Posted on 13 settembre 2021 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: LE CASE, LE CHIESE, IL BOSCO, IL CIELO, LA METRICA, LA STORIA E LE ARTI ARBËRESHË
Posted on 04 settembre 2021 by admin
GRECI (AV) (di Antonio Sasso) – Un aneddoto che tanti Arbëreshë ricordano e ripetono spesso, è quello relativo a Scanderbeg in punto di morte. Si fece portare un mazzo di rametti ed invitò i presenti a spezzarlo. Nessuno ci riuscì. Chiese quindi ad un giovane di provare e gli suggerì il sistema migliore. Ruppe i singoli rametti e quindi il mazzetto si sfaldò. “Con questo gesto, io, vi volevo dimostrare che se restate uniti nessuno potrà mai spezzarvi, ma dividendovi anche un solo bambino potrà condurvi alla morte”. Detto questo spirò. Credo che questo sintetizzi in pieno l’animo della gente di Greci. Dopo sei secoli sta ancora lì, conserva la lingua, oralmente trasmessa, tradizioni e cultura ed una gran voglia di continuare a lottare per non interrompere questo affascinante amarcord. Più il rischio spopolamento diventa reale, più lo sforzo si moltiplica. Più la generazione avanti negli anni diminuisce, più le nuove ritornano a dare linfa vitale, anche se per periodi sempre più brevi. Il legame con la terra dei propri avi, le consolidate radici, la forza interiore, lo spirito bellicoso che contraddistingue i Grecesi, i forti contrasti che caratterizzano i rapporti interni- a volte gli uni contro gli altri armati – i dissolvono nel momento in cui qualcuno osa chiedere dov’è Greci. Quando si parla di Katundi un unico sentire, un unico ardore, una grande complicità! Da questi impulsi nascono conseguenzialmente, alcune considerazioni. Ognuno nel proprio ambito, sfruttando al meglio le conoscenze e le amicizie, ha cercato rapporti che potessero dare visibilità alla Comunità Arbëreshë. Così si spiega la cortese disponibilità dell’Ambasciatore- prof. Neritan Ceka-a fare la prefazione ad un mio libro e mi piace riportare un brano: “ leggendo il racconto è come vedere quasi un film il passato di Katundi, che somiglia ai paesi albanesi della mia infanzia. Sono innamorato di Katundi sin dalla prima visita nell’agosto del 2014”- e ancora “abbiamo dimenticato le sofferenze e le privazioni e abbiamo conservato gli odori e i colori di una vita semplice e diretta”. Le Istituzioni, in occasione della visita del Presidente d’Albania dott. Ilir Meta , coincisa con l’inaugurazione del busto di Giorgio Castriota Scanderbeg sono state molto attente e la popolazione tutta ne ha preso atto. E’ stata una festa di popolo! La visita graditissima del Console generale di Albania, il 25 u.s., festa di S. Bartolomeo, Dott. Gentiana Mburimi è un’ulteriore conferma dell’impegno generale. Personalmente ho rapporti cordiali su Facebook con il Ministro della Cultura Albanese Prof. Elva Margariti. A suo merito, mi piace ricordare la presenza dell’Albania all’ultima Biennale di Venezia e i tanti siti recuperati. Questo poi è un anno particolare in quanto ricorre il trentennale dello sbarco della nave “Vlora”. La popolazione di Greci è stata in prima fila ad offrire solidarietà ed ospitalità. Immediatamente si è messa a disposizione al grido di “gjàku i shprishur su hàrrùa” ed ancora oggi sono presenti famiglie, perfettamente integrate, di quel momento storico. Non ultimo è d’uopo ricordare il comune sforzo profuso dalle Acli regionali e dall’arch. Pizzi – anche lui arbëreshë di Napoli – per perorare l’intitolazione di una strada e della relativa targa in via S.Chiara a ricordo degli anni vissuti a Napoli dalla Regina albanese Andronica Arianiti Comneno – vedova di Scaderbeg. Su interessamento del Sindaco De Magistris, la Commissione toponomastica partenopea ha espresso parere favorevole ed una delegazione composta dal Comune di Napoli, dalle Acli e dall’arch. Pizzi, è stata ospite del Comune di Greci il 21 luglio 2021. “Oggi il Paese è bello, sempre più ameno e dolcissimo da gustare: ma quanto è vuoto ahimè! Lo spopolamento sistematico lo sta riducendo ad uno stato di quiescenza che l’anima sola può far rivivere!”
