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VALIJE” ABRACCI DI UNA INTEGRAZUINE A BUON FINE O FESTA DI SANGUINARIA BATTAGLIA VINTA? (Mëma thòi ezënj Vale Vale)

Posted on 13 aprile 2023 by admin

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NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Nelle trattazioni pubblicate e oralmente diffuse, relative all’argomento Valije, non si producono altro che strappi lungo il Lavinaio e, quando trascinati dalla corrente assieme ei tronchi infruttuosi, degenera ogni cosa in banalità senza futuro, come non faceva la consuetudine tramandata per valori indelebili Arbër.

L’argomento, ormai ha superato tutti i limiti della decenza, dirsi voglia, spaziando oltremodo dal ballo, a battaglie e ogni sorta di attività, che vorrebbe la storia colma esclusivamente di attività negative, dimenticando oltre modo i tempi che furono Kalabanon, Arbanon, Arbër, questi ultimi in particolar modo, inclini a dare sé stessi per le giuste cause di amore e fratellanza.

Qui non si tratta di Pasqua, Pasquetta o giorni non comandati, non si tratta del calendario Bizantino, Giuliano, Gregoriano, Romano, del Popolo Napoletano Marmoreo o di qualsiasi odine cavalleresco in voga o alla moda del momento passato, ma a ben vedere si confondono, Cruente battaglie di sangue, con una festa, un momento di giubilare incontro, tra esuli Arbër e indigeni delle colline del mediterraneo peninsulare, per confermare lo storico patto di integrazione tra popoli con diversi e distinti attività di credenza, mai più avvenuto e concordato nelle colline o di un qualsiasi anfratto del mediterraneo.

Tuttavia a ben vedere e dare senso forte e completo a questa manifestazione è opportuno riportare quanto scriveva Pasquale Baffi nel 1775, pubblicato dall’editore anonimo nel 1835 in terza edizione, del discorso sugli albanesi, senza citare la fonte illustre che forniva quelle antichissime nozioni tradotte dal geco antico e trovate, non nella casa di Salita Sansebastiano 16, ma nello “studio al 61” della medesima cala”.

Testualmente qui riportato: “primo pensiero de’ bugliaart d’Albania che sul cadere del secolo XV esularono in Italia, quello di fondare una patria che salvasse contra al tempo, ei figli, e la propria memoria che lasciavano a loro. Non che ponessero in libri alcuna legge, ma ad imitazione di Licurgo piantavano gli statuti ne’costumi e nella disciplina per l’eternità. Essi nelle chiese su’ cui altari i più distinti impressero i loro stemmi, separarono per ogni famiglia i luoghi, e i sepolcri; e come nella patria antica, qui ancora si reputò degradato chi avesse contratte nozze co ‘ forestieri. Essi anche designarono un mese a primavera durante il quale i villaggi degli Esuli ereditari fossero aperti ad ospitare le mutue rusalles, quei grandi cori mascherati che celebravano l’antico paese e gli alti fatti che vi si erano compiuti. “

Se a queste aggiungiamo le note delle eccellenze del XIX secolo, dell’Arbër, critico musicale, Vincenzo Torelli di Maschito, del Magistrato scura Vaccarizzo e del Civitese Serafino Basta.

Questi sono alcune citazioni che chiudono solidamente l’interpretazione della Valije e, non consente in alcun modo a gratuite interpretazioni, senza fondamento storico e consuetudinario, di fare parte, con forme a dir poco inopportune del motivo di questo appuntamento, sigillo di un’integrazione solidamente portata a buon fine.

Torelli/Scura:” Nei Villaggi vivono dei ricordi delle cose gloriose della patria cantano le gesta di Miloscino, Costantino e del Castriota, cantano melodie mai accompagnate da strumenti musicali e le loro giaculatorie sono insieme di tonalità, femminili e maschili adeguatamente e ritmicamente eseguite a voce o gruppi di voci, queste attività prevalentemente erano svolte in maniera maniacale ogni giorno nel andare a svolgere le attività agro, silvicole e pastorali, durante l’esecuzione e al ritorno a sera sviliti dal lavoro.

Se a queste brevi note rilevate dal critico musicale e poi pubblicate dal noto Vaccarizioto, aggiungiamo le note storiche del “Basta”; il quadro di cosa siano e cosa sono alcune Valije e completo; vero è che non lasciando vie di interpretazione inopportune o addirittura gratuite.

