Napoli (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – C’è un immaginario nella mente di ognuno di noi che se opportunamente sollecitate rievocano con saggezza i momenti della nostra storia meglio di ogni genere di trattato o immaginario comune e, qui in questo breve si vuole esporre il metodo più attendibile al fine di perseguire e illustrare le antiche consuetudini, ormai dismesse in tutti i centri di minoranza arbëreşë e dalla mente dei comini viandanti.
E sebbene istituti, istituzioni e organi preposti per la salvaguardia della storia, siccome poco attente alla conoscenza, anche se palesano forme di malia, tacciono, preferendo valori mendaci o, ingrate osservazioni di alcuni stranieri che, non potendo fuggire dalle nebbie, le miserie, e le turbolenze delle loro contrade, trovano agio, sanità e quiete, tra le Gjitonie Arbëreşë.
In ragione di questo amenissimo clima proposto e largamente diffuso nei Katundë arbëreşë, secondo le diffuse e ornamentali regole maliziose, nate per conservare, ma non hanno capacita di rispondere ai temi delle cose migliori che avrebbero dovuto onorarci con tutta l’umanità, oggi in travaglio.
Si sono preferiti e avvantaggiati, tutti quanti erano di piccola statura e, questi una volta tornati dalle cattedre dove avevano sognato di essere saliti, hanno scambiato il loro ruolo dei campanili inquadrandoli per minareti mussulmani.
A rivendicare dunque il decoro della nostra ingiustamente malmenata regine storica, si rende necessario un sito come Scesci i Passionatit che in forma di manuale, ne mettesse con chiara parsimonia la visione dello stato fisico e morale di ogni cosa e figura, in modo che anche uno svagato lettore che voglia solo deliziarsi di curiosità e avvenimenti, sia costretto, suo malgrado, a conoscere la parte morale, e trovi, nello stesso tempo quelle notizie che possano avere un posto sicuro, per acquisire tutte le comodità dilettevoli della storia e le cose Arbëreşë.
Per poter comprendere il significato storico di questi modelli, bisogna conoscerli per collocarli geograficamente nelle giuste nicchie mediterranee, poi lungo una direzione di due paralleli terrestri, seguendo il vivere comune più esteso e infine oggi negli ambiti abitativi considerati dormitorio che trovano lavoro a cielo aperto.
Quattro momenti identificabili in: Iunctura familiare, Gjitonia, Vicinato e Quartieri di periferia senza futuro, questi ultimi oggi definiti il lugo senza futuro della società moderna da relegare.
Parlare dei primi due momenti storici della società del mediterraneo quindi è fondamentale anche per capire i motivi della deriva culturale oggi in atto.
Gli argomenti che qui si mia a raffigurare e rievocare sono gli indimenticabili governi di generi Arbëreşë, articolati in senatrici e deputati a vita.
Ed entrambi svolgevano ruolo fondamentale nel garantire la continuità sociale ed economico esecutivo, con dovizia e operosità sostenibile dei generi che davano fioritura Nëdë Katundë.
Il modello di Deputate e Senatori partecipava in egual misura al processo di sostenibilità, per il buon fine, allevando e sostenendo e cogliere le cose miglior di ogni genere, secondo il bisogno di formazione e crescita sociale dei rioni tipici arbëreşë”.
Le Deputate assumevano il ruolo di allestire e preparare i generi in crescita e formazione primaria, gli stessi che poi avrebbero occupato ruoli fondamentali nell’operato locale del Senato locale, all’interno del centro antico e dell’agro di pertinenza comune (Thë Kushëtë).
Tutto questo era indispensabile per rinforzare la filiera produttiva, le attività di consumo e conservazione dei ricavati, garantendo il valore specifico di ogni genere, sostenendo la genuinità di cose, generi e necessità culturale, mantenendo sempre viva la radice per le nuove ere.
