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IL VERNACOLARE BIZANTINO ARBËREŞË, RADICE DEL RAZIONALISMO DELL’ ARCHITETTURA (Kalliva i thë bëniratë spivetë Thë  L’ina Casa)

IL VERNACOLARE BIZANTINO ARBËREŞË, RADICE DEL RAZIONALISMO DELL’ ARCHITETTURA (Kalliva i thë bëniratë spivetë Thë L’ina Casa)

Posted on 22 gennaio 2024 by admin

Ina Casa 2NAPOLI di (Atanasio Pizzi Architetto Basile) – I diffusi manufatti abitativi vernacolari, dei centri minori e dell’agro Arbëreşë, qui presi in esame, hanno convinto a perseguire questa pista di indagine o ricognizione, con lo scopo di sensibilizzare le amministrazioni locali; in figure di genere, ordine e grado pertinente.

Il tema mira al recupero di un patrimonio largamente esposto ai disastrosi operatori, che non avendo misura e formazione pertinente hanno lasciato che il valore di questi storici manufatti, venisse deturpato dalle ire del tempo e dell’uomo munito di pico e accetta.

Quello che oggi ereditiamo dopo questo intervallo sciagurato, è lo stato di degrado rilevato, per il nulla fatto, verso questi esemplari unici dell’edificato vernacolare

I quali si sono potuti difendere solo grazie alla buona scelta dei materiali locali impiegati e resistono in autonomia alle avversità, offrendo a noi tecnici, un’ultima opportunità al loro cospetto, perché allievi dalla “Scuola Olivetara” e dare cosi una nuova era di rivalsa dopo l’indagine qui in proposta.

Questi esempi di architettura vernacolare irripetibili, sono ormai sulla via della terminazione e, in molti casi non si tratta più né di conservare e/o restaurare pur se presenti, ma siccome ignorati, hanno preso la via della terminazione.

Questa breve constatazione non vuole essere atteggiamento accusatorio o di giudizio, degli interventi pubblici o privati, posti o non posti in essere, ma piuttosto un tentativo di sensibilizzazione e trarre l’attenzione, su quanto non è stato fatto per la conservazione di antiche strutture, prive sia di rilievo per la memoria e sia di progetti a fini conservativi.

Inoltre si è constatato che gli esempi disponibili quelli vernacolari, monocellulari denominati Katoj, Moticelljè, Kocellja o Kallive, sono stati poco considerati, mancando una seria attenzione o interesse per la conservazione, che avrebbe dovuto seguire le regole del restauro, per la memoria che avvolgono questi luoghi.

Gli stessi e unici in grado di raccontare o meglio il teatro della storia antica e quella più recente sino agli anni sessanta del secolo scorso.

Quella storia che i letterati, o meglio gli scribi che non sanno di carta lucida, matite e righelli, ma carte e penna per annotare e certificare per conto di chi li ha preceduti, favole di miti diversi senza cavallo.

La possibilità di vedere in tempi brevi realizzato un progetto di ricerca vernacolare, con trasparenza per la sua origine ispiratrice dell’inesplorato mondo tangibile e intangibile degli innalzati storici, fatti dagli Arbëreşë.

Il rapporto, tra scuole locali e beni culturali, sarà uno dei passi fondamentali per aprire un nuovo protocollo di tutela innovativo, che parte dal basso per impedire la deriva di abbandono sino ad oggi lasciata alle ire del tempo.

Allargare l’interesse partendo dal basso con le scuole locali, pronte alla formazione nuova e, poi terminare nei piani alti delle istituzioni sino ad oggi assenti, pur se formate, ma mancanti di leggi specifiche verso il vernacolare Arbëreşë

Le considerazioni che qui seguono e prima sono trattate, mirano ad illustrare quali prospettive potrebbero avere le esperienze pregresse del gruppo di lavoro, le stesse utilizzate e riversate per sensibilizzare le nuove generazioni, verso questi manufatti locali, nelle scuole dell’obbligo lì di fianco e, identificate come vernacolare identitario delle proprie famiglie.

È chiaro che prima di avviare questo percorso di tutela, bisogna giungere ai risultati preposti, con l’ausilio di alte indagini in argomento vernacolare e con la stessa sensibilità utilizzare l’analisi, materica, che possa garantire quali sono gli di edifici civili o eventualmente religiosi e, dopo i protocolli di rilievo, da allegare a memoria del progetto di recupero a farsi, onde evitare di incorrere a errori che ne possano smarrire per sempre l’essenza.

Questo lavoro di rilievo grafico, fotografico, e materico serve a identificare e catalogare, ogni cosa dell’edificato vernacolare della ricerca, previo la definizione di un protocollo con la individuazione di fonti archivistiche e bibliografiche dello stato del modulo, anche se inglobato in edifici di epoca più recente gli stessi che caratterizzano numerosi edificati rinascimentali, diffusamente presenti nelle provincie meridionali.

Lo studio e l’analisi ormai sviluppate e pronte ad essere applicate, potrebbero alimentare future attività di lavoro e recupero del patrimonio vernacolare, gli stessi non contemplato nella tutela dei beni culturali e in specie relativi o caratteristica inequivocabile del territorio minoritario Arbëreşë, anche perché, la legge di tutela 482/99 ad oggi, non è arricchita con le disposizioni dell’art. 9 della costituzione Italiana.

Già consapevoli, dalla corposa, ma lacunosa, documentazione custodita dalle istituzioni tutte, si è partiti con il verificare numerosi centri antichi e i relativi cunei agrari, avvalendosi dell’effettivo stato di conservazione dei manufatti in loco.

Il materiale in elaborazione è stato schedato facendo riferimento, quanto più possibile, alle reali condizioni delle strutture e il materiale che compongono i manufatti.

Il rilievo e le indicazioni grafiche fotografiche e di osservazione in presenza, daranno seguito alla composizione di schede sulla base del comparto di indagine specifico, con le quali si vogliono fissare e fermare lo stato delle cose di conservazione in atto.

Tutto questo per avere lo stato all’interno di ciascuna specifica Manxzana (Rione tipico di Iunctura Arbëreşë) dello stato a seguito di specifico sopralluogo, relazione tecnica, oltre a specifica nota descrittiva, contenente i riferimenti di osservazione materica degli elevati e gli orizzontamenti di piano e lamia di copertura, oltre la descrizione del continuo dei manufatti articolati nel corso degli anni, in tutto, lo stato finale del bene culturale vernacolare Arbëreşë.

L’indagine mira a catalogare sia edifici sul territorio preso in esame, sin anche quanti distrutti o resi ruderi dal tempo e dei quali restano frammenti di testimonianza in resti di fondazione ancora, presenti sotto le eventuali colture.

A breve saranno reso noti reperti non catalogati o addirittura noti, dei quali si ha memoria nei vari sopralluoghi effettuati.

Allo scopo e stimolare ulteriori studi da parte degli specialisti o dalle giovani leve che portano la notizia nei propri ambiti familiari come domanda per ricevere risposta scientifica in seguito.

Alla catalogazione seguirà un’ampia informativa storiografica, o aggiornamento sullo stato della ricerca, in ordine della storia locale, la toponomastica, riferita al comune preso in esame.

Per quanto riguarda i materiali, visto il tema di indagine, si mira a produrre o allestire un Prontuario o manuale che ne dia ampia illustrazione.

Saranno date alle stampe illustrazioni fotografiche e grafici di memoria, al fine di fermare lo stato di quanto sarà descritto, e di quanto scoperto, anche inedito.

Con la consapevolezza che indagini di questa caratura, voglio restituire un lavoro unico di questo genere, l’auspicio o l’augurio vuole che quanto a breve esposto, sia un utile strumento per gli specialisti di nuova generazione o studiosi delle cose di storia locale.

Tutto questo ad iniziare con il comparare quanto di vernacolare innalzato nei centri antichi e dell’agro, specie quanto riferibile in prima stipula degli atti di sottomissione degli Arbëreşë.

Gli esempi estratto dai numerosi o risalenti alle disposizioni delle celle monastiche di area bizantina; le vetrine di genio vernacolare primo, la stessa metrica indagata e riproposta in epoca moderna, dai più illustri architetti del razionalismo del secolo appena trascorso.

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LA PENA INFLITTA A SOFIA, LA FIGLIA DI FEDE SPERANZA E CARITÀ

LA PENA INFLITTA A SOFIA, LA FIGLIA DI FEDE SPERANZA E CARITÀ

Posted on 09 gennaio 2024 by admin

Cattura sotto sopra

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile Dentico) – Le istituzioni succedutesi nel corso degli anni in quello che nacque come Terra di Sofia, siccome poco attente alle vicende lì in svolgimento, sono state maliziosamente taciute, generando così, mendaci ed ingrate osservazioni da parte di stranieri che svolgono attività senza titoli e meriti di luogo.