Nel Volume XI Calabria Citeriore Fase I; dal titolo” Il Regno delle due Sicilie Descritto e illustrato – opera dedicata alla Maestà di FERDINANDO II: Seconda Edizione, Alla fine della Pagina 84 e l’inizio della successiva nel paragrafo: Etimologia è trascritto quanto segue: “E’ tradizione tra noi, che i nostri padri avessero edificato i primi abituri in due punti diversi, e la vetustà delle case esistenti nel Piano di Magazzino, e nell’estremità superiore del paese ci persuadono a favore. Esistevano in questi due piccoli villaggi due diverse famiglie condizionate entrambe di cognome [……….]; dominate dallo spirito di ostilità, l’influenza che esse estendevano sui loro coabitanti manteneva una viva dissensione, e coglievano l’occasione nei tre giorni di Pasqua, quando solennizzavano i Piekisit (Vecchi), per venire a fatti d’arme, e sfogare i loro rancori. Le cause produttrici dei loro rancori dell’odio dei [……….], che indusse la colonia a scindersi in due partiti, hanno dovuto essere valevoli anche a dare una diversa denominazione ai rioni che abitavano. Nella platea della Curia Arcivescovile con Porcile nel 1469 e San Basile nel 1510 Vien ricordato il nostro paese col nome di Castrum Sancti Salvatoris, la denominazione che apparteneva a piano di Magazzino”

A questo punto è doveroso trare conclusioni e delineare una nuova è più appropriata strategia di studio interpretativo, dell’evento Vallija, le stesse divulgate senza ragione di essere storia o atti reali che appartengono a tutta la Regione storica, la stessa che così facendo, nel breve tempo non avrà più ragione di essere annoverato e riproposto con queste inadatte divulgazioni orali.

Notoriamente il sostantivo Vale, sta ad indicare il conviviale accompagnarsi e non essere mai soli, ezënj valè-valè, raccomandavano che le nostre madri dicevano al fratello che accompagnava la sorella adulta, o un fratello più piccolo, nell’andare da un posto ad un altro, in onore e sicurezza.

Ma era anche il recarsi ogni giorno nei campi a lavorare, che era semplice da attuare soli o senza un momento canoro conviviale, ironica e stimolante canzone, di genere, specie se diretta alla propria amata o amato.

Erano proprio questo modo di procedere a rendere piacevole il duro lavoro agreste; con canti di genere come annotava Scura su indicazione dei principi del canto di Torelli, in genere ad iniziare, erano le donne a cui rispondevano gli uomini, aprendo un suggestivo e stimolante susseguirsi di ironiche e sotto intese affermazioni.

Tutto avveniva con suggestivi e cavallereschi atteggiamenti, in forma malinconica alcune volte, ma sostanzialmente ironia di genere, dove ad essere poste in evidenza, erano le gesta di uomini o donne per la particolare attitudine, non solo fisica, ma questa, pur se piacevole sempre presentata e coperta da solide velature o similitudini ambientali.

Malinconiche sì, ma la maggior parte delle volte erano abbracci ideali o dichiarazioni d’amore, nei confronti del genere amato o ambito ad essere corrisposto.

Oggi tutto è tradotto e confuso in atti di guerra gli abbracci ideali in forma di ballo sono scambiati in atti di accerchiamento e pene di o ricatti da infliggere, ma non è cosi, infatti i conduttori generalmente due maschi per lato del semicerchio, rappresentano l’uomo, ovvero l’operosità o la forza, di contro  le ragazze o donne che lo completano, rappresentano la parte gentile, ovvero il corpo che genera, da difendere equando ti avvolge tutto diventa magia e genera specie, identità: la vita di quel popolo.

Le Valie non sono una festa di un popolo bellicoso, violento e bellicoso, pronto a presidiati e ricattarti, in quanto esse rappresentano la lucentezza e contengono tutte le cose migliori di ogni Arbër, in forma di generi, costui, credenza; i colori migliori che il genio degli Arbër ha saputo selezionare per riverberare a conferma dell’integrazione e il buon fine a cui si è addivenuti per la conservazione della identità del popolo più longevo del bacino mediterraneo.

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