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Posted on 30 agosto 2021 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Era il 6 giugno del 2015 e l’Abstract inviato per la fase preliminare del convegno organizzato da ReUSO a Valenzia, con titolo:” Patrimonio della Regione storica Arbëreshë, Centri minori per la cultura dell’integrazione” era stato approvato e dovevo redigere la relazione finale.
Tra tutti i paesi ricadenti all’interno della Regione Storica Arbëreshë avevo scelto Greci, uno di quelli campani ricadenti nei pressi del vicus romano Aequum Tuticum sulla via Traiana a cui si intrecciavano i tratturi e il camminamento della via Francigena sulla Valle del Bovino.
Non avendo riferimenti locali in quella macro area, telefonai al Comune e attraverso lo sportello linguistico mi fu data l’opportunità di incontrare una delle memorie storiche di quel paese, il Professor Morena M. A.
Quella mattina come un orologio, o meglio come un professore di altri tempi, si fece trovare in piazza in perfetto orario e dopo una breve conversazione preliminare, iniziammo a conversare in arbëreshë su aspetti generali della storia e le consuetudini locali ancora presenti nella memoria.
Mi ero recato all’interno di quelle trame edilizie per verificare le caratteristiche che legano tutti i paesi arbëreshë della regione storica, al fine di estrapolare anche in quegli ambiti il modulo abitativo primario, “la Kaljva”, di cui si conservano esempi interessantissimi, anche se fortemente modificati, con aggiunta di numerose superfetazioni.
La conversazione con il professore, prima su aspetti generali divenne subito più approfondita verso le vicende e fatti più particolari della storia degli arbëreshë di quella ben identificata area strategica, l’unica dove con molta probabilità il condottiero Giorgio Kastriota vi soggiornò.
Il professore da voce storica locale, molto attento e preciso, mi prese idealmente per mano accompagnandomi per le vie del paese, nel breve, il discorso divenne, un esame locale, a cui la lucida memoria del professore rispondeva con entusiasmo a tutte le domande, nonostante il professore rimanesse sempre più stupito delle conclusioni da me esternate e da lui entusiasticamente condivise.
A un certo punto, si interruppe la conversazione e con fare molto serio, il professore esclamò: Architetto di chi sei parente a Greci; a che famiglia appartengono i tuoi genitori qui da noi ndë Katundë?
Rimasi senza parole alla sua domanda e aggiunsi, professore io sono di Santa Sofia, in provincia di Cosenza e conduco una personale ricerca/battaglia a Napoli, Greci per me è uno degli otre cento paesi arbëreshë che studio, anzi le confesso che è solo la seconda volta che mi reco a visitarlo.
Lui continuava a rimanere scettico, in quanto diceva che le domande e le considerazioni che traevo alle sue nozioni consuetudinarie calzavano a pennello con i trascorsi storici del suo paese, nessuno avrebbe potuto conoscerle se non un figlio di una memoria storica locale.
Spiegai che parlavo secondo la consuetudine che legava tutti i paesi arbëreshë, da me visitati e studiati, stressa radice innestata nelle terre del meridione parallelo, al di qual del mare stretto e a forma di fiume, parallelismi territoriali antichi, importati dalle terre di origine dalle famiglie allargate Kanuniane.
A quel punto decise con forte determinazione che io dovessi urgentemente incontrare gli amministratori locali e quelle precisazioni storiche, che avevo a lui riferito, dovevano essere note anche a a chi li doveva tutelare.
Non avendo alcuna necessità in tal senso mi chiesi come mai questa sua volontà, o meglio questa urgenza impellente, ma lui senza dare spiegazioni tornava a dire che era fondamentale che anche le “voci altre” mi ascoltassero.
Lo segui in comune poi in un cantiere, ma nessuno gli diede ascolto, a quel punto decisi di partire, perche l’ora era tarda e nessuno gli avrebbe dato udienza a me e al professore.
Fortemente convinto della sua decisione, a quel punto per intrattenermi, mi condusse a casa sua e non sapeva cosa fare e dire pur d’intrattenermi, iniziò a raccontare una serie di eventi locali in dissuso oltre a donarmi un suo libro e illustrarmi foto.
