NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Per ricucire il continuo delle tradizioni, all’interno della R.s.A., si è ricorso all’utilizzo dello “slogan del Recupero della Tradizione” inconsapevole modello dei mali prodotti.
Due termini antitetici a ben interpretare, in quanto, il senso della parola “Recuperare” intende rimettere in funzione una cosa nelle disponibilità, che per un periodo prolungato è stata dismessa o in parte dimenticata.
La “Tradizione” rappresenta il filo ininterrotto delle conoscenze e quindi legano l’essere senza cesure o soluzione di continuità; come si può allora recuperare una continuità da cui non si può prescindere?
L’opera del recupero ha come fondamento la certezza che la tradizione si sia interrotta per il determinarsi di una nuova scienza, di un rinnovato concetto da storia-racconto da storia-problema, o per lo sviluppo dei nuovi processi, sociali, industriali ed economici.
Se l’ultimo punto è molto chiaro, gli altri due vanno analizzati con più attenzione.
Il termine Tradizione (dal latino traditiònem deriv. da tràdere = consegnare, trasmettere) assume il significato di passaggio di nozioni e racconti, soprattutto in forma orale, così come è fortemente radicato nei paesi albanofoni.
La consegna di nozioni da una generazione all’altra, richiede la contemporanea presenza di chi riceve e chi da: il racconto orale non può avvenire che con la partecipazione dell’azione.
Chi racconta è sullo stesso piano di chi ascolta, entrambi devono appartenere alla stessa categoria idiomatica ed entrambi partecipare all’azione più volte, perché i mezzi a loro disposizione sono identici e appartengono allo stesso gruppo cui fa parte il rito da tutelare.
La tradizione implica contatto diretto tra chi tramanda e chi apprende, ciò comporta che le due sfere coinvolte appartengono allo stesso ambito, in funzione della vicinanza parentale.
La tradizione non è altro che il passaggio dell’esperienza vincolata ad alcune regole fondamentali la cui attendibilità del messaggio è garantita dall’appartenenza, del comunicatore e dell’ascoltatore.
A fare da contro altare a ciò è la prassi largamente diffusa dell’esperimento che affonda le radici in presupposti dissimili dagli enunciati originali, l’approssimazione è padrona, e le lacune per questo, cercano l’allineamento senza mai trovarlo, perché perpendicolare alla linea della tradizione originale, producendo così surrogati senza senso, tempo e luogo.
Appare evidente che nel momento in cui si è andato a rispolverare elementi fortemente radicati nelle singole macroaree, immaginando di rivitalizzare o dare continuità a riti, consuetudini, costumi, attraverso il contributo di figure che hanno vissuto ai margini della comunità, il messaggio diffuso è fortemente distorto e colmo d’incongruenze.
Questo penoso atteggiamento è stato possibile vista la statica degli addetti istituzionali storici e clericali, i quali invece di intervenire, energicamente, alla messa in opera del modello trasversale “ del Recupero della Tradizione”, hanno preferito non intromettersi e attendere gli eventi per criticarli.
Il dato è paradossale, in quanto, sarebbe stato più ragionevolmente e costruttivo, predisporre, almeno un momento di confronto per evitare la messa in atto delle pericolosissime e trasversali nozioni, queste ultime amplificate oltre modo, nel corso di appuntamenti storici delle comunità, che per la mancanza, del indispensabile Tavolo hanno confuso: Primavere con Vale; Carnevali per appuntamenti Istituzionali; Riti Religiosi con Eventi da Stadio.
Questo chiaramente per evidenziare solo gli aspetti più elementari, giacché volendo addentrarsi in aspetti legati all’idioma, all’arte e alla consuetudine per i quali è indispensabile una formazione accademica, la manomissione ha innescato infiniti stati di labilità.
Allestimenti innalzati come originali da cento (tanti quanti sono i paesi nel meridione di etnia minore) Armate Brancaleone, che si appoggiano allo slogan e nella migliore delle ipotesi con fare elementare persino nell’utilizzare sostantivi quali: Gjitonia, Rioni, Quartieri, Sheshi, Uhda, Rugha, Shpia, Kaliva, Katoj, Vatra, per gli aspetti urbani; per non parlare di quando i figuranti si auto elevano a ricercatori sotto le vesti di: Linguisti dei Terreni, Scriba, Dottori, Traduttori, Foto-ricalcatori e Antiquari, immaginando che il popolo più anziano del Continente Antico, radicato al solo idioma, si possa interpretare solamente perché si ha nelle disposizioni finanziamenti elargiti, senza cognizione e parsimonia, dalla Comunità Europea o dagli organi preposti per l’emergenza delle calamità naturali.
P.S. – Gli atti volti a individuare le caratteristiche urbanistiche e architettoniche della R.s.A. (Regione storica Arbëreshë) sono stati qualificati secondari o minori, rispetto a quelli confinanti.
Per questo è indispensabile eseguire approfondimenti che partendo dalla lettura geoeconomica, connesse con lo studio degli ambiti storici, urbanistici e architettonici, forniscano elementi utili dai quali e con i quali, identificare il concetto di “Minore”.
Esso va inteso non come inferiore o marginale ma ingrediente indispensabile per scrivere la storia di una macroarea nota; volendo usare un eufemismo sarebbe che: per fare il pane serve tanta acqua e farina “ la Maggioranza”, cui vanno aggiunte piccole dosi di lievito e di sale “la Minoranza”, ma tutti gli ingredienti sono fondamentali per fare il vitale alimento.
Il fine da perseguire deve essere indirizzato verso la ricercare dei diversi contributi delle comunità minori, questi ultimi, nella loro semplicità, hanno caratterizzarono il divenire del paesaggio, visto non tanto come condizionante, ma interconnesso con le realtà attigue, con le quali ha scambiato elementi caratteristici espressi negli ambiti architettonici, urbanistici e ambientali, indirizzati a produrre sistemi sostenibili che ancora oggi sono i contenitori preferiti della micro filiera delle eccellenze.
Va quindi considerato, come scrive L’autore di Sheshi che: “ le comunità, come gli individui, sono dissimili, così come le loro architetture segnano in maniera diversa il territorio dove sono depositati i valori dell’identità culturale”.