NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – La “Primavera dei Popoli” è l’espressione coniata da Filippo De Boni nel 1848 con la quale voleva sottolineare l’ondata di rinnovamento che attraversò l’Europa.
Gli intervalli storici poi sono molteplici per i quali furono tracciati i momenti di tutta la storia europea, grazie ad un ampio movimento popolare verso i regimi assolutisti, a cui venivano chieste partecipazione politica, diritti civili e indipendenza nazionale.
La “Primavera dei Popoli” per questo rappresenta il rinnovamento politico e sociale, in tutto, una conquista sociale che si andava palesando quando iniziava la stagione lunga, “la Primavera” e le masse uscivano dall’isolamento dell’inverno, “la Stagione corta” rivendicando la fine delle cose assolute, con l’adozione di costituzioni liberali, migliori condizioni di vita e lavoro indipendente.
Anche se molte di queste rivolte sono state represse, esse contribuirono a diffondere l’idea di democrazia, ispirando movimenti per l’indipendenza e il Ricambio Politico Costituito.
In Italia, la Primavera dei Popoli si manifestò in diverse regioni, a Milano, le Cinque Giornate del 1848 furono un episodio emblematico di resistenza contro l’occupazione austriaca, anche in altre città italiane e, in epoche diverse vi furono movimenti o sollevazioni popolari, come a Venezia, dove fu proclamata la Repubblica di San Marco, a Palermo, dove ebbe inizio la Rivoluzione Siciliana, senza dimenticare Napoli. con le famose quattro giornate dal 27 al 30 settembre 1943.
Oltre al suo significato storico, “la Primavera dei Popoli” è diventata un simbolo di speranza e di lotta per la libertà e la giustizia sociale.
Il termine è stato successivamente coniato per descrivere altri movimenti popolari, come le rivolte del 1968 e la Primavera Araba, indicando un desiderio universale di cambiamento e di emancipazione.
Allo stato della memoria storica va ribadito che qualora si innestano le radici per un evento culturale come il Maggio dei Monumenti sceglie un tema simbolico come “il fuoco”, avendo a memoria solo l’elemento naturale, escludendo i significati che il fuoco ha avuto nella storia di Napoli e di tutti i popoli del globo in simboli, storici, culturali e artistici, distrutti o riverberati.
Il fuoco simbolo di energia, ispirazione e forza rappresenta l’anima che anima o incendia, distruggendo la cultura e l’arte, quando questa sfugge al controllo dei poteri piramidali che gestiscono il potere economico.
Napoli ha un legame profondo con il fuoco anche in senso mitologico pensiamo a Vulcano, alla leggenda di Partenope, al Vesuvio, che può essere rievocato in eventi e spettacoli, ma esiste anche una terza forma fatta di fumi cenere e pena.
Il fuoco è anche simbolo di luce, che illumina la città attraverso la cultura, l’arte e la memoria storica, tuttavia il fuoco come la luce crea prospettive di ombra, le stesse che rimangono spesso nel dimenticatoio.
Il Vesuvio, ad esempio, noto come identità napoletana o emblema potente del “fuoco” che ha segnato la storia, l’urbanistica e l’immaginario della città e, in alcune tradizioni religiose e popolari, il fuoco è purificazione e luce, e può essere celebrato in eventi legati alla fede o alle tradizioni popolari, anche se il Vesuvio, resta in attesa per essere illuminato dal sole e dalla luna.
Il Vesuvio tuttavia simboleggia la distruzione come in alcune epoche di Napoli numerosi scritti facevano fuoco e quindi il mezzo per eliminare le idee di quanti erano visti come dissidenti.
Questa pratica ha una forte valenza simbolica e pratica, infatti bruciare libri, lettere, manifesti o opere scritte serve a eliminare fisicamente le idee che mettono in discussione l’autorità o l’ideologia dominante.
La distruzione fisica degli scritti significa impedire la diffusione di opinioni contrarie al potere e, in regimi autoritari, questo è fondamentale per mantenere il controllo sulle masse.
Il rogo degli scritti rappresenta atto simbolico di repressione e, serve da monito agli altri e chi si oppone rischia non solo la censura, ma anche la persecuzione.
In tutto Bruciare ciò che è stato scritto consente a riscrivere la storia, cancellando testimonianze scomode e impedendo che future generazioni abbiano accesso a versioni alternative della realtà.
Come non ricordare il rogo dei libri nella Germania nazista (1933); o la distruzione di testi “eretici” durante l’Inquisizione; e come non citare i roghi di libri durante la Rivoluzione Culturale in Cina
E non da meno, la fine del XVIII secolo, con particolare rilievo al contesto turbolento delle rivoluzioni europee come quella del 1799, dove la repressione delle idee attraverso la distruzione degli scritti e la punizione violenta degli autori o editori era una pratica fortemente adoperata.
Nel caso, ci si può riferire a diversi eventi rivoluzionari, ma due contesti emergono, con rilevanza ovvero, la Francia post-rivoluzionaria e colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre 1799.
O Napoleone Bonaparte che prese il potere con un colpo di Stato, dopo anni di radicalizzazione rivoluzionaria e instabilità diffusa.
Durante e dopo la Rivoluzione francese (1789–1799), sia i monarchici sia i rivoluzionari più estremi usarono la censura violenta per zittire gli oppositori.
Stampatori, giornalisti e intellettuali furono spesso imprigionati, esiliati o giustiziati, e i loro scritti bruciati con il fuoco di falò allestiti li nei pressi e poi banditi gli addetti che erano passati alle forche.