Mi resi conto che “ndë Katundë”, era in atto un progetto di valorizzazione locale portato avanti da “voci altre e inesperte” e non volendo assolutamente, in alcun modo, volontà di intaccare il lavoro accademico delle“voci altre” salutai il professore ringraziandolo dell’accoglienza e delle notizie fondamentali che mi aveva fornito.
Era evidente che era rimasto male, non per la mia decisione di andare via, ma per non essere stato ascoltati dai locali; continuai a seguire nello specchietto retrovisore della mia autovettura, quella persona delusa in mezzo alla strada, li dove la via che porta a Greci, incrocia la piazza, la prospettiva diventava sempre più piccolo, fino ad una piega della strada, che lo fece sparire dalla mia visuale.
Dopo pochi mesi seguenti, quell’incontro, il professore Morena passo a miglior vita, ogni volta che penso a Greci mi chiedo, cosa sarebbe cambiato, se quel giorno le “voci altre” gli avrebbero dato ascolto?
Sicuramente pale eoliche, e una serie di esperimenti canori che parlano di treni dalla Germania, non avrebbero fatto parte della storia che ha dato origine alla regione storica, su base linguistica, idiomatica, consuetudinaria, della metrica del canto; ma questa è un’altra storia; quello che più mi preme sottolineare è la pena di quella figura locale, che in mezzo ad una strada, diventava un’ulteriore voce arbëreshë, sempre più piccola e inascoltata, sino a sparire dove vedevo e dove sentivo.
Atanasio arch. Pizzi Napoli 6 Giugno 2015
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Posted on 09 novembre 2020 by admin
NAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – Descrivere come sia stata vissuta la giornata nel suo paese di origine, nei momenti prima, durante e dopo l’esecuzione di Pasquale Baffi a Napoli, dovrebbe essere il compito di ogni buon ricercatore, al fine di rendere noto alle generazioni locali, come l’11 Novembre del 1799, abbia avuto inizio la deriva dei fraterni valori arbëreshë.
Nulla è noto della misura del dolore di amici e parenti, visto che i suoi genitori erano già venuti a mancare da tempo, ne si ha consapevolezza dell’indignazione, dagli stati generali arbëreshë, i quali, di quella giornata, da oltre due secoli non fanno accenno alcuno negli annali, sia nel corso del decennio francese, sia dopo l’unità d’Italia quando era scomparsa la repressione Borbone, sia di generi e sia di annotazioni.
Quando l’arresto disposto da re all’indomani del 13 giugno, fu eseguito il 28 Luglio del 1799, nel luogo dove il Baffi si era reso irreperibile, immediatamente fu condotto nelle regie carceri della Vicaria, dove ebbe inizio un calvario, senza alcun rispetto sin anche per la moglie, che fu persino invitata, a cercare un altro marito.
Chiaramente l’arresto e gli inviti alla moglie erano idea del regista e dal vile servo G.M ricompensato con 42,9 dei 500 ducati sequestrati in casa del Baffi; a tali fatti nulla si ha da aggiungere, giacché, basta metterli in secessione di tempo, di luogo, di pene e di gloria altrui, per rilevare la viltà di regia.
Dopo un calvario fatto d’illusioni, offese e umiliazioni, subite dalla moglie oltre le risorse tolte ai figli, come anzi detto , l’8 Novembre del 1799, il generale della suprema corte: condanna “a morir stile forche” Pasquale Baffi, e la sentenza eseguirsi lunedì, undici corrente novembre, conducendo il detenuto, il dieci di novembre nella struttura nei pressi della Piazza del Carmine.
L’ordine, in oltre, precisava che si doveva predisporre la truppa per accompagnato il giustiziando al patibolo, oltre a disporre pattuglie per la città, per evitare qualunque disordine.
Il Superiore “Dei Bianchi della Giustizia che accompagnavano i condannati a morire” riceveva quest’altra lettera: la mattina alla solita ora si rechi ad esortare a ben morire, detto Baffi, e dopo le solite ventiquattro ore di Cappella lo si accompagni al patibolo.
Così dopo l’andata, dei padri religiosi, il giorno 11 novembre 1799, verso l’ora “diciassettesima e mezzo”, in otto coppie di soldati, preceduti dal crocifero, uscì col detenuto, verso l’ora “diciottesima” di quel dì, ad affrontare la morte.