Questi, fuggendo le nebbie, le miserie e le turbolenze delle loro contrade natie, non trovando altrove agio, sanità e quiete, adoperandosi, per questo, a riferire anomalie del popolo Arbëreşë, di epoche, luoghi e uomini.

Quello che poi, in definitiva, resta sono il catastrofismo di nomina Kuşetara, steso penosamente al sole, con tutta la sua macchia celebrale indelebile, la stessa che devia la mente di proto figure in perenne evoluzione verso il basso.

Tutte queste poi deturpano le prospettive intatte del centro antico, aprono arcobaleni albanesi in coloriture indigene, tutte pronte a diventare offesa alla memoria di eccellenze locali in grafito di carbonella.

Poteva andare diversamente, ma l’arroganza giovanile diretta e condotta dal “puparo matto”, è risultata essere, più devastante della terminazione di una guerra, un terremoto, un incendio o pestilenza dirsi voglia.

Si potevano esaltare i cunei agrarie della trasformazione o valorizzare il manuale che unisce casa e chiesa, ovvero il costume; si è preferito invece, fare ricircolo di contaminanti, lì dove storicamente si giocava da giovani per imparare a vivere in condivisione e rispetto reciproco di regole fatti e cose senza dover ricorrere a costringere la spossa a sollevar vestiti lungo il lavinaio degli uomini.

Anno fatto Workshop e naturalmente, non si è cercato di perseguire la via comoda per citare cose poco note agli indigeni invasori; ma per il solo scopo di elogiare, se stessi, cose e uomini di seconda filiera o tessitura.

In altre parole invitare il forestiero ad osservare le sconcezze o la definizione di uno Sheshi o della Gjitonia, per incuneare nausea, nel voler affermare a tutti i costi evidenti necessità familiari o di gruppi equipollenti.

Si sa che in un centro antico come quello di Terra di Sofia non tutto può essere lodevole, perché la perfezione non è sempre delle opere umane; ma il richiamare l’attenzione altrui sulle proprie debolezze formative, sa piuttosto di sfacciataggine, rivolta nei confronti di un visitatore ignaro.

Constatata la inesorabile deriva ormai in atto e senza regole, thë kuşet e Sofiesh, si ritiene di dover aprire un nuovo stato di fatto o solida egemonia culturale, per fornire almeno strumenti di lettura, indispensabili, ad arginare la pericolosa decomposizione ad opera degli entusiastici adolescenti, che siccome discoli rinomati, nel lavinaio thë Trapësa fanno “pishiallioca e nulla più”.

In tutto un protocollo che ormai è regola di numerosi e distratta scolaretti; in campo del costruito, la storia, il raffigurato, il costume, le favole, il canto e le ballate, prive di radice o di ogni sorta di garbo Arbër/n.

L’auspicio qui perseguito, mira a far dileguare o almeno allontanare da şeşi, rrughe, orti, trapesi, porte gemellate, sedili di conta e processioni, i giullari di mezza festa o solisti alla esasperata ricerca di dogarsi.

La nota di allontanamento perenne, vale anche per quanti si presentano con i veli d’incoerenza, per essere “Attori Primi” senza vergogna e alcun pudore morale, nell’esporre le cose che dicono essere memoria, in archivi e biblioteche, come se chi vive di consuetudini, ogni giorno si reca dal notaio a certificare le cose che costruisce per i domani.

Tutto ciò per raggirare gli spettatori distratti che non sanno di cultura, architettura, arte e storia, in tutto si potrebbero definire gatti, topi, gufi e volpi che per distrarre pinocchio nel paese che non è meraviglia, piantano monete nel solco seminativo; con lo scopo di convincere, del sicuro germogliare di “sonanti circoscritti primi”.

Ormai la deriva si è allargata fuori misura e, si ritiene sia ormai il tempo di arginare il termine per “allontanare gli infanti senza religione Olivetara, perché le Terre di Sofia non sono mai state, così tanto calpestate, offese o trascinate tanto allungo, nel Vutto dei nobili di sopra”.

Una nuova Bertina è nata cresciuta e pasciuta nel corso di questi ultimi tre decenni e se il limite più basso era ballare e cantare con movenze e sonorità per imitare il turco nemico, con incosciente rinnovamento, si poteva pure sopportare ridendo.

Dal ballo e dal canto passare alla storia e alla scrittura in Arbëreşë per diffondere cose articolate e inesatte, il passo è breve e, gli argomenti diffusi dalla Bertina di turno, come tutti sanno, conducono al tradimento e alla morte di fatti, cose e uomini o meglio, alla cancellazione della radice di del Casale Terra, motivo per il quale, è urgente intervenire e rendere illegittimo il postulato linguistico e storico di Bertina, versione 2024.

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REGIONE STORICA DIFFUSA ARBËREŞË INNALZATA, ABITATA E OGGI VISSUTA SENZA RADICI (Iunctura anomala di Vallje, Gjitonia, Rioni, Vestizione, Parlate e Processioni)

REGIONE STORICA DIFFUSA ARBËREŞË INNALZATA, ABITATA E OGGI VISSUTA SENZA RADICI (Iunctura anomala di Vallje, Gjitonia, Rioni, Vestizione, Parlate e Processioni)

Posted on 02 gennaio 2024 by admin

36384154-albero-con-radici-isolateNapoli (di Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Se ad oggi volessimo trarre la somma di quanto prodotto, allestito, cucinato, pubblicato, articolato e contorto, per la tutela delle cose storiche Arbëreşë, si potrebbe ipotizzare la quota massima di uno zero assoluto, se si escludono i nuovi episodi qui diffusi.

Dopo aver viaggiato verso Occidente sino al 2010, poi indagato tutti i cento e nove paesi, che compongono la regione storica diffusa degli Arbëreşë e, in fine attraverso, i paesi dell’Est, tutti gli stati europei, dove resistono più di quanto fanno gli Arbanon, altre minoranze meglio istruite dal basso e, non si comprendono le tangenziali attività dipartimenti, i delegati per tutelare le radici.

Questi pur avendo il compito di indagare comprendere, comparare e leggere il territorio, per rendere chiari gli eventi con protagonisti luoghi, cose e uomini, danno adito a sbalorditive e inesistenti leggende, a cui urge rispondere con forza per evitarne la malevola diffusione della vergona raccolta in funzione dei secoli di semina adnati persi.

Qualche dubbio sorgeva già nel corso del 2003, quando a un giovinetto che frequentava le scuole medie, rispondeva alla domanda: come andava a scuola l’apprendimento dello skip, diffusosi grazie alle risorse della 482/99 a tutela della “Lingua Albanese”.

In giovinetto affermò: io esco dall’aula e gioco a pallone, o gioco ad asso pigliatutto, perché quelli; i professori, non so cosa vogliano e dicano, ma non parlano certamente come mia nonna a casa, quando stiamo davanti al camino.

Sicuramente una risposta sconcertante, per l’età del giovane apprendista minoritario, sottoposto alla gogna di tutela attraverso l’indigena Lingua Albanese.

E tale affermazione, fatta da uno scolaretto, abbisognava di un percorso a ritroso per comprendere cosa fosse avvenuto di anomalo, per giungere a insegnare l’Albanese moderno, nelle scuole dell’obbligo Italiane sotto la giurisdizione linguistica Arbëreşë, per meglio dire, indicare la vecchia via e distrarsi ad osservare il giullare colorato che passa danzando.

Altri episodi a dir poco blasfemi furono: le manifestazioni in memoria della Gjitonia; la violenza scalfita nei quadrangolari murari toponomastici bilingue, le leggende legate al costume da sposa, di cui si divulgavano i primati e nessun contenuto; un processo di studio innescato nelle rime apparizioni pubbliche del 2004 ma da un decennio in prova inventata.

Torna alla mente la memoria di Temistocle, il quale diceva, al piccolo Atanasio: parla bene la lingua Sofiota, perché se sbagli nel pronunciarla, adesso che cresci e giochi in piazza o vai in giro da giovinetto, ti scambiano per estraneo e ti portano a San Demetrio, perché bambino disperso.

Oggi questo avviso per bambini ha finito con il portare adulti a Tirana, dove non si perla certo l’Arbëreşë e i risultati sono a dir poco disarmanti, visto le cose che si elevano, si dicono, si promuovono e si valorizzano, per il parlare strano, e non come parlava ballava e cantava lo zio Celestino, quando faceva innamorare sposi e spose.

Ormai si parla e si raccontano cose che prese una ad una vorrebbero che la minoranza Arbëreşë è Indiana Apache con le capanne attorno al campetto per danzare, non si ha misura di cosa sia la Gjitonia, lo Sheşi, il Costume e gli apparati di decoro, questi ultimi in specie, sono esposti con minori, a dir poco, da perseguire penalmente.

