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MIGRANTI CON LE BRACCIA STESE AL CIELO A FAVELLAR UNA LINGUA IGNOTA (kushë nënghe ka më deun sàthe punognë vete për deitë)

Posted on 06 marzo 2023 by admin

Baia sommersa, qundo ad essere sommersi sono snche gli approdiNAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Dal 1469 sino al 1502 le spiagge a sud del meridione Italiano, accolsero un numero elevato di profughi provenienti dai governariati allocati a nord e a sud della via Egnazia, via che da Durazzo mira ad Est.

Le genti, provenienti da queste regioni, migravano per non essere piegati a volontà e credenze altre, vedersi rapiti i figli, allevati secondo regole pagane, per questo famiglie intere, lasciavano ogni cosa materiale e prendevano la via del mare, con il cuore e la mente pieni di sentimenti di radice .

Non si contano le partenze in pena, del su citato intervallo storico, tuttavia, si narrano gli approdi con bambini, bambine, donne, uomini genitori e prelati, tutti in sofferenza e mal vestiti, per non dire ignudi.

Di queste frotte di genti dell’epoca, si annotava, il favellar una lingua ignota, senza cogliere la misura della pena, malinconica di dolore per le cose abbandonate nelle terre, ad est, oltre il fiume Adriatico sino dove diventa Jonio, che senza veli palesavano dolore.

Certo che cogliere solo braccia stese verso il cielo, forse in cerca di calore ideale, doveva attrarre di più l’attenzione degli osservatori viste le copiose lacrime che sgorgavano amare, per i domani incerti di sale, misura certa della tragedia in corso.

Si deduce che le cronache del tempo annotarono solo frammenti di cosa avveniva, senza che nessuno rilevasse, se li vi fossero barche o resti di generi, nessuno ricorda quanti corsero ad aiutarli, quale fu il tempo in balia delle onde o quanti non ebbe ristoro al sole, perché in mare ignoti per sempre.

Da quel tempo, per i discendenti di quella dinastia non fu mai domenica, l’uomo e le società di quegli abbracci naturali, forse hanno mutato il modo di vivere, fare accoglienza e dare notizia, tuttavia, quelle spiagge continuano ad essere teatro di identiche vicende, senza che nulla sia stato rinnovato, prima, durante e dopo lo sbarco e per i meno fortunati, rimasti per sempre in mare.

Vero è che l’esperienza segnò, con violenza la memoria di queste genti, le quali, tutte e senza eccezione alcuna, si diressero, senza prender fiato, lontano dal mare, con cui per secoli non ebbero più nulla da spartire, se non il sale, preferendo quello di cava che fa le colline.

Cento passi e anche di più, oggi valgono uno per ogni paese che gli scampati allestirono lontano dal mare, qui sicuri e lontani dalle onde, si adoperarono per il ricordo mediterraneo parallelo, in forme dolci e simili a quelle di terra di origine.

È il mare che segna, per sempre, una delle minoranze più caparbie del meridione oggi viva e vegeta, i quali, senza più guardare indietro, preferirono allocarsi distanti da quello che sembrava semplice via, per cercar buona fratellanza terrena.

Tutti partivano per sfuggire a un modo di vivere imposto, pronti a sopportare ogni peso che non calpestasse la propria credenza, disposto a confrontarsi prima con il mare, poi la china diversamente articolata, gli eventi naturali, che prima o poi termina e fa splendere il sole.

Disposti alle fatiche più avverse, come avveniva nel XIV secolo, disponendosi in vecchi casali abbandonati da innalzare, oltremodo colmi di pene da sanare, grotte da scavare, terre da bonificare e nel contempo rimanere fedeli alla promessa data ” BESA“, ovvero garantire continuità alla propria radice, nonostante fossero definirti, con sostantivi a dir poco inopportuni quali: portatori di malattie, violenti, senza leggi, orfani senza misura, attentatori e sin anche colpevoli dei ratti storici attribuiti loro dagli indigeni che sottraevano le elemosine di Francesco, quello di Paola.

saleAnomalia ancora in voga al giorno d’oggi, nonostante la cenere con cultura abbondi, non si è stati in grado di eliminare questi “immeritato marchi per classificare generi sconosciuti”.

Gli esempi in tale senso sono innumerevoli, ma quello che oggi identifica il meridione quale culla della dieta mediterranea, non è un errore, attribuirlo o aggiudicarlo a queste genti di minoranza approdati dal mare e venuti dalla Via Egnazia.

A tal fine va sottolineato che i migranti, sono stati identificati quale valore minore al sociale di queste terre e non indispensabili, in prima accoglienza, prevalendo il protocollo, secondo cui non era riconosciuto alcun diritto, in discendenza delle aree poste a coltura, costringendoli il più delle volte a migrare per terra alta, quando il referente passava a miglior vita.

Nonostante nell’antichità, le grotte furono trasformate in abituri, realizzati elevati aditivi, le terre selvagge piantumate e rese produttive; la diffidenza verso quanti erano giunti per mare della via Egnazia, restava identica, anzi, con lo scorrere dei decenni, diventava pena sociale, a cui indirizzare ogni genere di colpa, senza dubbi o processi a discolpa.

Condanne decise a priori, al punto tale da imporre, agli scampati del “mare nostrum”, il non cavalcare durante il giorno, o al ritorno a casa dopo il lavoro nei campi, come se fosse conferma di un mal tolto o latrocinio compiuto.

Se a questo associamo l’imposizione che nel corso della notte, prima dell’imbrunire e dopo all’alba, di dover restare entro recinti solidi da costruire in altre parole una sorta di arresti domiciliari, nei propri sheshi, ad esclusione dei “Prati di confine pastorale”, non erano certo questi atti di fiducia, verso quanti sostenevano l’economia dell’epoca con sudore e patimenti irripetibili.