Questo sistema articolato, assicurava che gli atti di formazione rimanessero solidali e duraturi con la radice originaria, in correlazione con le consuetudini, trapiantate perché provenienti dalle colline ad est del mare adriatico.
Tutto questo è stato reso possibile grazie al governo delle donne di ogni Katundë arbëreşë, disponendo scelte solide, attraverso atti di formazione rivolti a tutte le nuove generazioni, li nate cresciute e allevate, così rivestendo ruolo, dopo essere stati certificati anche da agli uomini, i delegati della verifica, che l’antico disciplinare era stato rispettato.
Oltre alle funzioni di formazione e controllo, le donne nei loro ambiti di pertinenza (Gjitonia), rivestivano anche ruoli amministrativi, assegnando giudizio fondamentali primi, per il futuro dei generi, avviando e vigilando su quello che sarebbe stato il risultato di tutela.
In sintesi, Deputate e Senatori rappresentavano due momenti fondamentali della formazione, che garantiva il buon esito del sistema sociale di ogni Sheshi o Sheshio e, attraverso questi traguardi, garantire, il rispetto del protocollo di eguaglianza senza prevaricazione alcuna di generi e cose, del popolo sovrano, secondo i principi consuetudinari paralleli e ambientali ritrovati.
Tuttavia, esistono alcune differenze sostanziali, che caratterizzano i Katundàrë arbëreşë, dove il governo delle donne, sa come innescare i cinque sensi o, tempo lento per acquisire sintonia con la storia che scorre, senza sfuggire ai tempi di precedenza.
Gjitonia diventa così, la culla dove si formano e si ripetono i lasciti di scolarizzazione primaria, ad opera delle madri tutte, che qui riunite e sempre presenti in solide attività, valorizzavano tutti i generi in crescita, senza preferenza alcuna, oltre nell’adoperarsi alla compilazione di prima spogliatura dei prodotti e tutto quello che serviva diventasse bagaglio di memoria sostenibile, per il tempo della stagione corta (l’inverno).
Gli spazi gestiti da questo gruppo al femminile coesi e rispettosi dei valori arbëreşë secondo il patto della promessa data (Besa).
Resero questi ambiti che nel corso dei secoli, attraverso il rivestire il ruolo circoscritti dalla Iunctura familiare, in tutto, la prima scuola di formazione per le nuove generazioni in crescita.
Famiglie che si riuniscono, si ritrovano attorno a un ideale fuoco solidare, come avviene in tutti i rioni che compongono il costruito del centro antico arbëreşë.
Riuniti tutti in porzioni ben definite e rigidamente connesse tra le rappresentanti femminili, le deputate di una porzione di abitato, lo stesso dove sistematicamente si compilano e si dispongono le necessità familiari di cooperazione, poi confermate dal governo degli uomini che ne trae beneficio e tranquillità.
All’interno dello spazio dove, la famiglia allargate senza confini, si articolava, erano allevati sostenuti e formati con dovizia di particolari, i generi in crescita, ed avere così, agio di esternare le capacità di genio o lavoro dirsi voglia, le stesse poi sottoposte all’attenzione del governo degli uomini, che esprimevano un parere complementare, perché quello fondamentale era stato già attestato nel tempo dello sviluppo.
Il teorema secondo cui “il governo delle donne arbëreşë cresceva, formava e indicava la via alle nuove generazioni” evoca un’immagine potente, perché istituito a sostenere la comunità.
Tutto questo instancabile operare, va interpretato come leadership culturale e sociale, che non è di mera radice politica, ma piuttosto del ruolo centrale delle donne, nella trasmissione dei valori, della lingua, delle tradizioni religiose, oltre al senso di valorizzare la comunità preparando figure più idonee e senza preferenza alcuna.
Le donne erano fonte di famiglia e, nella comunità, insegnavano non solo le competenze pratiche, ma anche la storia, la cultura e offrendo nel contempo, formazione specifica per gli adempimenti futuri.