Sono stati realizzati musei  mono tematici cosi come le biblioteche, cose secondo le quali,  la memoria degli Albanofoni che vive si rigenera da oltre sei secoli qui in Italia, fosse opera di uno scrittore, o del campanile più alto costruito vicino alla casa del cultore di turno.

Valgano da esempio gli innaturali sostantivi per riconoscere o attestare il tipo di vestizione comune quali: Festa, Mezza Festa (????); Lutto e Mezzo Lutto (?????), che non trova coerenza, forma o applicazione in nessuna delle società dell’antichità, in quanto inimmaginabile applicativo sociale.

Non esiste struttura pubblica, dove si espongono l’intero o completo grappolo del genio, per il quale gli Arbanon erano ben accolti in ogni luogo,  non per l’esecutiva di lingua o scrittura, quest’ultima, è bene che si sappia, tutelata solo da Pasquale Baffi e poi più nessuno. 

Si ode che alcuni paesi di origine Arbëreşë, non hanno costume, perché in Italia vennero da soldati tutti uomini; questa è una via di fuga culturale estrema, che lascia il tempo che trova, infatti gli esuli della diaspora Arbanon erano gruppi familiari compatti e, non avrebbero mai lasciato la famiglia in balia dei turcofoni educatori.

Ragion per la quale, se non si è in grado di studiare capire e comprendere le cose della storia, perché le istituzioni finiscono addirittura di festeggiare con malevole lapidi in memoria e magari al suono do fanfare prime, le quali, perché musici ignorano cose, terminando tutto in banchetti, balli e giullari ubriachi che indicano vie sbagliate.

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GNË “LLITIRË” VIENË NAPULË PHËR THË BIEGNË KRIPË  (Un Campagnolo viene a Napoli per comprare sale)

GNË “LLITIRË” VIENË NAPULË PHËR THË BIEGNË KRIPË (Un Campagnolo viene a Napoli per comprare sale)

Posted on 18 dicembre 2023 by admin

tabacchiNAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Ogni cittadino residente di Napoli è abituato alle regole del vicolo e, la conoscenza di tutte le cose, le consuetudini e i trascorsi del vivere con le altrui genti, secondo antichissimi protocolli mirati e regolati da quella via dell’accoglienza, confronto e integrazione.

E prima di accreditare la supposizione dei turisti distratti, giunti qui in ore tarde e senza regola, è bene rammentare quali siano le cose che possono e non possono riferire, nell’ambito del comune parlare di cose qui avvenute con pene e valori di rispetto degli altri.

Qui a Napoli ogni cosa deve essere a misura per la sensibilità dei suoi conviventi a memoria, delle cose della storia specie se si tratta degli Arbëreshë, che qui vi giunsero per formarsi e brillare, secondo un patto antico, tra persone per bene e rispettose.

Per questo i turisti colturali distratti, specie dell’ultima ora, qui mai ben accolti nonostante stonati, devono misurare cosa e dove spingersi a elevare canto, perché notoriamente inconsapevoli di storia, uomini, fatti e cose, le stesse che ci appartengono a noi Arbëreshë e qui con rispetto anche se con dispiacere fraterno, fate fiaccolata con il gregge di pecore con le frasche sulla testa, queste attività, potrebbero anche essere intese come ingiuriose dei dotti arbëreshë Partenopei.

Specie se dirette agli educati e saggi che per adesso ridono divertiti dei seminatori fatui, ma potrebbero anche spegnere con argomenti storici la mai avvenuta pena del gregge senza colpa.

Per coloro che non hanno mai potuto visitare neanche le porte della murazioni Partenopea e, non sanno o conoscono, quante sono e quale tesoro, esse proteggono dai comuni avventori colturali.

Gli stessi che sbarcano a Napoli ignudi e con le braccia rivolte al cielo con la speranza che piova pizza margherita dal cielo e, sfamarsi.

Sappiano che non gli sarà concessa un terzo approdo e, la prossima volta, prima di organizzare cose, fatti ad eventi al fine di inveire sulle tavolate imbandite come diceva il Geppetto romanziere, sarà certamente più utile, leggere prima e comprendere cosa esporre e se non sufficientemente formati, trovino genio che spieghi loro, le disertazioni dei partecipanti e singolari figure che, assomigliano molto per il dialetto e le movenze di rito alle Jannare beneventane.

Se poi nello scorrere delle disertazioni avete fame e voglia di pizza, non disperatevi nessuno vi toglie la prelibatezza dal piatto vostro, perché essa si serve appena uscita dal forno, ed è solo di chi la chiede e la paga.

Comuni esponenti senza formazione di crediti acquisiti sul campo, scambiano la Napoli culturale al pari di un giardino di pascolo come quello circoscritto dai regimi succedutisi nei Balcani, dove il bove allevato in cattività, non conosce, o meglio ignora le regole della stalla comune.

Non è un bel sentire espressioni del tipo: solo chi fa parte dei concordati con germoglio di allegorici dipartimenti, può esprimere pareri e ricercare le cose Arbëreshë, pur se constatati i valori alti di cultura e conoscenza dentro l’elevato Bizantino di Napoli.

Ed è per questo che qui le parole devono essere misurate e pesate una ad una e, chi non lo fa, commette peccato e brucerà con i refusi della ignoranza mentale, che cola dalla bocca, il naso e le orecchie.

Queste affermazioni possono valere o passare nei limes dei sottoprodotti, dei lavinai di reflui lenti, del Surdo  e il Settimo, ma non a Napoli, specie davanti alle onde impetuoso del mar Tirreno che si infrangono in gocce al contatto con la scogliera e, dilava le impurità li approdate.

A questo punto una precisazione si ritiene doveroso e indispensabile fare: con molto eco, riverbero e vibrazioni, talli da provocare scuotimento in ogni forma e grado, dei lavinai citati prima, se “il banditore matto”, qui incoscientemente accolto, si è permesso di esprimere pareri, cose, senza senso, garbo, educazione, oltre tutto indirizzando, verso gli intellettuali che in questa città seminano sapere solido e irripetibile, quando gli antenati “di detto banditore” si occupavano a evangelizzare non credenti in prova il genio degli Arbëreshë partenopeo faceva Grammatica.

Blaterare gratuitamente nella capitale della cultura Arbëreshë con queste affermazioni, si fa torto al Reverendo Militare della Real Macedone, G. Bugliaro, voluto da re Carlo III e, in oltre a: P. Baffi, V. Torelli, i Vescovi Bugliari, Francesco e Giuseppe, a G. Feriolo Suocero di De Rada e, P. Scura, ai fratelli L. e R. Giura e tutti gli intellettuali che qui a Napoli, dopo aver fatto solco e semina di cose buone, portarono luce sino alle falde delle inconsapevoli montuosità Balcane.

Nel mentre qui tutti erano incantati ad ammirare, esaltare e distribuire effigi con il cappello mussulmano incuneato nella testa della pecora di Giove, la stesa di chi va per pascoli e, non conosce non sa, anzi non ha misura, del torto divulgato, ignorando quanti stanno ordinati in fila a fare la storia; quella vera naturalmente e non per procura o per ratto.

Quando a Napoli, P. Baffi comparava la lingua Arbëreshë, con il Germanico, il Grecanico, l’Anglofono, i Latinismi, non esistevano in Europa dipartimenti di caratura o funzione equipollente, per questo solo i qui residenti sono gli eredi certificati, di quella storica, cultura e ricerca, unica irripetibile ed inarrivabile, in tutto crusca che non volatilizza, come fa la farina bianca dei mugnai del Crati e dei suoi affluenti.

Diversamente dalla fatua Arberia, che in altre latitudini si preferisce nelle disponibilità di quanti vivono e vegetano quanti per accendere camino usano testi antichi, qui a Napoli quando si fanno e si dicono cose, si piantano radici buone.

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PENURIA CULTURALE PROMOSSA VALORIZZATA E DISTRIBUITA ALLE NUOVE GENERAZIONI (Trùtë i shëprisurë ndë Kushët e ndë Deràvetë thë Sofiesë)

PENURIA CULTURALE PROMOSSA VALORIZZATA E DISTRIBUITA ALLE NUOVE GENERAZIONI (Trùtë i shëprisurë ndë Kushët e ndë Deràvetë thë Sofiesë)

Posted on 08 dicembre 2023 by admin

Hoov,_Soccavo_-_Courtyard,_Soccavo_(16339625512)NAPOLI (Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Il sistema Colturale e Civico diffuso nel loco storico denominato Terra, vive al giorno d’oggi, una deriva culturale a dir poco allo sbando, perché sistema articolato ad opera di figure malevole.

