché uomo contemplativo, religio­so e maestro di scuola privata non ritenne appropriato insediare quel dicastero.

Nel 1870 i nipoti che erano stati posti alla sua guida si trasferirono a Napoli per completare gli studi presso quell’Università, con il Bugliari a giuda della loro formazione culturale.

Nell’autunno del 1873 e la primavera del 1874 la Santa Sede, per i tipi di Propa­ganda Fide, diede alle stampe in Roma i libri liturgici del rito gre­co cattolico, per distribuirle alle chiese di pertinenza arbëreshë in Calabria, Basilica, Abruzzo, Puglia, Sicilia oltre alle città di  Livorno, Roma, e Venezia.

Giuseppe Bugliari, lontano da ogni celebrità, fedele guida dei suoi nipoti, celebrava messa nella Chiesa nella zona dei tribunali e ogni sera accanto ai nipoti, mentre loro studiavano, lui leggeva libri liturgici messi a sua disposizione dal Canonico Sovrintendente alle chiese delle colonie Italo – greche, Rosario Frungillo.

Nelle lunghe serate di studio dell’inverno tra il 1874-1875 Giuseppe Bugliari ebbe modo di confrontare le nuove edizioni messe in stampa con quelle antiche conservate nell’arcivescovato partenopeo.

La sua preparazione letterale e la perfetta conoscenza di quei temi gli consenti di rilevare due er­rori dogmatici incorsi nella nuova edizione di Roma.

La creazione di una quarta persona nella Santissima Trinità, era il grave errore rilevato dal Bugliari.

Preoccupato per la gravissima svista editoriale, dato alle stampe, scrisse due relazioni, dense di cognizioni teologiche e dogmatiche, permettendosi in conclu­sione di suggerire il ritiro dell’edizione diffusa e la ristampa di una nuova, idoneamente corretta.

Consigliato anche dal Mons. Frungillo, che pur riconoscendo il grave errore, non si ritenne idoneo a disquisire nei meriti messi in luce dal Bugliari, facendo inviare, a sua firma, le relazioni a Roma.

Nel gennaio del 1875 la Congregazione di Propaganda, appena ricevute le rela­zioni, richiese informazioni su chi fosse il prelato Giuseppe Bugliari da Santa Sofia,  sia al Frungillo che alla Curia di S. Marco e Bisignano, senza che il sacerdote ne fosse informato.

Domenica primo agosto del 1875, il Bugliari nell’ora del vespro fu invitato dal Frungillo a recarsi nella Catte­drale partenopea, ricevuto dal superiore all’interno del sacro perimetro, gli venne comunicato che il Ponte­fice nel Concistoro privato, lo aveva nominato Vescovo greco del Collegio di S. Adriano in Calabria.

Il Bugliari, che non era abituato alla ribalta che gli avrebbe dato questa promozione fu convinto ad accettarla dal Frungillo, dal prof. Vincenzo d’Orsa, dall’avv. Luigi Masci e di tanti altri della colonia albanese residenti a Napoli, in quanto quella era un passo in avanti che faceva tutta la comunità albanofona e fu solo allora che accolse la nomina.

Nella prima decade di settembre 1875, il Papa Pio IX, nomina il Sacerdote di rito greco Giuseppe Bugliari Vescovo di Dansara in partibus infidelium e gli conferisce la facoltà di ordinare i sacerdoti di rito greco nelle province di Calabria e Basilicata.

Eseguite tutte le pratiche in data 15 aprile 1876 fu fir­mato il R. Decreto con il quale Bugliari era eletto Presidente del Collegio di S. Adriano e gli concedeva l’Exequatur come Vescovo Ordinante per gli Italo-Greci di Calabria e Basilicata con nota del 30 aprile 1876  n° 1645.

Mons. Bugliari, che in quei tempi risiedeva a Napoli,  solo nell’agosto successi­vo raggiungere la sede dell’istituto, poiché dovette prima ristabilirsi per gravi problemi di salute.