Il terribile particolare narrato dai cronisti è a dir poco raccapricciante: “ per essere stato cattivamente afforcato, si sciolse il cappio e per completare l’opera, il carnefice, scese dal patibolo e preso il povero Baffi, come si fa con un agnello, gli cinse con un coltellaccio la gola”.
Il Baffi venne abbandonato, a terra come monito per gli attoniti spettatori, ricorrenza nota che subivano i condannati per volere speciale della corona.
Tornando ai nostri giorni, se agosto è passato ignorando sin anche il ricordo dell’eccidio del Vescovo Bugliari, l’auspicio di tutti gli studiosi locali di buon senso, vorrebbe costituire la “Fondazione Pasquale Baffi” al fine di ricordare ogni giorno, ogni mese, e ogni anno a venire, quale significato ha, dare se stessi e il proprio sapere per il ben comune senza distinzioni di genere.
Commenti disabilitati su LA MATTINA DELL’11 NOVEMBRE 1799, ALLE ORE 10.00 COSA FACEVANO A TERRA.
Posted on 27 agosto 2020 by admin
NAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – La pandemia non sconfitta, si è insinuata nella nostra vita e per certi versi ne fa parte, tracciando, per questo scenari nuovi, secondo cui le attività sociali vanno riviste a nuova misura secondo un ipotetico, e non ben definito distanziamento fisico, igienico con le cose, riconfigurato nel rapporti tra ambiente naturale e ambiente costruito.
Ciò ha penalizzato a dismisura gli agglomerati in senso di metropoli, città e paesi di varia caratura, in ogni dove, ponendo tutti nella stessa linea di partenza, dal punto di vista economico, dei servizi e della partecipazione sociale.
Degli ultimi fanno parte i noti agglomerati storici detti minori come i Katundë arbëreshë dell’Italia meridionale.
Tutti ancora fermi sulla linea di partenza, a misurare distanze, paure ed economia, immaginando che ciò non estenda la pandemia anche in senso economico.
Certamente dei modelli costruiti delle urbe moderne quelli che hanno più possibilità di ripartire velocemente e che dovrebbero avere una corsia preferenziale sono proprio i centri detti minori, di cui fanno parte i Katundë Arbëreshë.
Potrebbero diventare proprio questi i modelli ideali, dove provare strategie future di convivenza sociale, senza impegnare somme esose, che se distribuite in anfratti metropolitani dove il controllo sfugge e non si comprende l’efficacia, con costi di altra misura economica.
Chi si dovesse trovare a dirigere questi piccoli centro, oggi o tra qualche settimana per il rinnovamento elettorale previsto, se idoneamente coadiuvato, potrebbero predisporre strategie di confronto secondo protocolli di facile attuazione, in quanto, veri e propri laboratori di ricerca.
Sia dal punto di vista degli uffici pubblico, sia dei presidi scolastici, oltre a tutte le attività commerciali e ogni genere che diversamente dalle metropoli, dalle città e i gran centri urbani non possono essere sottoposte a controllo.
Nello specifico i paesi di origine arbëreshë potrebbero diventare laboratori a cielo aperto e attuare prove di del distanziamento sociale più opportuno secondo se si tratti di accoglienza, spettacolo all’aperto o al chiuso e ogni attività di promozione e divulgazione secondo il consuetudinario storico che ha superato, pestilenze carestie e ogni sorta di emergenza, senza mai modificare il rapporto, nel corso della storia, tra ambiente naturale, ambiente costruito e uomini.
Il razionalismo mai sfarzoso al chiuso, comunque sempre ventilato e temperato; strade strette, il cui rapporto con il costruito manteneva con espedienti naturali il valore di salubrità all’aperto.
Scelte strategiche che utilizzavano valori calibrati della forza eolica, solare e idrica; una sorta di labirinto in apparenza casuale, ma in realtà nato secondo canoni atti ad assicurare la vita di quanti all’interno di questi sheshi, continuavano a superare avversità di confronto, sia naturale e sia indotti.
Luoghi di convivenza che non sono stati mai abbandonati, sempre vivi per condividere gioie e dolori prospettando futuri di rivalsa sempre migliori.
Aggi si cerca il distanziamento sia fisico e materiale, si vorrebbero allargare strade case e palazzi, su quale base scientifica non è dato a sapersi, o meglio chi lo dice sicuramente non ha letto di storia o conosce gli avvenimenti del passato.