Genere plastico, informe, variabile e viscido che oltremodo ricerca, certifica e promuove cose di archivi e biblioteche, palesando senza dubbio alcuno, la deriva, in pena multi tema, dell’identità, della storia e della cultura .

Essi si presentano in forma come elemosinatori di concetti o di temi, in tutto, con il cappello in mano per avere frammenti di idee e spunti, a cui abbarbicare forme incomprensibili di trattato senza decenza e, dato il luogo dove ciò questo accade, fanno danno a se stessi, alla comunità locale e alla memoria storica scritta e romanzata che qui aveva visto germogliare frutti buoni.

Quanto qui anticipato, per molti addetti culturali, si ritiene sia consentita, la sfacciata libertà di calpestare senza riguardo, il patrimonio di cose innalzate in quattro secoli di Scuola in Terra di Sofia, assieme ai trascorsi dei suoi storici casali, identificati come cunei di semina, selezione e accumulo di beni naturali e coltura.

Un patrimonio diversificato, che non ha eguali, ma purtroppo, posto per incapacità dei “Locali Primi”, che si ostinano a depositarle, nelle disponibilità e lettura, dei citati “storici di vanto”, una penosa schiera di necessità politica “compassati”, i quali, siccome in vestizione tricolore, relaziona cose indicibili del territorio, posto alle falde assolate della preSila, detta per motivi monastici, Greca.

Il luogo noto come ameno della cultura, alla cui guida si posizionano le generazioni dei sessantottini viziati e raccomandati, in tutto, la pena moderna concentrata per l’intero territorio della Regione storica del meridione Italiano.

Il polo colturale, così articolato, possiede osservatori che si posizionano ben lontani dal loco di nascita, onde essere contaminati da tale povertà, per questo possono osservare in tranquillità e sanza essere contaminati, cosa dicono, fanno, combinano ed esternano di pensiero gratuito, senza vergogna ad opera di faccendieri economici e culturali, che non perdono occasione, nell’esprimere stupidaggini in raccolti stagionali, colmi d’imprecisioni o demenzialità, dirsi voglia.

Nonostante a risvegliare gli animi di cultura sia stato P. Baffi, il quale per aver voluto elevare il luogo, finì per essere tradito e fatto scotennare per un suo trattato sottrattogli e qualche tomolo di grano, incassato lì di fronte all’ingresso di casa sua.

Al giorno d’oggi tutto si ripete identicamente e, nulla si può fare contro questa viscida deriva, fatta di giuda culturali sostenuti, diretti e certificati dalle malevole arche disegnate a modo di compasso.

Generazioni sprecate che dalla fine degli anni settanta, raggiunta la maggiore età negli anni novanta non fanno altro che divulgare errori identitari senza vergogna.

Si potrebbero ipotizzare tante cose, ma si tratta solo di educazione culturale, quella che nessun genitore di queste figure possedeva e ancora oggi possiede.

Siano essi noni, nonne padri e madri o parenti in diversa forma o stagione, ed è proprio questo a renderli cosi leggeri e vulnerabili, verso le cose identitarie della storia, al puto tale che pur se frequentano un istituto rinomato o vanno ramenghi per archivi e biblioteche, caricano ogni edito di arroganza per rendersi padroni di storia e di cose che da secoli sono state conservate senza essere mai sciupate o attinte in favore di altri.

Questa diplomatica vorrebbe correggere le cose, senza eccedere o accendere dissidi, ma calmierare gli enunciati storico culturali senza senso per orientare le vele del discorso, senza danneggiare, istituzioni alte, in forte difficolta si editi divulgati.

Le stesse istituzioni o istituti che fidandosi, nel partecipare alle rivendicazioni dei malevoli, in pompa magna, non immaginavano catapultati in penosa divulgazione di eventi e cose delittuose contro rappresentanti delle stesse in epoca antica.

Sono state scambiate case nobiliari, per luoghi di penitenza e prestito del grano, hanno violato il significato di cose e intime divulgandone liberamente il senso, si sono addobbati di costumi anomali ritenendoli di valore antico o arte dei tempi in cui ago e filo non erano ancora stati inventati,

Sono state millantate opere librarie antichissime postate nei bauli dalle terre parallele di origine, dimenticando che gli Arbëri come gli Arbën, non avevano forme scritte o grafiche, perché vivevano di codici antichi, proprio per non esse copiati o sconfitti, quindi privi di scrittura.

È stato attribuito alla festa di primavera, che rappresentava la conferma dei patti di accoglienza e fratellanza “Valle”, la data storica, per ricordare una epica battaglia vinta dall’eroe Giorgio Castriota

Se poi vediamo come ci viene riproposto in epoca moderna, dagli Schupetari come l’eroe che porta in testa il simbolo di una cupola mussulmana, sormontata da una improbabile pecora albanica, non credo sia credibile.

Quanta pena e quanta povertà culturale viene diffusa, e si riverberano non solo dalle Trùtë e shëprisurë ndë Kushët i Sofiesë.

Infatti basta che ti giri un attimo ad ovest e guardi la deriva in cui versa l’impero d’Occidente Arbëreshë molti apartitico e  trovo a medicare nelle periferie, della capitale, cose a dir poco irrispettose, condite con argomenti senza senso o un minimo di ragione scrittografica.

E se poi avete coraggio di volgere lo sguardo o la mira ad est, verso l’estensione dell’impero d’Oriente Arbëreshë,  il quadro appare ardente come l’inferno e servirebbe, tanto olio di olive bianche, per azzerare i peccati di pena per aprire la porta del paradiso culturale sempre in sancito scritto, ma da nessuno in grado di comprendere e leggere.

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VOI LE VOCI ALTRE; IO TESORO METRICO CANTO FAVOLE E GENIO ARBËR

VOI LE VOCI ALTRE; IO TESORO METRICO CANTO FAVOLE E GENIO ARBËR

Posted on 29 novembre 2023 by admin

turisti-napoli-2-5NAPOLI di (Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Considerando che nella legge di tutela delle minoranze storiche, n.482 del 15 dicembre 1999, siano menzionati e applicati solo i temi dell’articolo 3 e 6, della Costituzione Italiana, non è chiaro se deliberatamente o per inesperienza dei delegati, del lungo periodo, di stipula o compilazione dirsi voglia.

Nell’aggiunge il menzionato contenuto nell’art. 9, ovvero la tutela delle cose materiali ed immateriali, oltre l’ambiente naturale, scelto dalle minoranze per insediarsi, lascia più di un dubbio sulla formazione di quanti compilarono quella legge.

Va qui precisato che nell’articolo secondo, di detta legge, si tutela assieme ad altre minoranze in Italia, correttamente specificate,  “l’Albanese” che è una ben identificata e moderna nazione europea, non si comprende come possa essere interessata.

E non certo gli antichi ambiti diffusi del meridione italiano dove si parla l’antica lingua Arbën o Arbër dirsi voglia, ovvero la regione storica diffusa con 109 paesi più Napoli capitale, dove non tutti i Katundë, sono riconosciuti tali, preferendo pero, nella legge indicare, l’Albania moderna intera.

Questo denota la singolare commissione che ne definì le linee generali, immaginando, le minoranze dell’Albania, come una mera rruha, in componimento solitario di pietre calcaree, d’oltre adriatico senza agglomerato cementizio e sabbie drenanti.

La misura terapeutica o dicta diffusi dell’idioma, poi applicato, allertando i provetti pensatori, fu il Decreto del Presidente Repubblica n. 345 art. 1 comma 3 del 2001; che innesca una fiammella di consapevolezza, degli ambiti abitati, tuttavia, in senso generico, generale o addirittura blando dei luoghi, i costumi e le consuetudini che trovarono la culla ideali nel costruito.

Allo scopo e per questo si ritiene indispensabile, urgente e non più prorogabile, esaminare cosa sia utile fare ai fini della conservazione dei centri di lingua minoritaria, per conservare, valorizzare e tutelare anche il costruito storico.

La forma di genio locale diffuso, con particolare attenzione rivolta a tutta la Regione storica Arbëreshë, e non dei pochi paesi parlanti, avendo consapevolezza del fenomeno parallelo, portato nel cuore e nella mente colmi di concetti e valori avvertiti, puntando la detta legge a fenomeni del genio, mai concertati con decenza verso argomenti del costruito.

Poi se si pronunciano discorsi a dir poco pericolosi o ingiuriosi, verso i multi disciplinati, che mirano a tutelare l’intero patrimonio, a cui si prospetta la Furcillense via, in pena decisa dai delegati di inutili e impropri istituti, è la prova evidente che i cultori economici, mirano al fare sterminio culturale di massa.

Delle oltre venti macro aree abitative sparse in tutto il meridione, ad oggi, pochi risultano essere abbandonati, in diversi si rileva la perdita di memoria, altri in via di commercializzazione e la rimanente parte, la più consistente, deturpata perché mai tutelata con dovizia e attenzione storica, dall’articolo 9 della Costituzione Italiana, perché non certificati al pari dei monumenti perché non titolati da nomi eccellenti.