In senso figurato, queste donne fungevano da guida morale e culturale, mantenendo viva la memoria e la continuità dell’identità attraverso le generazioni che doveva sapere cosa scegliere, per loro e la sostenibilità in evoluzione.
Riferire del “luogo dei cinque sensi” senza confini fisici, potremmo parlare di un concetto simbolico o esperienziale piuttosto che di un sito geografico reale.
Vero è che un luogo senza confini fisici dove i cinque sensi (vista, udito, tatto, olfatto, gusto) diventano strumenti di connessione in forma di esperienza meditativa o sensoriale profonda, in tutto spazi comunitari dove si condividono emozioni, storie, rituali, inseriti in un’ambiente in cui si abbattono barriere tra corpo e paesaggio.
Il tutto si concretizza con le pratiche della Gjitonia, dove il “luogo” non è fisico, ma fatto di relazioni, contatto, profumi, suoni e gesti quotidiani.
Nei fatti un “luogo” è relazionale, non delimitato da mura, perché i sensi sono veicolo di memoria collettiva e appartenenza culturale, che coinvolgono senza barriere spaziali, dove il corpo percepisce stimoli per il benessere psico-fisico, senza confini tra interno ed esterno.
Resta nota e si porta ancora memoria della leva di ferro, chiamata “saltarello” (Colòshjnì), posizionata in ogni porta, inserito nella parte interna in un apposito alloggiamento che, serrava la porta.
Una chiusura tradizionale caratterizzata da una leva di ferro di due semi archi, la quale quando ruotata, dopo ave chiamato e avuto consenso, dopo il battacchio, il meccanismo, sollevando la leva consentiva l’apertura della porta per entrare dall’esterno.
Questo sistema combinava la semplicità di una chiusura manuale con la possibilità di essere aperto dall’esterno, in modo sicuro e reso disponibile per tutti i componenti di Iunctura che vigilava nel corso della giornata.
È trascorso un tempo secondo cui Gjitoni era meglio del Parente, un teorema diffuso e a dir poco demenziale, infatti il i due sostantivi denotano entrambi un legame sociale e parentale, anche se il parente quando si reca in una casa è l’unico momento della storia di questo ambito dei cinque sensi, in cui le porte non si chiudono solo con il “saltarello” (Colòshjnì), ma di giorno e con la chiave, e le finestre si adombrano con gli scuri, perché quel governo delle donne viene ispezionato da Presidente in persona (Tatë Madj) e le scelte di uno specifico nucleo familiare devono interessare la Famiglia Arbëreşë, quella fatta dal padre la madre i figli le mogli e prole.
Tutto il resto era fuori l’uscio di casa e l’intimo della decisione non doveva fare parte in alcun modo, dell’ambito sociale della Gjitonia, che per questo veniva esclusa delle scelte ristrette della famiglia parentale.
Molte porte avevano apposto un rettangolino con la raffigurazione vaticana raffigurante un braccio che benediva con la frase latina “In Hoc Signo Vinces” (“sotto questo segno vincerai”).
Questo dava la misura del valore di credenza cristiana, che avvolgeva tutti gli ambiti di Gjitonia, gli stessi che nei tempi di pentecoste allestivano altari a impronta di quelli delle chiese per dare senso di credenza a questi luoghi di sociale e buona convivenza.
Oggi dei protocolli che hanno reso possibile la sopravvivenza di questi centri antichi di Iunctura con le numerose Gjitonie locali, hanno smesso da diverso tempo di pulsare, cosi come le prospettive sono di giorno in giorno soffocate da adempimenti inconsapevoli, e colmi di valori in forma di violenza, sin anche quando si modificano. pavimentano o rifiniscono intonaci murari, intesi come tele pittoriche dove raffigurare cose qui mai avvenute o mai transitate.
A noi studiosi osservanti, cresciuti grazie alla formazione materne della Gjitonia, non resta che raccogliere le lacrime amare di questi ambiti, evitando che diventino paludi o trapesi.
Atanasio Arch. Pizzi Napoli 2025-05-04