L’elezione di Giuseppe Bugliari a Vescovo fu per le comunità albanofone negli ambiti di Calabria e Lucania, come una nota stonata.

Infatti egli era un prete vissuto prevalentemente fuori dai contesti minoritari per circa quattro decenni, in oltre era stato formato nel Seminario di Bisignano senza essere stato tra gli alunni al Collegio di Sant’Adriano, in poche parole era quasi uno sconosciuto.

Alla sorpresa iniziale, si diede subito avvio a quelle note vicende interrotte nel agosto del 1806, trame oscure che avevano accompagnato la storia del Collegio da quando venne trasferito a Sant’Adriano.

I residenti di quegli ambiti, si vedenro sfuggire la gestione dello svuotato scrigno e ipotizzarono che l’autore di ciò fosse il Frungillo da Napoli e si recarono presso di lui.

Proveniente dalla gjitonia di Moormorica, una dama istruita dai mandanti locali, abile esperta in questo tipo di mansioni, grazie anche alla sua avvenenza, descrisse il Bugliari come una persona di dubbia morale, riprendendo persino lo stesso Frungillo per aver fatto una scelta, che non avrebbe fatto il bene del Collegio, invitandolo a rivedere la sua decisione.

Monsignor Frungillo, che con le doti della nobile donna e le relazione che essa intrecciava aveva una lucida visione,  poiché era già stato in quegli ambiti come ispettore, a quell’atteggiamento ambiguo, scortese e inconcepibile, s’indispose e con la sua proverbiale calma, moderazione, prudenza e riser­vatezza rispose: “Signora, i Vescovi li fa il Papa, e non io; le chiacchiere sono chiacchiere e i fatti sono fatti; Monsignor Bugliari è un distinto soggetto, di retta coscienza e di mente elevata, egli ha dato buone prove di sé; e farà il bene del Collegio; le nomine dei Vescovi non si possono revocare, mette­te quindi l’animo in pace, e non se ne parli più”.

Il 3 agosto 1882 finalmente Mons. Bugliari s’insediò nel Collegio rivestendo la duplice funzione, vacante da troppo tempo, di Presidente e Vescovo Ordinante per gli Albanesi di Calabria e Basilicata.

Mons. Bugliari amministrò correttamente l’Istituto, mise il vitto in appalto e diede avvio alle fondamenta del pareggio del bilancio, dando avvio all’ispezione della 4a e 5a ginnasiale.

Questo compito fu affidato, addivenendo ad un lodevole risultato, al prof. Kerbacker titolare di sanscrito nell’Uni­versità di Napoli.

La gestione per la riforma del collegio era ormai avviata, furono risolti un numero rilevante di giudizi in via bonaria, che da molto tempo travagliava la vita del Collegio con gli ap­paltatori del dazio consumo, si mise in vendita con trattative private il legname della Grancia di Paola  e il ricavato reinvestito favore dello Stabili­mento sul Gran Libro del Debito Pubblico.

Anche se l’operazione non venne conclusa definitivamente, servivano i permessi sulla contabilità dello Stato, ed è per questo che il Bugliari si recato personalmente a Roma per esporre al Ministero della Giustizia la bontà   delle scelte strategiche ed economiche.

In occasione di questa visita a Roma il Vescovo Bugliari venne ricevuto dal nuovo Papa Leone XIII che di lui conosceva la vicenda della correzione dei testi e per questo gli fece dono di un calice d’oro che fu messo a disposizione dei possedimenti Vescovili.

Nel 1885, peggiorate le sue condizioni fisiche, fece atto di grande coerenza e si recò a Roma per consultarsi direttamente con il Cardinal Prefetto di Propaganda e con il ministero riguardo al suo ritiro a vita privata oltre alle scelte da attivare per la nuova definizione dell’Istituto.