Gli identici ambiti minoritari ripetuti, senza soluzione di continuità che dal dopo guerra, s’incutono gravi danni, all’ambiente naturale e del costruito storico vernacolare.

Onde evitare che si ripetano episodi con enunciazioni simili: Tranquilli vi ricostruiremo un paese Arbëreshë con la Gjitonia dentro; si apre questa diplomatica, affinché, menzogne culturali di bassa levatura, non trovino più una tana dove proliferano ratti, delle questioni culturali e dell’architettura storica dei Katundë.

Ad oggi e ben accolta o accettata l’esistenza di analisi monografiche in temi generi rivolti a questi centri, a dir poco gratuiti, sempre condotta da non titolati, e cosa più grave, da indigeni non parlanti, a questo punto è il caso di iniziare a dare risposte solide e senza labilità, ed avere particolari storico/linguistici, per leggere la sovrapposizione delle cose in relazione all’epoca e ai tempi vernacolari.

Un’indagine rivolta al costruito storico, la culla del parlato, delle consuetudini del canto e delle favole dove la regina del fuoco, verificava costantemente il calore idoneo per le cose della casa e della chiesa, supportato dalla mitigazione dell’ambito territoriale parallelo, che mira all’analisi di sovrapposizione delle forme e dei materiali.

Gli stessi con cui e su cui si presenta il fenomeno del costruito complesso o articolato, oltre all’operare sulla consistenza materica che compone case, isolati, palazzi, vichi, supportici e piazze, le reali priorità in via di analisi e definizione da un gruppo di lavoro multi tecnico e disciplinare.

La complessità del tema ha richiesto approfondimenti in campo materico, sociologico, economico e legislativo, condotti nella consapevolezza che, nonostante l’intervento sul bene considerato, richiede il contestuale operare di tecnici con competenze specifiche e, solo il possessore di una formazione conservativa può esaminarne con piena coscienza la problematica a seguito della quali sarà proposta una relazione storica dettagliata del manufatto o delle insule.

Quanto esaminato e la comparazione di numerosi centri di simili origini ha consentito di individuare valori e significati del costruito, secondo le modalità importate dalla terra di origine, trasmissione avvenuta per esclusiva forma orale, dopo aver riconosciuto le tracce di una profonda cultura vernacolare nelle orografie, i luoghi, oltre le stratificazioni degli edifici realizzati con tecniche semplici e povertà di materiali.

Dalle analisi è emerso che le tipologie, del primo periodo di insediamento degli esuli, erano una forma rudimentale di rifugio estrattivo e una volta stipulati gli atti di sottomissione, e la possibilità di lasciti alla discendenza, sono seguiti le attività additive degli elevati abitativi, come in molti casi ancora appaiono.

Allo scopo in primo luogo è stato identificato, con un approccio deduttivo, individuare l’oggetto di studio: partendo da analisi a carattere generale sui centri storici si è gradualmente ristretto il campo sul centro antico, primo componimento additivo e individuato quest’ultimo, si è gradualmente allargato il campo alla definizione dei rioni diffusi o lineari tipici di questi ambiti.

Le cose emerse in senso sociale, materiale e immateriale, comparate con i centri indigeni di eguale epoca, ancora abitati, oltre a quelli delocalizzati, per eventi naturali o indotti dall’uomo, hanno definito un campo d’indagine, da cui sono emerse numerose differenze.

Allo scopo segue l’evoluzione dei concetti di “centro antico e centro storico”, espresso dalla letteratura specialistica, dai temi in Documenti, Convenzioni e sin anche forme compilate in Raccomandazioni Congressuali.

Consapevoli dei rischi insiti, nello schema di rigidi assiomi, si è proceduto, sia per i centri minori che per quelli abbandonati, al fine di privilegiare, una definizione unica, ritenendo opportuno far emergere quelle caratteristiche che concorrono con maggiore obiettività l’identificato storico, lo stesso che continua ad essere ignorato da diverse istituzioni preposte, ma che non possono essere recepite da non addetti ai lavori, che minacciano Furcillense.

È emerso che un centro minore si sviluppa attraverso coordinate qualitative, riferibili ad ambiti economici, socio-culturali, funzionali e di Iunctura vernacolare, secondo precorsi caratteri dimensionali, e sociali come nei casi sottoposti ad analisi.

Le seconde, di più immediata lettura, sono la soglia numerica, che, come si vedrà, può risultare estremamente variabile.

L’individuazione di un “centro minore abbandonato” deve invece essere estremamente precisa per la molteplice manifestazione del fenomeno e pertanto, ispirata a parametri afferenti alla sfera percettiva, che in alcuni casi espone solo frammenti, senza forma senso e garbo.

Parallelamente all’operazione di identificazione dell’oggetto di studio si è provveduto, in coerenza al percorso deduttivo premesso, ad approfondire la conoscenza della legislazione nazionale e regionale, mettendone in luce positività e carenze, delineate in altro capitolo dal titolo “Aspetti legislativi”.

Un’attenzione particolare è stata qui riservata alla legge della Regione Campania n. 26 del 18/10/2002, in quanto essa, sebbene non pienamente pertinente, per questo oggetto di sperimentazione applicativa in alcuni centri abbandonati, come riscontrabile nella descrizione dei progetti in corso nei quattro centri campione esaminati, dove non appare mai l’involucro abitati co come primo, ma accennato in diverse forme, come di genio diffuso senza tempo.

Relativamente ai, “centri storici minori abbandonati”, è stato approfondito il tema dell’abbandono, nei suoi caratteri generali, non tralasciando valutazioni di tipo economico e sociologico inerenti alla possibile rinascita dei luoghi, nella consapevolezza, di un non proprio progetto.

Ritenuto che l’operazione di restauro non è da sola in grado di assicurarne la piena riuscita, per questo essa deve essere inserita in una strategia complessa e coordinata, possibilmente concordata per essere comprensoriale e continuativa nel tempo e, non mera parentesi di superfetazioni aggiunte per leggi e trame di capitoli economici.

La complessità del tema ha richiesto, per una più ampia definizione, l’analisi delle tipologie abbandonate, le cause e le reazioni, in conformità della poca dedizione allo spopolamento, operando confronti metodologici e procedurali tra realtà regionali, nazionali ed internazionali.

Sulla base di valutazioni teoriche interessanti i processi di nascita, trasformazione e morte di un centro urbano, si è proceduto a selezionare e studiare alcuni casi di rivitalizzazione attuati nel contesto internazionale.

La lettura delle connotazioni positive e delle ricadute negative riscontrate in queste esperienze è risultata utile per delineare possibili strategie operative di recupero, unitamente ad alcune riflessioni suscitate dalla complessa realtà e dal fascino

dell’abbandono in operatori di differenti settori. Gli aspetti geografici, sociologici, filosofici, economici, urbanistici, geologici ed ambientali risultano di fatto complementari a quelli architettonici e restaurativi. Pertanto si è ritenuto opportuno non trascurare il colloquio interdisciplinare nella conduzione del cammino percorso, indirizzato al perseguimento di un effettivo ed efficace recupero socio-culturale dei centri abbandonati, da attuare con gli strumenti del restauro conservativo.

Queste premesse hanno guidato lo studio del caso campano, argomento centrale del lavoro, illustrato nel quarto capitolo “I centri storici minori abbandonati della Campania”.

Il confronto con una precisa realtà territoriale ha consentito la verifica della varietà tipologica con cui si manifesta il fenomeno indagato, facendo emergere così paralleli di lume della presenza di tanti piccoli nuclei caratterizzati da rilevante ricchezza storica, artistica, architettonica, ambientale, urbanistica e culturale.

Per il censimento dei centri ci si è avvalsi nuovamente di una metodologia deduttiva, esplicitata attraverso progressivi restringimenti del campo di indagine, operati con l’ausilio di fonti statistiche, bibliografiche e cartografiche e facendo ricorso ad interviste telefoniche indirizzate ai responsabili degli uffici tecnici; tutte le informazioni sono state successivamente verificate nel corso di numerosi sopralluoghi.

I trenta nuclei individuati, localizzati anche nelle province di Napoli Capitale, Caserta, Benevento, Avellino e Salerno, sono stati classificati in categorie di studio derivate dai caratteri eterogenei riscontrati e, tutti mirano non solo ad esplorare e mettere in dialettico confronto le singole realtà insediative ma anche ad agevolare il controllo dei risultati sia in fase di studio che di presentazione finale della ricerca.