A tal fine è bene precisare che i “contraenti senza appello”, avevano come pena certa, l’amputazione di un arto per ogni evasione o ritardo del rientro, tutto ciò sottolinea ancora una volta quanta fiducia era rivolata ai migranti, dalle istituzioni tutte.

A ben vedere, senza soluzione di epoca, visto e considerato le notizie di cronaca diffuse dai media, nel nostro tempo che corre a due velocità, oggi più della sottrazione fisica degli arti, amputano la morale.

Ma gli imperturbabili, operosi e onesti uomini della Egnazia, per ovviare al non poter cavalcare con la sella, inventarono “il Basto”, un oggetto da carico e di trasporto per cose non per la struttura dell’uomo.

Poi venne il “termine” dell’accanimento degli uomini e iniziarono le avversità della natura con terremoti, carestie, pandemie e ogni sorta di avversità.

Storicamente tutte queste attività che trovarono identica applicazione contro l’uomo, si scontrarono, con l’infinita caparbietà di queste famiglie Kanuniane, le quali, non hanno mutato nulla della propria radice di fare fratellanza onesta, distinguendosi così per la limpida esistenza, confortata ad iniziare dal 1734, con le attività sociali e clericali poste in  essere dalla ascesa di re Carlo III.

Nascono così le figure del sapere della dinastia dei minoritari, eccellenze in campo delle cose di politica, cultura, scienza esatta e ogni genere di studio per valorizzare queste terre di approdo, condividendo con tutti i profughi di simile radice lontano dal mare.

Tuttavia le questioni economiche e produttive non persero il senso di prendere l’infinita china senza “termine”, perché illuminata la via della cultura, il trionfo di tutti, rimaneva sempre valida la buia questione economica dei pochi.

Sono gli stessi che nascono e si moltiplicano nel corso del terremoto del 1783, scacciati dai promontori sicuri e solidità di quelle terre, definite ” meno pericolosi” dagli esperti dell’epoca come quelli dei recenti teoremi secondo cui i paralleli mediterranei sono uguali, ripetendo ancora l’infinita anche nel corso del primo decennio del secolo appena iniziato e dover ancora migrar per terra.

Tornando alle epoche del passato, riprendiamo con gli avvenimenti del 1796 quando i soliti noti, cercarono di agevolare i più poveri, con la misura riportata testualmente dalla regola venerabile del Monte del Grano, secolo XVIII°, la di cui stesura lascia oltremodo basiti e senza parole, delineando un nuovo di un calvario interminabile di sudore senza guadagno; secondo cui :Il grano dato in prestito per la semina, va utilizzato esclusivamente nel bacino di prestito e qualora i contadini, nonostante gli interessi di restituzione, fossero diventati ricchi, per questo autonomi e non più interessati al prestito, le rendite di questi, sarebbero rimaste a disposizione del monte o di enti successori, che ne avrebbero disposto in piena autonomia.

Quanto qui citato è la “filiera insediativa” affrontata dalla minoranza oggi definita Arbër, i pionieri che non mirano ad invadere, sottomettere o distruggere le terre dei mille abbracci naturali, ma per vivere in pace con gli indigeni.

Se a questo aggiungiamo il dato che migravano secondo piani prestabiliti, tra quanti credevano alle direttive fondamentali dell’Ordine del Drago, le cose non ebbero come abbiamo accennato, svolgimento o attuazione secondo il protocollo ordinistico in forma perfettamente cavalleresca o almeno dignitosa.

Tuttavia la minoranza, assieme alla maggioranza rimasta nella terra di origine, ebbero il  coraggio di assumersi l’onere di tutelare l’intero patrimonio per la discendenza, nel seguente modo:

  • i minori furono disposti e lasciati insediare lungo arche ben definite a ovest del fiume Adriatico sino al mar Jonio, dalle istituzioni laiche e cristiane dell’epoca pronte ad accoglierle, trascinando per tale fine il patrimonio immateriale;
  • di contro in terra madre chi restava avrebbe continuato a marchiare i confini di origine con l’antico appellativo segnandone volta per volta la parte sottratta.

Tuttavia nel breve e medio termine a prevalere, è stato il volano della diffidenza verso un nuovo modello identitario, che si affiancava a quello indigeno nel meridione Italiano, in grave sofferenza economica e sociale, ragion per la quale non sempre è stato lasciato libera espressione alle cose dei profughi Arbanon.

La novità fu che poi nei fatti chi rimase in terra madre a difendere confini segui le previsioni dell’epoca, diversamente dai migranti che si dovettero rimboccare le maniche e superare oltre la diffidenza non poche avversità.

Francesco_Hayez_-_The_Refugees_of_Parga_-_WGA11213

La discriminazione è dovunque, non abbandona mai le generazioni dei profughi di mare, poi migranti di terra, avendo l’indice sempre puntato e pronto a descrive “inopportune e inadatte classificazioni di prevaricazione”.

Questo è l’infinito che non cambia, per quanti usano vagare alla ricerca di luoghi paralleli, comunemente appellata casa, tuttavia essere convinti di possedere cinque sensi e sentimenti leali di cose buone, è il valore aggiunto che hanno gli Arbër, definiti per questo, dalle “Istituzioni Italiane Alte”; modello di accoglienza e integrazione, tra i più vivi e longevi del mediterraneo e quello che più vale “non somma di assoluti”.

 

P. S.   La cultura è poca, spetta ai saggi farne tesoro e non sprecarla per Strade e “Prati” dove pasce gli eletti dell’ignoranza in astinenza.

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