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LE COSE CULTURALI PREROGATIVA AI TEMPI DI LLALË COSTA B., POI VENNE IL NULLA

Posted on 20 agosto 2021 by admin

COsta

Nell’era moderna, per “Bene o Cose del Patrimonio Culturale” s’intende cosa e quanto contribuisce per tracciare la storia di una ben identificata macro area.

Il patrimonio, per questo, abbraccia un vastissimo numero di elementi definiti e indefiniti, ragion per la quale i legislatori per evitare di omettere ogni bene, li identifica come:

“cose del patrimonio storico culturale”

Di esse sono parte inscindibile:

  • i Beni d’interesse archeologico, mobili o immobili, testimonianza irripetibile, di un territorio;
  • i Beni d’interesse storico e artistico, mobili o immobili aventi relazioni con la storia culturale;
  • i Beni di natura ambientale come i paesaggi, naturali o trasformati dall’uomo e le strutture insediateve (urbane e non) valori di civiltà, espressione del genius loci;
  • i Beni “librari” quali manoscritti, carte geografiche, incisioni, produzioni letterarie etc.

Un ventaglio di cose che sfugge alla sensibilità condotta dai comunemente, i quali per scarsa formazione e rispetto delle cose del pesato, le identifica come superfetazioni o elementi vetusti, di poco conto, dei quali si ritiene più comodo farne a meno, sostituendoli o rifinendoli con inopportuni apparati.

Questo succede per strade, piazze luoghi ameni, edifici privati, pubblici e di culto; è proprio di quest’ultima categoria che si vuole menzionare un aneddoto, che per molti a suo tempo sembrò una reazione inopportuna, ma con il seno del tempo, oggi dobbiamo rendere merito all’intuito dell’anziano tutore delle cose e della storia arbëreshë di Santa Sofia.

Era la fine degli anni quaranta del secolo scorso e la chiesa matrice dedicata a Sant’Atanasio, allocata nell’omonima piazza dedicata al piccolo, veniva segnata con apparati caratteristici della chiesa latina.

Il progetto voluto dall’allora Parroco G: Capparelli, mirava a sostituire la cadente copertura a due falde contrapposte, con una più moderna a forma di carena rovesciata in cemento armato.

L’esperimento strutturale, adottato e collaudato dai tecnici vaticani, i veri progettisti, rispondeva a questa esigenza diffusa, nell’aquilano, in mote chiese di quella regione.

Il progetto mirava a calettare all’interno del perimetro murario antico, un telaio strutturale di pilastri, travi perimetrali e soletta verticale di irrigidimento, per sorreggere volta e campanile.

Per l’epoca il progetto si riteneva all’avanguardia e migliorava la fruibilità in sicurezza del sacro volume Sofiota, ad opera di manovalanze locali e maestranze indigene.

Quando l’opera era al termine e le risorse risultate, grazie alle donazioni dei fedeli, soverchianti, indusse l’entusiasmo del prete locale a sostituire anche la storica porta dell’ingresso principale a due battenti, in legno massello, rifinita da un particolare bugnato.

Opera di un falegname, che per sfuggire al carcere certo nel 700, trovo riparo in chiesa e per ricambiare la popolazione per  garantito il rifugio, si adopero a realizzare tutte le opere di falegnameria di cui la chiesa mancava, dai tempi dai sua edificazione.

Nel cantiere di fine quaranta del secolo scorso, ormai al termine dei lavori della copertura, si aprì una discussione tra contrari e favorevoli, i di più per sradicare l’antico varco di legno, per uno più moderno, lucido, nuovo e duraturo.

La sera quando il cantiere chiuse, uno degli operai, nel transitare davanti alla casa di llalë Kosta (Zio Costa), essendo lui uno degli attenti finanziatori locali, domandò, all’operaio, come si procedeva e se le cose andavano bene, nell’avere come risposta, la novità di voler sostituire la storica porta principale, per una più bella, lasciò a dir poco perplesso il vecchi saggio.

All’indomani di buon ora, il saggio Sofiota, si fece trovare  davanti alla chiesa e quando, prete, geometra e i referenti mastri del cantiere furono tutti presenti, pretese che gli si rendesse conto di cosa li avesse spinti a quella malevola manomissione.

Segui un vivace confronto verbale, dal quale emersero tante cose buone per conservare e tutelare lo stato del sacro varco, rispetto alle irresponsabili motivazioni per dimetterlo e con il ricavato riscaldare il focolare di qualche capomastro, ragion per la quale, llalë Costa Baffa, ebbe ragione su tutti.

Nel mentre, si allontanava l’anziano tutore di cose antiche, non fece a meno di brandire il suo bastone esclamando: è fatto dello stesso legno della porta e se qualche addetto, ha dubbi sulla solidità di questa essenza, si faccia avanti e in ogni momento sarò pronto a dimostrare la durezza di questa essenza, dandolo in testa, a quanti mettono in dubbi la solidità di quel varco lavorato.

Sono trascorsi quasi otto decenni da quel dì, la porta maggiore della chiesa di Sant’Atanasio, continua ad aprirsi e chiudersi segnando tempo ed epoche, nessuna delle mattonelle del suo raggio d’azione ha scalfitture alcune, dando ragione alla previsione del vecchi saggio Sofiota.

 

P.S. il racconto è gentilmente staro reso noto da Benito Guido, che come llalë Costa interviene ogni volta che si manomettono le cose del nostro paese, purtroppo non ha il bastone, allora accade che i comunemente prevalgono sulla saggezza e la durevolezza della storica essenza.

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