Le caratteristiche di ciascun nucleo sono state brevemente illustrate in schede monografiche nelle quali si è preso in esame l’origine del toponimo, le caratteristiche storiche, geografiche e socio-economiche, gli assetti tipologici nel loro storico determinarsi, le modalità ed i tempi di abbandono, lo stato di persistenza dell’abitato e, dove sono stati predisposti, progetti di recupero, in atto o in corso di elaborazione.

Nella presentazione dei casi di studio, oltre a descrivere le caratteristiche orografiche, paesaggistiche ed urbanistiche dell’abitato, una particolare attenzione è stata indirizzata ai materiali ed alle tecniche impiegate, alle vicende costruttive, alle opere di consolidamento ed allo stato di degrado in cui attualmente versano.

Tra i nuclei censiti sono stati scelti per un’analisi più approfondita i comuni di Santa Sofia D’Epiro e la frazione di Pedalati (CS), Lungro (CS), Cavallerizzo Frazione di Cerzeto (CS) San Demetrio Corone e la frazione Macchia (CS), Civita (CS), Falconara Albanese (CS), San Benedetto Ullano e la frazione Marri (CS), Cerzeto e le sue frazioni(CS), Caraffa di Bruzzano (RC) Caraffa di Catanzaro (CZ) San Nicola dell’Alto (KR), Greci (AV), Ginestra degli Schiavoni (BN), Casalvecchio di Puglia (FG), San Giuseppe (TA), Barile (PZ), Maschito (PZ), Ginestra (PZ), Brindisi Campagna (PZ), Villa Badessa (PG), Campomarino (CB), Ururi (CB), Piana degli Albanesi (PA) e Napoli , in quanto, centri interessati da tipologie simili sia in senso architettonico che di organizzazione urbana tipiche del parallelismo territoriale del mediterraneo storico.

I centri non rappresentano un campione casuale in quanto confermano le tradizioni, nelle diverse macro are regionali di Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Lucania, Calabria e Sicilia, dove è stata approfondita l’evoluzione storico-urbanistica degli insediamenti, analizzando più dettagliatamente lo stato dell’abitare senza murazioni in sicurezza dell’Iunctura.

Va in oltre rilevato che un latente abbandono diffuso senza soluzione di continuità, è in atto dagli anni sessanta del secolo scorso, per questo, il futuro di questi centri non focalizza nulla di positivo in forme di merito alla tutela con le istanze culturali del restauro conservativo.

Le vicende degli alberghi diffusi o dell’ospitalità alberghiera privata in questo momento produce danni irreversibile, un assalto di cavallette impazzite invade i nostri centri antichi e senza tregua,, una forma di accoglienza paragonata a che sino a ieri non aveva letti patti e forchette per mantenere i pochi familiari, oggi invita frotte di curiosi, che terminano con l’imprimere e autografa cose della storia, oltre a portare in pegno intonaci, sabbia e pietre.

In questo discorso si mira a tracciare almeno le linee guida fondamenta della conservazione della parte antica del costruito, con il bandire la libera accoglienza se non negli alberghi, avvalendosi anche del contributo di autorevoli docenti Urbanisti, Storici, Geologi e Antropologi.

L’obbiettivo mira a realizzare progetti, volti alla conservazione del genio locale nel corso dei secoli, avendo come regola prioritaria l’inscindibile legame dell’architetture e la natura, in tutto, il territorio, con i suoi abitanti e con le loro tradizioni culturali storicizzate rivalutate per essere gradualmente e con parsimonia esposte.

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Sila Greca

ABSTRACT “Santa Sofia: i tempi e le cose Vernacolari, Urbane e agresti nel corso della storia” di Atanasio Pizzi Architetto Basile

Posted on 27 novembre 2023 by admin

Sila GrecaSanta Sofia è un comune di minoranza Arbër in provincia di Cosenza (Italia), abitato dal 1471 da esuli provenienti dall’oltre adriatico e accolti dai Principi di Bisignano tra le colline della preSila Greca. Perché luogo in forte calo demografico, dove gli esuli riconosciuti i parallelismi della terra di origine lo preferirono. Lo storico casale era uno dei cinque allocati lungo il confine diocesano di Bisignano e Rossano, dove nel Casale Terra di Sofia, incideva un fenomeno franoso, che ne definì i confini verso est, lo stesso che in epoca moderna, persa la pericolosità in memoria, è stato velato in elevati. Di contro il centro antico sviluppatosi ad, ovest di questo limes, ha da subito assunto le tipologie vernacolari e sociali, importate dalla terra di origine, qui parallele anche alle cose dalla natura, conservando e segnando, grazie alla toponomastica moderna, le tappe evolutive in eredita storica, che non ha eguali o precedenti, dirsi voglia. Rilevanti i principi dell’Iunctura del Katundë, oggi aiutano senza commettere errore a delineare le fasi e lo sviluppo dei noti Sheshi, (confusi per Rioni, Quartieri o semplici Gjitonie). Quindi abitazioni prime in mattoni di “adobe”, poi in pietra, disposti lungo le rrughë, porticati, vichi ciechi e orti botanici, elementi di tessitura urbana a misura che difendevano gli Arbër da bellicosi guerrieri alloctoni, che qui, per questo, non hanno mai scelto di addentrassi perché le dogane delle Kaljve, con porta e finestra gemellata, non avrebbero dato modo di passare per tornare. Lo studio e il progetto qui condotto, mira a creare un manuale per la lettura delle numerose e identiche realtà urbane Albanofone, di tutta la “Regione storica diffusa degli Arbëreshë” le quali, pur se manomesso pesantemente, perché non tutelato dalla legge incompleta 482/99, resistono caparbie, nonostante è stata posta a regime, per la poca esperienza dei preposti alla definizione, non tutela gli Arbër, ma gli Albanesi. La legge oltre ad aver lasciato fuori dai temi di tutela, quanto sancito dall’Art. 9 della “Costituzione Italiana”, ha preferito recintare gli immateriali sanciti del 3 e del 6. Per concludere questo breve, si vuole mirare a fornire lumi, per recuperare i cunei di semina raccolta e lavorazione agraria, oltre a recuperare una Insula del “centro antico”, dove studiare e catalogare le sue trame muraria lasciate intatte e leggere le tappe dell’arte vernacolare. Un complesso articolato con gli spazio tipici delle “Manxzane Articolate” colme di spazi utili per un “cento multidisciplinare di studi storici, delle parlate, del costume, in tutto, del genio Arbëreshë”. Le cose che ad oggi restano ignote ai più e produce danno perenne di memoria locale. In tutto, risvegliare l’antico Sapere Sofiota, arenatosi il 18 agosto del 1806, lo stesso che ancora oggi, attende di essere svelato e, illuminare  gli Arbëreshë di simile radice anche oltre il Galatrella e, sino alle terre parallele, questi ultimi in specie, avrebbero bisogno di più cose, visto che ritengono sia un fatto di mera scrittura e non in figure di genio del fare.

 

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IL FATUO, FARINA VOLATILE E LA SOLIDA CRUSCA DEGLI ARBËRESHË

IL FATUO, FARINA VOLATILE E LA SOLIDA CRUSCA DEGLI ARBËRESHË

Posted on 05 novembre 2023 by admin

1787 1814NAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Quando si promuove, si scrive o si tutelano le cose degli Albanesi, si tende a mescolare anche la forma parlata arbëreshë considerandola come Arberia.

Il sostantivo storicamente indicherebbe il centro nord, escluso il sud dell’Albania, inglobando però la Regione storica diffusa Arbëreshë, dell’Italia meridionale, che è altra cosa e, potrebbero essere al più ambito, territoriale parallelo ma null’altro per la storia, la politica e il sociale evolutivo degli ultimi sei secoli.

Ambiti o confini culturali, utili a creare confusione o meglio, seminato fatuo nei giardini dei degli elevati preposti, i quali invece di fare il loro dovere, a modo di mulini, dove si valuta il grano  per la sola farina prodotta, mentre la poca crusca una volta depositata in un sacco usato, viene messa da parte senza alcun rispetto per l’opera del ricavato prodotto.

Quest’ultima, invece di essere saggiamente utilizzata, come facevano i nostri avi, per il ciclo della vita e, le cose sane, viene disprezzata perché rude ricavato del candido genuino.

Fatuo e farina bianca sono gli ingredienti, che vogliono la parlata Arbër, vetusta e senza futuro, ritenendo che la crusca locale non sia indispensabile per la genuinità e la cura della memoria e lo spirito.

Tuttavia nonostante fatuo e farina hanno preso la via del vento e sognano tempeste, la crusca rimane vicino ai nativi arbëreshë, gli unici che tutelano e non smetto di sostenere valori antichissimi, del patrimonio identitari delle genti che furono Arbër e Arbën, senza mai stare lontano dal cuore.