Quel passato che conferma con stati di fatto che nonostante la peste nera, la spagnola e ogni sorta di emergenza sanitaria vissuta, a nessuno è venuto mai in mete di abbattere il centro storico con pala e piccone, di Napoli, Firenze, Roma, Venezia o ogni capitale che di questi avvenimenti è stato teatro.
Dopo sei mesi di blocco, nessuno ha avuto il buon senso di alzare la bandierina per la ripartenza, sicuramente lo potrebbero fare per i piccoli Katundë arbëreshë come da seicento anni fanno e forniscono un nuovo modo di integrarsi e convivere con la nuova emergenza sanitaria, così come fecero con le genti indigene e i territori paralleli ritrovati riconoscendone da subiti limiti e potenzialità.
Posted on 22 aprile 2020 by admin
BARILE (PZ) ( di Lorenzo Zolfo) – Nel centro arbereshe del Vulture, la solidarietà sta di casa.Da un’amicizia lunga nel tempo, alcuni giovani del posto si trasformano in un Team Vultur 3D operativo, che realizzano delle mascherine, in questo periodo di Covis-19.A darne maggiori ragguagli uno di questi giovani, Daniele Montanarella: “Ci siamo rincontrati nella sede della Pro Loco gentilmente concessa per l’emergenza , dove per più di 10 ore al giorno procediamo nella realizzazione delle mascherine, le quali sono state donate gratuitamente al Comune di Barile, per i Volontari in servizio per la comunità in questo tempo di emergenza. Tutto il materiale utilizzato come il PLA,il più usato nella realizzazione di prodotti mediante l’utilizzo di macchine di prototipazione rapida che utilizzano tecniche produttive quali la FDM (FusedDepositionModeling), meglio note come stampanti 3D con l’utilizzo di Filtri specifici come quelli usati 2 filtri TNT e 1 filtro al carbone attivo il Tempo di produzione: 2 ore a mascherina. Operiamo già da più di un mese nella produzione stampa 3D con appositi strumenti. Il nostro team si chiama Vultur 3D ed oltre a me, collaborano Nicola Rosa e Michele Caccavo. Nessuno deve rimanere indietro specialmente nelle piccole comunità, dove si conoscono tutti ed in occasione di questa pandemia, tutti fanno squadra. Ringrazio l’amico Gianmarco Tirico per il supporto dato per la locazione”.Il team segnala il numero di telefono per contattarli 345 165 3655 per qualsiasi informazione massimo impegno per delle soluzioni concrete all’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19.
Posted on 08 aprile 2020 by admin
BOLOGNA (di Giuseppe Chimisso) – Metà della popolazione del pianeta vive momenti tristi, attanagliata dalla paura e da notizie funeste e per di più segregata in casa.
Tutti stiamo attraversando un tempo sospeso che non ci permette di ipotizzare il domani.
In questo momento il mio pensiero è stato più volte vicino ai cittadini di Civita e nell’impossibilità di essere presente a fianco della comunità che mi ha “adottato” e che quindi è diventata la mia comunità, sono solidale inviando un pacco contenente 250 mascherine da distribuire ai dipendenti pubblici che lavorano front-line e agli operatori economici privati, per la tutela della loro salute.
Il mio piccolo dono rappresenta certo una iniziativa che spero, sommata ad altre in essere, possa aiutare i civitesi a superare indenni questi momenti.
Parafrasando un vecchio detto albanese: “GUR, GUR, BËHET MUR”, “Pietra su pietra, si fa il muro”.
Dono metaforicamente la mia piccola pietra per costruire un muro di solidarietà che fermi il virus.
Nel ringraziarla, Signor Sindaco, per la stima è l’affetto ricevuto dalla comunità di Civita, invio un abbraccio ai civitesi tutti e chiedo alla Sua Persona di farsi interprete dei miei sentimenti di amicizia sincera.
Bologna, 08 Aprile 2020
Giuseppe Chimisso
CITTADINO ONORARIO di CIVITA
Posted on 02 marzo 2020 by admin
NAPOLI (di Atanasio Arch. Pizzi) – Sono continuamente allestite manifestazioni, piattaforme culturali, in cui si vorrebbero valorizzare aspetti e momenti della storia, ciò nonostante, per la scarsa formazione dei rilevatori/relatori, non si lascia mai solco in grado di durare oltre il tempo dell’evento.
