NAPOLI ( di Atanasio Pizzi Basile) – Napoli nella storia degli Arbër rappresenta la capitale della cultura, per questo, si potrebbe paragonare a un lago buono, alimentato dai torrenti di acque cristalline provenienti dagli oltre cento paesi collinari della regione storica diffusa Arbër, l’ultima forza culturale che alimenta il sapere nel meridione da secoli.
La capitale partenopea da ciò, è stata e resta il luogo dove riecheggia nell’intimità dei bassi e poi su verso i cortili e le scale delle case nobiliari, la favella più antica d’Europa ovvero: l’Arbanon, Arbër, Arbën, Kalabanon, Arbëreshe, da non confondere con l’Albanese, moderna variate dello scisma del 1468.
Numerosi sono stati gli eccelsi che in ogni tempo hanno dato valore al centro antico ordinato, facendolo brillare in cultura, società e scienza, per garbo, educazione e modi di porsi nei veri salotti culturali.
E’ sempre il popolo Arbër a trovare soluzione, strategiche, prima adoperandosi per dissodare e valorizzare terre incolte e risollevare l’economia, poi formandosi in attività di rilievo che dal 1799 riverberarono il modello dei libero pensiero in Europa, ancor oggi inviolato.
Chi vive e studia a Napoli da orfano Arbër, conosce bene luoghi, cose, e avvenimenti oltre i percorsi del processo evolutivo a cui hanno contribuito questa storica popolazione; e rimane a dir poco basito, nel vede giungere frotte di giullari reboanti, che scambiano i torrenti di limpida cultura per “butti”.
I valori culturali diffusamente divulgati da secoli, qui nella capitale, hanno perso la via dell’eccellenza, in quando sono mutate le generazioni di guida istituzionale, oltre la qualità del sapere diffuso, specie per quanti immaginano che abbarbicarsi ad un emblema, possa fornire lumi per se e le nuove generazioni che gli danno ascolto.
La mancanza di culturale non è solo un fatto di formazione o conoscenza, ma è anche il modo con cui ci si pone per raccoglierla; certamente cantando, ballando e rumoreggiando non è il modo migliore per avvicinarsi ai saggi per ricevere in dono lo scettro per la continuità.
Ragion per la quale quei rivoli di acqua limpida, che nutrono il sapere, a ben vedere, per le nuove generazioni non appariscono sufficienti e rendono merito alla cultura, in altre parole, sono intesi come inutili rivoli a cielo aperto, con lento movimento e null’altro; senza immaginare che il filtraggio di quelle acque prima di apparire in superficie è accarezzata da tutte le cose buone che la terra conserva nella sua memoria.
A seguito di questa premessa, la Napoli che racconta degli arbër, dal suo centro antico ordinato, i cardini, i decumani, le piazze, i musei, le chiese, le porte storiche e i quartieri fuori le mura, oltre gli itinerari della memoria, tutti assieme, non hanno bisogno di quanti sono sfuggiti dai recinti dei mandamenti onciari citeriori, per apparire negli anfratti del Plebiscito a raccontare favole e far canzoni secondo le teorie dei fratelli Grimm.
A Napoli è bene che si sappia, esiste già chi ha segnato muri, pietre, anfratti, case palazzi, i quali attendono solo di essere adeguatamente illuminati, per restituire i sostantivi per descrivere l’uomo, il tempo e i luoghi, unitariamente per tutta la regione storica, in altre parole la tanto agognata “Grammatica Arbër”.
In questa magica città, ogni strada, vicoli, anfratto piazza o elevato conosce la storia e tutto quello che qui accadde, grazie a figure di elevata cultura, che scolpirono ogni cosa; solo quanti si recano in rispettoso silenzio, riescono ad ascoltare il suono del vento che genera notizia, senza strimpellare musical, come si fa in altri meridiani, altrimenti si copre ogni cosa e non si ode nulla.
Napoli e la sua riserva di acqua limpida, sono una risorsa naturale per il giardino dove si producono certezze storiche; quanti immaginano di potervi sbarcare seminando fatuo, sbagliato luogo, allo scopo è bene precisare che chi sale in cattedra per germogliare cultura, o è certo della genuinità delle semi che ha in mano o va in altri fiumi più a est, dove tutti sono liberi di seminare la propria confusione condivisa.
Non si possono liberamente iniziare dibattiti, per valorizzare figure, per poi terminare con prestiti e i titoli altrui, il problema è sempre lo stesso; serve avvicinarsi silenziosamente all’argomento, senza rumore, in questo caso specifico, senza partire da casa inneggiando falsità, bastava ascoltare gli echi dei torrenti locali ancora grondanti di sangue, giustappunto, facendosi aiutati dalle generazioni di un tempo ancora formate, presenti e informate dei fatti; almeno avreste evitato d’intorpidire sin anche l’indiscreto fiume Sebeto.