Ritenere che la lingua Arbëreshë sia un esperimento, in fase di arricchimento Albanese, come si fa con le lingue moderne, è un grave disastro storico, non si trovano parole per definire questo errore, specie se si definisce tutto il panorama linguistico antico europeo, senza future e quindi seguire la via della crusca dopo il mulino.  

Ho assistito in due occasioni distinte, in presenza a tali esternazioni e valutando il livello culturale di quanti, dovevano tutelare, proteggere, saggiare, circoscrive dalle inopportune azioni o forme letterarie, per il parlato del genio Arbëreshë, ritengo che esso sia confusa come semplice crusca, da imbibire con la troppa farina l’Albanese.

Se i predisposti presidi in senso generale, si sono occupati a scrivere, una lingua non scritta da millenni, forse avrebbero dovuto dedicare più tempo e attenzione ad indagare il parlato della stagione lunga dedicata al canto (la Primavera) e della stagione breve (l’Inverno) delle favole raccontate al caldo del camino.

Certamente oggi avremmo avuto più energia o certezze per il passaggio generazionale di questa antica forma parlata denominata Arbë/n.

Nel campo dell’architettura esistono due vie che un allievo può scegliere, quella dell’architettura moderna e del restauro, e ognuna di esse ha campi e luoghi precisi dove esprimerle, perché non si imita questo con la farina e la crusca del parlato Arbëreshë, nessuno oggi si sognerebbe di ammodernare il Colosseo o fare un albergo diffuso a Pompei, e mi fermo qui.

Dicono ed è vero che forme scritte comuni, che uniscano più di tre arbëreshë non esistono, tuttavia sfugge a tutti, i delegati comuni, che esisto le direttive sartoriali non scritte, compositi manuali di costumi, i quali se saputi interpretare in lingua originale, non sono altro, che manuali di consuetudini antiche, indispensabili ad unire il focolare di ogni casa, con l’altare di credenza locale.

In tutto, le cose del passato nascono perché segnano il tempo e, nessuno dico nessuno ha il potere di rimuovere le lancette di questo storico orologio locale.

Al giorno d’oggi la regione storica arbëreshë, vive una confusione di campanili locali senza precedenti, dove si contendono cose uomini e fatti, mai avvenuti, per promuovere puro fatuo, invece di calibrare farina e crusca, con dosi a favore della seconda, che porterebbe al valore assoluto della radice della nostra parlata originaria, in altre parole, lo scudo o meglio l’elmo islamico sormontata dal capretto, magari cancellando nomignoli e impropri soprannomi turcofono, come hanno fatti in Terra di Sofia.

L’arbëreshë lo possono difendere solo quanti si son pregiati del titolo di “Crusca Locale”, indicando nomi e cognomi dei docenti sino alla giovinezza, poi grazie alle scelte di studio arrivare a titoli di studio multi disciplinari nel campo dell’operosità fatta di sudore, mirati alla storia e all’architettura, perché, allievi che non hanno mai smesso di pensare in Arbëreshë.

Se a questo poi si aggiungono le capacità di fare strada nel mondo della cultura, pregiandosi di formazione irripetibile, collaborando con numerosi docenti in campo della storia, della Geologia, del Restauro l’Antropologia, della Scienza Esatta e della Tecnologia, senza allontanarsi dal campo del restauro e dell’indagine di luogo, con le note caratteristiche locali di radice vernacolare.

A questo punto per tutti i comuni addetti, è chiaro la paura dilaga e tutti temono il confronto pubblico, ritenendo più utile fare ballate cantando con il vestito da sposa indossato di fretta, con movenze islamiche, spiegare e illustrare le favole in lingua indigena, depositare eroi che guardano in ogni dove, meno che a casa propria e, con l’elmo dell’ironica appartenenza islamica, assegnare titoli impropri o conversare pubblicamente di fatti luoghi e cose senza averne formazione.

La storia degli Arbëreshë è un componimento unico e raro in tutti i suoi aspetti, siano essi idiomatici, del canto, delle favole, delle consuetudini a primavera e in inverno, espressioni che si possono cogliere nella credenza del costume, che unisce, univocamente, casa e credenza, tutto questo fatto sempre rimanendo il più possibile vicini al proprio cuore e a quanti ti hanno consegnato il protocollo mnemonico in eredità e ti sono sempre vicini per consigliarti.

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FALSI MITI E LE REGALI LEGGENDE DELLA REGIONE STORICA DIFFUSA DEGLI ARBËRESHË (Hoj mulinà! e dij se crundia nëngn shëloghètë?)

FALSI MITI E LE REGALI LEGGENDE DELLA REGIONE STORICA DIFFUSA DEGLI ARBËRESHË (Hoj mulinà! e dij se crundia nëngn shëloghètë?)

Posted on 26 ottobre 2023 by admin

BUrrascaNAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Che vi siano scuole di pensiero di ogni ordine e grado, giacche non esistono forme scritte o graficizzate dei trascorsi degli arbëreshë, i quali tramandano ogni cosa, con le regola del parlato, la metrica del canto, le favole, e la credenza popolare, è un dato di fatto irremovibile che rende i comunemente irresponsabili protagonisti.

Tuttavia altra cosa è ritenere, genericamente, questo popolo antico, di alto valore identitario, al di sotto della media intellettuale a cui si può propinare ogni banale episodio, dei suoi trascorsi, le conquiste, i costumi e le figure emblematiche che sono la storia mediterraneo.

Che nel corso degli ultimi sei secoli, siano state violentate molte delle sue credenze, fatti luoghi e cose, poteva anche passare, sulla base delle nuove tecnologie in evoluzione, ma alla fine dal secolo appena trascorso, quanto avvenuto nella metrica del canto, lascia a dir poco basiti, nonostante gli avvisi del noto critico teatrale, che redarguiva di accoppiare musica al canto Arbëreshë.

Se a questo aggiungiamo glia avvenimenti post legge 482/99, che tutela la Lingua Albane e non l’Arbëreshë, il quadro diventa pietoso e senza futuro e, quanti hanno ancora consapevolezza della “crusca arbëreshë” è tempo che la mettano in campo, onde evitare che emergano cose a dir poco paradossali o addirittura blasfeme, per le nuove generazioni della “REGIONE STORICA DIFFUSA DI LINGUA ARBËRESHË”.

Sia dal punto di vista storico, come fatti generali, avvenuti ad opera di figure senza arte né parte, se non con la furbizia del profitto economico e guadagnarsi olimpi secondo principi o i teoremi di sottomissione mussulmani.

Il voler imporre nomi di figure spente o costruite in tavoli di parte, per valorizzare sé stessi e le proprie mediocrità storiche, ha preso piede a dismisura al punto tale che sin anche Giorgio Castriota, dalla madre Albania mussulmana vene denigrato secondo quel riprincipio che non lo rappresenta come Arben, ma lo espone in vestigia dell’arte Islamica in caparbia consuetudine senza termine.

A tal fine, corre spontanea una domanda: perché l’elmo del condottiero ha segni simboli forme e temi Islamici, senza alcun accenno all’ordine del drago, come è inciso in bronzea porta a Napoli, con gli aragonesi vittoriosi?

Serve rivedere molto della storia scritta per gli arbëreshë senza il loro consenso, sia dal punto di vista del valore identitario, canoro, religioso del costume, in questo ultimo caso specie negli atti di vestizione con colori drappi di antica essenza Bizantina, quindi credenza sociale pura, movenze, atteggiamenti, esposizione dalla ragazza, sposa, madre e regina della casa, oggi nella migliore delle ipotesi assume ruoli di una misera donna in cerca di ortiche per fare magie.

Se a questo aggiungiamo che nessuno e ripetiamo nessuno, conosce le regole contenute nell’atto di vestizione e portamento, oltre degli elementi compositivi, si coglie la misura della in consapevole attività che si affianca a ogni atto,  in esposizione, a dir poco volgare.

Dal punto di vista storico culturale per la tutela valorizzazione del patrimonio immateriale ed immateriale, lasciato al libero arbitrio dalla legge 482/99, mancante dell’articolo 9 della costituzione, è il caso di modificarne la legge su citata, ricordando solo un paese in Calabria citeriore ha avuto intuito prima dell’emanazione di questa legge incompleta si vuole a tal proposito riferire a Terra di Sofia.

È qui che gli intellettuali locali prepararono la citeriore area, nota per essere retrograda, in quanto le attività espresse a Napoli quanto ebbero modo di trovare appoggio europeo sulla linea Anglo-Austro-Ispanica, attivandosi e realizzare il collegio di Sant’Adriano trasferendolo dalla modesta sede Latina

Parliamo di Pasquale Baffi, del vescovo Francesco Bugliari e Ballusci, essi si contrapposero a, francofoni e loro affiliati in tutte le epoche dal 1790 e, senza soluzione di continuità sino 1876, quando il papa, nomina velocemente Giuseppe Bugliari vescovo, per rendere la misura dello stato di terminazione, che ormai era stato superato.