Trovare i precursori di questa inesorabile e palese deriva, bisogna cercare nelle pieghe, anomale, della formazione di quanti avrebbero dovuto fungere da pietre miliare e segnare cosa sia libero da interpretazioni e cosa seguire rigidi protocolli.
Queste labili figure essendo state allestite non per meriti, ma per titoli fuori dal seminato, preferirono acque torbide della“acultura” naviganti di notti perenni.
L’unica ragione plausibile è questa, specie dopo i fari accesi da esperti e formati ricercatori, i quali consapevolmente attenti alle ilarità diffuse in temi e in risultati di una politica senza cultura, segnala continuamente figuranti economici, il cui compito non segue i sentieri del sacrificio culturale, preferendo accumulare consensi elettorali per la gestione politica del territorio.
Chiaramente questa è un’ipotesi che non ha alcuna fondatezza, in quanto, sono sensazioni che emergono sulla base degli elementi di osservazione, di un sintetico dipinto, che non lascia presagire cose buone.
In genere quanti si fingono in difesa o per la giusta diffusione della cultura, non sono storici di raffinata completezza, ma “suonatori senza scrupoli”, il cui fine mira ad impossessarsi di frammenti acquisiti dalle altrui menti, per poi usarli senza ne rispetto e ne garbo, certi che i fruitori dell’evento che vanno a produrre è campo di semina di addetti di una simile deriva culturale.
Fissare le tappe storiche della minoranza e contestualizzarle in presidi territoriali ben identificati, non è un compito facile o alla portata di ogni addetto, in quanto, la lettura di particolarissimi episodi, può essere eseguita solo da quanti hanno nel loro bagaglio culturali, l’intangibile linguistico, tramandato senza segni e ne tomi e quindi nella sola forma orale.
Questo è il motivo che spiega i tanti episodi storici disconnessi, presentati come caratteristica della minoranza storica e sono il frutto acerbo di una non cultura irresponsabile, di quanti si elevano a guida senza averne alcuna formazione.
Gli stessi a preferire al libero arbitrio, pur di non assumere alcuna responsabilità storica, l’unica in grado di impedire il proliferare di anomale e mortificanti figure.
Questo ha consentito alla massa di “acultura” di vagare all’interno della regione storica e seminare “alloctonie” prive di senso, costringendo l’intero indotto ad abbarbicarsi a Valjie e Gjitonie copiate da temi di ballo e di vicinato, in tutto rendere la regione storica così banale da non essere considerata da nessuno dei canali turistici.
Quanti studiano e impegnano, per la definizione della storia, documenti, risorse e tempo, non possono e non devono essere scambiati come semplici volontari, obbligati ad offrire, gratuitamente le proprie opere inedite e per questo preziose, a inconsapevoli praticanti.
I quali non hanno la misura di cosa rappresenti la ricerca, l’unica risorsa in grado di contestualizzare, regione storca e la capitale del regno; a tal proposito è bene precisare, che quanti lo pensassero, abbiano almeno l’intuito di scuotersi dal torpore e prendano consapevolezza, che, il lavoro va pagato, se poi è anche esclusivo, va pagato, almeno il doppio anzi direi ancor di più.
Come si può pretendere di fare una mostra, un volumetto esplicativo, contestualizzarli in una ben identificata area metropolitana, secondo il volere di inconsapevoli ed inadatti attivisti senza titolo, speranzosi che gli vengano affidati o consegnando scritti inediti e di inestimabile valore, ad uso/consumo di operatori, privi dei minimali requisiti di comprensione o competenza?
Se esistono persone che credono che per un momento di gloria, ogni cosa vada posto nelle disposizioni di quanti sono abituati a fare il mestiere di antiquari, per i politici locali, “hanno confuso il requisiti della buona educazione”, quella che sta alla base del comportamento di chi fa lo storico, “con altra cosa”.
Questo non è dignitoso, non è giusto, non lascia un buon ricordo, di quanti si presentano come tutori di “beni culturali” e poi si rivelano “usurpatori di beni altrui”.