In Italia, durante la breve esperienza della Repubblica Partenopea, nata a Napoli con l’appoggio francese, ma con mira cristiana, per questo do breve durata e quando ci fu la violenta reazione borbonica e dopo il riequilibrio della monarchia.
i controrivoluzionari giustiziarono molti repubblicani, tra cui intellettuali e editori, dando alle fiamme e distruggendo i loro scritti, al fine di estirpare ogni traccia del pensiero illuminista di credenza cristiana.
Il meccanismo era chiaro, prima si distruggeva l’idea, libri, giornali, volantini, poi il corpo che la diffondeva, quali gli editori, gli autori o liberi pensatori.
Questa doppia attività mirava a cancellare voce memoria con il dissenso e poi sin anche fisicamente il libero pensatore, sin anche nel 1921 e nel 1848 a Napoli, quando si verificarono episodi significativi di repressione politica e culturale, spesso accompagnati dalla distruzione degli scritti e la persecuzione degli intellettuali, in un clima di forte contrasto ideologico.
Nel 1848, durante i moti rivoluzionari che attraversarono tutta l’Europa e, menzionata come Primavera dei Popoli, anche a Napoli scoppiarono rivolte per ottenere una costituzione, libertà di stampa e riforme liberali dal re borbonico, ma dopo pochi mesi il re Ferdinando II, ritirò ogni cosa reprimendo duramente ogni forma di opposizione.
I giornali liberali furono chiusi, i loro archivi e tipografie saccheggiati e bruciati e, molti editori, scrittori e attivisti furono arrestati o costretti all’esilio.
In particolare, furono perseguiti coloro che avevano pubblicato manifesti o articoli a favore del costituzionalismo o dell’unità d’Italia.
Questo fu un chiaro esempio di controrivoluzione culturale, dove la distruzione degli scritti con il fuoco, fu parte integrante della repressione culturale, sociale e politica.
Certo che quanti hanno scelto il tema del fuoco per il “maggio dei monumenti”, esaltandone percorsi palazzi, case e chiese devono aver perso il senso dell’olio con cui si alimentava la lanterna del filosofo greco Diogene di Sinope, il quale con pena e non pochi sacrifici cercava il senso delle cose, nel tempo dell’antichità.
Non conoscere le vicende su citate in senso generale della storia di Napoli, si può anche accettare, ma che questo sia il frutto delle eccellenze istituzionali partenopee, non trova alcun lume culturale che vede svolgersi, senza soluzione di pena, negli ultimi anni.
Dopo terra, aria e acqua, il filo conduttore di quest’anno è il fuoco e, da qui il titolo, che evoca un’espressione di Matilde Serao: Napoli, cuore ardente, mente illuminata, e anche se la frase non centra nulla con il fuoco, infatti, il senso diventa ispirazione di un racconto collettivo che, attraversando la città in tutte le sue Municipalità, ne celebra le pene di fuoco che qui hanno avuto luogo e, la spinta che dovrebbe rigenerare è racchiusa nei fuochi che Il popolo partenopeo hanno visto cancellare il pensiero liberare dei giusti.
A tal proposito valga di esempio la persecuzione subita con veemenza dal trenta luglio del 1799 nei confronti del libero pensatore, Pasquale Baffi, un Arbëreşë di Terra di Sofia, il quale per essersi distinto nelle pieghe di quella rivoluzione, durata pochi mesi, più incisiva verso i suoi editi prima bruciati e dati alle fiamme davanti casa in via Sant’Agostino degli Scalzi e poi continuamente deturpandola sua memoria per mandato del suo perseguitore parentale, dal undici di novembre di quell’anno.
Infatti trovo fine in quel patibolo di piazza mercato, usato per mostrar come erano puniti i liberi pensatori, che terrorizzavano i regnati e per evitare che potesse trovare agio nell’aldilà venne sgozzato a mo’ di disprezzo.
Pasquale Baffi, un Arbëreşë nato in Terra di Sofia non fu il solo a subire questa sorte che i Borbone riservavano a quanti immaginavano nuove prospettive di parità sociale.
Altri subirono il fuoco delle proprie idee scritte, e tutta Napoli rese in cenere il meglio prodotto dai suoi figli migliori che per essere stati tali furono sacrificati.
Oggi quanti immaginano che un Arbëreşë come Pasquale Baffi, non abbia mai scritto nulla è quindi non è da considerare letterato, specie se sortisce da istituti o istituzione, commette un gravissimo errore, non di poco rispetto nei suoi confronti, ma alla storia e alla cultura in senso generale dell’Europa tutta, sminuendo sin anche il valore dell’istituto da cui proviene che in quel tempo era in fermento e cercava nuove opportunità sociali poi con tempo lungo poste in essere.
Oggi comunemente ricordano i più variegati cultori progettisti e divulgatori, ma pochi sanno dove e come collocare Pasquale Baffi; Luigi Giura e Vincenzo Torelli i rinnovatori di tutta l’Europa.
Ad oggi la nostra politica la nostra scienza e i nostri canali comunicativi, ignorano chi e cosa ricordare, per il nuovo che viviamo in ambito sociale economico e politico, innovazione tecnologica o avvicinamento di popoli e sistemi di comunicazione di massa, rispettivamente delle tre citate figure
Atanasio Arch. Pizzi NAPOLI 2025-05-12.