Tuttavia se dal punto divista letterario è sempre il Baffi che dall’alto del suo livello culturale suggeriva, il valorizzare il parlato, senza doverlo violentare con la scrittura; ciò nonostante, chi ha avuto modo di leggerne i suoi scritti, preferiti averli copiati e non studiati, anzi proprio per fare confusione, e quando a Napoli immaginando di dover solo pubblicare si è visto scoprire e tornato a casa per correggere simulando febbre e dolori inguinali come ripeté diverse volte quando avrebbe dovuto affrontare le cose di petto.

Esistono eccellenze nella dinastia degli arbëreshë, che tutto il mondo ci invidia, ciò nonostante esiste una scuola per la quale se non hai lasciato scritti, fandonie e imprecisioni o tradimenti certificati, non sei eccellenza, anzi, chi più ne sa, le può dire, tanto nulla cambia, e questo non è affatto vero.

Se noi escludiamo il letterato Pasquale, Baffi e le innumerevoli figure che come lui, qui a Napoli fanno la lista di eccellenze, nel campo della, giurisprudenza, il sociale, l’editoria, la scienza esatta, la religione, l’arte per nuove prospettive di civile convivenza, esempio e atti primi per tutto il mondo della cultura in evoluzione, i quali quando sono citati pubblicamente i soliti noti a bocca aperta riferiscono

: si è vero ma non hanno scritto nulla in arbëreshë.

Ai quattro insani di mente va ricordato che la lingua arbëreshë, nasce per essere diffusa con parsimonia familiare, secondo la metrica del canto, essa ha come riferimento di base il corpo umano, l’ambiente naturale circostante e, se si è sani di mente non c’è bisogno di appunti scritti o manoscritti per tramandata o ricordare le cose di casa propria.

È inutile a ostinarsi nel porre in primo piano scriba che dal XV secolo cercano di attribuire l o legare lo scritto della lingua arbëreshë che non esiste, alla credenza bizantina che già si sostiene di greco e di latino, noi arbëreshë abbiamo solo il parlato e il canto e nulla più, il nostro genio locale è fatto di letterati che spiegano questo, giuristi che ne hanno fatto la regola sociale, economisti che hanno portato a buon fine il progetto di integrazione, Maestri della critica e della carta stampata che hanno fatto stoia a poi viene la parla dell’ingegneria della minoranza Arbër, che addirittura, elevo il primo ponte, “al mondo”, su catenaria a pilastri singoli.

E ancora oggi vi sono provetti, pur se anziani luminari, i quali affermano che se non hai scritto in Arbëreshë nulla vale. A questi luminari di periferia o Llitìrë, aggiungerei che la figura che parlava in arbëreshë, una missione letteraria la compie e, non da poco specie se questo è servito a superare le pene fisiche di Giacomo Leopardi, quando venne a Napoli, prima ospitandolo e rendersi disponibile per ogni cosa, mi fermo qui, perché non vorrei che l’anno prossimo dalle viscere di Caponapoli, si elevassero altre grida di incoscienza, relative al parlato dei facenti parte la “Regione storica diffusa degli Arbëreshë”.

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QUANTO CRESCI VICINO CON IL CUORE IN ARBËR NULL’ALTRO IMPORTA (Ghiuga jonë hëshët gnë e ja thon Arbëreshë)

QUANTO CRESCI VICINO CON IL CUORE IN ARBËR NULL’ALTRO IMPORTA (Ghiuga jonë hëshët gnë e ja thon Arbëreshë)

Posted on 14 ottobre 2023 by admin

Wilhelm and Jacob Grimm, 1847; daguerreotype by Hermann Blow

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NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – L’intervallo primo della vita, di ogni arbëreshë è vissuto tra sheshi, rughe e sedili degli edificati vernacolari e, legano il cuore senza soluzione di continuità a queste cose pulsanti; e quando poi ti allontani, più vicino sei all’eco immortale in Arbëreshë.

Questa è la storia di tutte le generazioni nate sino agli anni sessanta del secolo scorso, poi venne la televisione e iniziò il gioco perverso, delle voci altre.

Da ciò Gjitonia, diventa prima Commarato, a fine secolo “copiatura  del Vicinato indigeno” per terminare la consuetudine storica parlata, in confusionari alfabetari Albanesi.

Va rilevato che dall’inizio del secolo scorso, ebbe inizio il sogno di allestire il tema oltre adriatico, dell’impero ottomano, in attesa di essere posto a regime come previsto quando i nostri discendenti fuggirono, sei secoli orsono, per non pregare o innalzare inni in lingua altra.

Allo scopo va precisato che “La Regione storica diffusa degli arbëreshë” rappresenta il perimetro diffuso italiano, dove gli arbëreshë, conservano cose, fatti consuetudine, credenza avvenimenti e memoria di uomini in certezza viva.

Altra cosa è “l’Arberia”, sostantivo storico utilizzato a identificare i principati centro settentrionali dell’antica terra, oggi identificata come Albania, escludendo il centro Sud degli antichi governariati Arbër.

Nella regione storica, quella dei 109 centri abitati compresa la capitale Napoli, dove ancora ben oltre sessanta Katundë parlano e si confrontano in lingua Arbëreshë, gli stessi dell’esodo, 1769 al 1535, i quali caparbiamente, preferirono per non essere forgiati dall’invasore a nuove pronunzie, la via dell’esodo, in quelle terre dove con non poca difficoltà seminarono le antiche radici Arbër e Arbën.

Nel mentre dopo circa cinque secoli, apparati monastici militari a Monastir, esclusero gli Arbëreshë nel 1908, per definire una lingua comune, o standard dirsi voglia, mentre qui in Italia ci si confrontava per risolvere la questione sociale Albanese, da nuove invasioni, e per fare una similitudine più chiara: come se per definire l’alfabeto della lingua italiana i nostri letterati avessero escluso la scuola fiorentina supportata della crusca.

Prova rimane l’ironia di Norman Douglas, nel volume Vecchia Calabria, sul fatto che l’alfabeto della lingua Albanese non aveva termine, sia in quantità di lettere che in numero di versioni, superando le trenta lettere e, secondo il geniale osservatore, non avrebbe mai avuto termine, per la formazione monastica dei compilatori.

Nonostante nel 1871 un esempio valido portato a buon fine per unire un popolo di simili origini era stato portato a buon fine brillantemente in Germania con il Tedesco, gli Albanesi imperterriti cercano di raggirare, gli Arbëreshë raccontando favole.

Tutto avvenne nel breve tempo di poche stagioni, quando la Germania unita voleva avere la sua lingua ufficiale attraverso la quale la nazione si potesse riconoscere, ragion per la quale si rivolsero a due filosofi di Berlino che non era certamente monastici e, fuori da confini della loro terra madre, erano conosciuti perché raccoglievano e rielaborato le fiabe della tradizione popolare tedesca.

E questa loro attività nel 1871 gli consenti di definire la lingua Madre germanica, che secondo il loro principio portato brillantemente a buon fine doveva iniziare e avere radice dagli appellativi del corpo umano e dalle attività, le cose e la natura che consentivano all’uomo, di vivere e rigenerarsi nell’antichità.

Tuttavia i distratti compilatori monastici sistemati a est dell’adriatico, avessero saputo leggere il curriculum dei fratelli Grimm compiutamente, oggi non ci troveremmo a incutere, l’Albanese a bambini Arbëreshë in età scolare.

Certo che la storia non smette mai di sorprenderci e, pur se dall’alto qualcuno i segnali li invia, peccato che solo uno sa coglierli.

Oggi rimaniamo basiti per le attività di terminazione tra Israeliani e Palestinesi, ma non diamo peso alla violenza culturale che da est dell’Adriatico si indirizza ai bambini in età scolare dell’ovest Adriatico Arbëreshë.

Se il cuore di noi Arbëreshë, ha iniziato a battere nel grembo materno, tranquillo e sereno, per il riverbero di una lingua antica e familiare, perché alcuni oggi, arrogano il diritto di riverberare quello di madri ignote e nessuno fa nulla per il male prodotto?

Allo scopo urge un comitato scientifico che faccia fronte, a questo sopruso culturale di fine farina Albanese e, di eterna conquista, fatto della rudimentale crusca che non muta le cose e le tiene in salute, come insegnavano le vecchie scuole di medicina Salernitana.

Per concludere si vuole sottolineare che per realizzare la statua del Cristo di Maratea conferirono professionalità e contributi da tutto il mondo per realizzare un faro con luce di credenza, viene spontaneo chiedersi: perché per la lingua più antica indo europea parlata, c’è solo un cristo che annaspa nel volerla definire?

P.S. Nell’immagine i Fratelli Grimm e anche loro erano in due

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