Il Cardinal Prefetto, riconosciuta la necessità del Bugliari, approvò la determinazione, autorizzandolo a concentrarsi col Governo come meglio stimare per la direzione del Collegio.

Dal ministero ebbe la seguente risposta: Lei, Monsignore, si è occupato delle cose di S. Adriano con molto zelo e intelletto, sarebbe dovuto essere nominato Vescovo quaranta anni addietro, per farlo rifiorire come lei ha ipotizzato; ora l’età e la cagionevole salute non le permettono di lavorare più adeguatamente.

Il progetto che tracciò scrupolosamente il Bugliari, in accordo con le istituzioni politiche e religiose romane, preferì delegarlo ad altri, poiché ormai aveva avviato le più idonee strategie, per le quali era stato designato alla guida dell’istituto, decisioni che in pochi anni sarebbero state poste in atto.

Monsignor Bugliari alla fine del 1885 ritornò a S. Sofia, abbracciato dalla quiete della vita di quel luogo ameno, senza tralasciare le sue mansioni spirituali, amministrando la cresima, ordinare i sacerdoti di rito greco e  aggiornando scrupolosamente la sua corrispondenza vasta e complessa.

Affaticato dall’età, dalla gotta cronica, sottoforma cachettica e complicata a broncorrea, venne a mancare nell’abitazione a ridosso del Trapeso di S. Sofia d’Epiro la sera di sabato primo settembre 1888, la sua salma fu tumulata nella chiesa di S. Atanasio del  paese natio.

Tratto da:

Biografia del Vescovo Giuseppe Bugliari;

Il Pontificio Collegio Corsini;

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L’ALBANIA E LA SHOAH

Posted on 12 febbraio 2013 by admin

BOLOGNA (di Giuseppe Chimisso ) – Il Paese delle aquile ha da qualche tempo istituito ‘la Giornata della Memoria’ della Shoah e in questo si è distinto essendo il primo Paese, a prevalente cultura islamica, a farlo; questo è stato indubbiamente un atto di grande civiltà per la condivisione di una memoria comune europea, anche perché se l’Olocausto rappresenta un macigno nella coscienza di molti popoli europei, non figura  fra le responsabilità storiche del popolo albanese, andremo poi a spiegare il perché.

A ben pensarci però, mi riesce difficile accettare l’idea che un giorno del calendario, il 27 gennaio, sia stato istituito, in molti Paesi occidentali, quale ‘Giornata della Memoria’ della sola Shoah e non del Genocidio in generale. Tanti altri popoli hanno subito eccidi inenarrabili nel cosiddetto secolo breve, come i Tutsi sterminati dagli Hutu in Ruanda, come il popolo cambogiano decimato dai Kmer rossi, come gli Armeni nei primi anni del secolo scorso, o come gli zingari e gli omosessuali sterminati dalla lucida follia nazista, che meriterebbero, tutti, di condividere nella memoria collettiva dell’umana vergogna, un posto accanto agli ebrei, visto anche che il nazismo aveva pronta una lista di popolazioni ritenute inadatte alla sopravvivenza…D’altro canto la recente guerra nei Balcani, con le sue pulizie etniche e stragi, per queste ultime basta un solo nome ‘Srebrenica’, ha materializzato l’incubo di un possibile ritorno a pratiche genocide, da molti rimosse.

Gabriele Nissim Presidente della Foresta dei Giusti dopo un lungo e paziente lavoro ha ottenuto dalla maggioranza del Parlamento Europeo che da questo anno il 6 Marzo divenga la ‘Giornata dei Giusti’. I Giusti sono coloro che per rispondere alla loro coscienza hanno rischiato in prima persona per proteggere e quindi salvare le vittime della campagna di sterminio nazista, sono coloro che hanno saputo dire no, al danaro, alla carriera ed all’ipocrisia, uomini e donne normali che nella loro normalità hanno compiuto gesta che non si possono dimenticare semplicemente perché hanno saputo ascoltare il loro cuore.