L’opera di quanti si occupano di storia e offrono solide risposte di luogo, di tempo e di uomini, va incentivano, non obbligato a produrre cento pagine di storia inedita, con immagini e documenti per lasciarli nelle disponibilità di quanti confondono sin anche: Bernardino di Salerno, con Bernardino di Bisignano; in fondo nulla di male si compie scrivendo ciò, solo un salto generazionale di tre secoli e per chiudere il cerchio siamo tornati all’inizio di questo breve.
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Posted on 12 gennaio 2020 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: ATANÀSIO DI ALESSANDRIA O IL GRANDE (Alessandria 295 – ivi 2 maggio 373) (tra realtà e leggende Arbëreshë di un Katundë)
Posted on 01 gennaio 2020 by admin
NAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – Questa magnifica provincia è fertile oltre misura. Non vi cresce solo tutto ciò che serve alle necessità della vita, ma anche tutto ciò che serve alla salute.
Tutti i monti e le valli sono utili e non improduttivi, vi cresce in grande abbondanza ogni tipo di frumento, vino e frutta, tutto della miglior qualità.
Lo stesso vale per l’olio, il formaggio, lo zucchero, il miele, la cera, lo zafferano, il cotone, l’anice, il coriandolo in gran quantità, come pure per la resina, la pece, la trementina e lo storace.
Non mancano miniere d’oro, d’argento, di ferro talco e altri come il sale minerale e il sale marino, il marmo, l’alabastro, il cristallo, la marcasite, il gesso di tutt’e tre i tipi, il minio, il buolo, l’allume, lo zolfo, la calamite, la pietra d’aquila.
Si producono naturalmente consistenti partite di canape e lino e v’è più seta in questa regione che nel resto d’Italia.
Si trovano oltremodo bagni termali, alcuni caldissimi, altri caldi, altri tiepidi, altri ancora freddi, giovevoli in molte infermità.
Sulle sponde dei suoi mari, come pure all’interno, vi si trovano i più bei giardini di limoni, cedri ed aranci di ogni tipo.
La regione è ricchissima di corsi d’acqua, grandi e piccoli, come pure, sulle colline dell’Appennino, dove trovano l’ideale dimora folti boschi di pini, aceri, larici e querce, in clima ideale dove cresce il fungo agarico, candido, profumato, e riluce di notte.
Luogo di pascolo ideale giacché consente transumanze brevi grazie ai suoi pascoli di pianura collina e montagna, in queste ultime trovano dimora ricche riserve di caccia.
Per ciò, non mancano i cinghiali, i cervi, i caprioli, le lepri, le volpi, i ricci, le focene, le martore, le linci, i tassi, i camosci, gli stambecchi, le capre selvatiche, le tartarughe di terra e di mare etc. I suoi mari sono pescosissimi e in molti punti vi crescono i coralli bianchi e rossi, tutti della migliore qualità.
Sulle spiagge si trova anche la pietra di paragone di cui ci si serve per l’oro, l’argento e altri metalli.
Secondo la descrizione della Calabria del XV secolo se associamo il florido approdo, che fu per molti popoli che vi si trasferirono, non per conquistarla ma per viverla in comune accordo con le genti indigene, più di ogni altra regione, una magia innata che possiede solo questa terra e quanti hanno avuto la fortuna di nascervi la deve avere.
E’ opportuno per questo che alla eccellenze naturali siano associato il più idoneo e appropriato indotto culturale su base consuetudinaria, di questa regione, servono allo scopo figure con alto bagagli culturale e sensibilità in grado di avviare l’irripetibile macchina culturale ed ambientale, con processi sostenibili, per dare luce a quanto sino ad oggi è rimasto imbrigliato nei veli provenienti da altre latitudini, gli stessi che per la loro rozzezza richiedono considerevoli energie su base culturale per spazzarle il più distante possibile.
Alla luce di tutto ciò, sarebbe il caso che tutte le persone di buon senso, chiamate alla fine di questo mese di gennaio, a scegliere quali programmi e chi dovrà governare, tutelare e preservare questo patrimonio, senza essere assoggettati a falsi personalismi di partito come spesso inducono ad errore; il momento pretende una saggia riflessione di voto, per una ponderata scelta di futuro sostenibile, atteso dalla calabria e dai calabresi ormai da diversi secoli.
Buon Voto! e ricordate che i domani per la tutela diventano sempre meno, ragion per la quale sappiate usarli con garbo, grazia e rispetto.
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