Durante il secondo conflitto mondiale in Europa, quando il rispetto della dignità della persona  era ridotto a brandello umano, come edere sferzate dal vento i valori di solidarietà, di tolleranza e di umanità, resistevano tenacemente in Albania, malgrado l’imposizione, dopo l’8 settembre, anche di un governo filo tedesco. Questi valori permanevano perché la cultura antropologica e quindi i costumi del popolo albanese sono caratterizzati dalla ‘Besa‘, da quel concetto di onore, di giustizia umana e di tolleranza che porta molto spesso ad aiutare chi si trovi in difficoltà, al di la della condizione, della religione, della nazionalità o stato sociale. Proprio per questo decine di migliaia fra soldati italiani, profughi, sbandati, ebrei in fuga provenienti in gran parte dal resto d’Europa, sono stati protetti e nascosti; una storia straordinaria rimasta, oggi, nella memoria di tanti anziani, assai poco nota all’estero, perché composta di tante storie di normale ospitalità ed accoglienza praticate da semplici contadini e cittadini qualunque.

Un fenomeno, questo, che merita di essere riportato completamente alla luce della verità storica.

La ricerca storica non ha effettuato ancora profondi studi su questo fenomeno, anche perché con la dittatura di Enver Hoxha l’Albania non ha più avuto rapporti con il resto del mondo, e questa storia straordinaria di grande dignità è stata in parte coperta dall’oblio del tempo, però alcuni elementi precisi si possono avere anche oggi: dai rapporti epistolari fra gli alti gerarchi nazisti deputati alla soluzione finale, si evince che per la pulizia del territorio albanese (dagli ebrei) bisognava attendere perché non vi erano condizioni favorevoli, e non vi sarebbero mai state, infatti nessuna deportazione di ebrei si effettuò dall’Albania. Un’altra testimonianza certa è rappresentata, nel Museo dell’Olocausto di Washington, dall’elenco dei nomi di 2.264 ebrei salvati da cittadini albanesi sovente di cultura islamica.

Riporto le affermazioni di Michele Sarfatti, studioso della Shoah e di altre pagine buie della Storia,  che in passato affermava: ‘se i Giusti sono l’orgoglio delle nazioni, il popolo albanese, mi azzardo a dire, anche se le ricerche e gli studi debbono proseguire, rappresenta il Popolo Giusto fra le nazioni d’Europa’. Questa affermazione rappresenta, forse, una inconsapevole parafrasi della piccola targa che vicino al Muro del Pianto in Gerusalemme ricorda un solo nome di un popolo europeo, degno di menzione, quello albanese.

Auspichiamo che, come per la ‘Giornata della Memoria’, le Autorità Statuali albanesi istituiscano il 6 Marzo ‘La Giornata dei Giusti’ per ricordare e tributare non solo un omaggio ai Giusti nel mondo, ma per onorare nel contempo le nobili ad alte tradizioni di tolleranza e civiltà espresse dal proprio popolo in diverse vicende e momenti storici.

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Protetto: UN DISCORSO NUOVO (një fjàlet i ri)

Posted on 01 gennaio 2013 by admin

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Protetto: LE SOVRASTRUTTURE STRADALI NELL’800 E L’INTUITO DI LUIGI GIURA

Posted on 14 dicembre 2012 by admin

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Protetto: ORE 11 DEL 13 DICEMBRE 1856 CRONACA DELL’ESECUZIONE DI ANGESILAO MILANO

Posted on 08 dicembre 2012 by admin

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Protetto: IL SOLDATO ARBËRESHË DEL 3° BATTAGLIONE CACCIATORI – ANGESILAO MILANO

Posted on 04 dicembre 2012 by admin

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Protetto: GLI ALBANESI IN ITALIA

Posted on 19 settembre 2012 by admin

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