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“LA SALITA DALLA SAPIENZA” (discorso – V° – Inculturazione)

Posted on 04 agosto 2019 by admin

 

 UN VOTO ANTICO PORTATO A BUON FINE IL DUE DI MAGGIONAPOLI (di Atanasio Pizzi) – IL termine Inculturazione nell’antropologia culturale, tratta i processi di trasmissione della tradizione fra generazioni.

Il termine rileva i processi del passaggio della cultura da una generazione all’altra, concentrandosi sugli aspetti di socializzazione dell’individuo, attraverso l’apprendimento della lingua, l’educazione in ambito familiare, mitizzando le figure degli adulti e le regole di comportamento in ambito educativo.

L’insieme si completa con le competizioni tra quartiere, la partecipazione ai giochi, le danze tipiche, i canti, le cerimonie, oltre a memorizzare i racconti degli anziani, associati a gruppi di età, queste ultime poi rappresentano la matrice che in alcuni casi è legata associazioni occulte, di culto e iniziazione.

Alcune categorie di persone ricevono un’educazione particolare, finalizzato al ruolo poi assunto all’interno del gruppo sociale, come ad esempio gli operatori religiosi (preti, guaritori, magarë, stregoni), gli agricoltori, gli artigiani, gli artisti, tutti rispettosi dei riti e consuetudini del tramandato storico.

Questo in linea generale è anche il modus operandi seguito dalla popolazione della regione storica arbëreshë e in ognuna delle sedici macroaree di cui si compone, nonostante il disciplinare adottato non contempla alcuna forma scritta.

Alla luce di ciò sino a quando i processi scritto grafici, sono stati materialmente dedicati a cerchie di ricercatori fuori lo spazio ideale denominato Gjitonia, gli elementi linguistici, sociali, metrici e religiosi che regolavano lo scorrere d’inverni e primavere arbëreshë si sono articolate secondo processi sostenibili e in grado di mantenere unito il percorso identitario.

Quando nel corso del secolo appena trascorso, con l’accorciarsi delle distanze, l’economia in ascesa, la totale assenza nei programmi di alfabetizzazione per gli alloglotti, le reti sociali in continua evoluzione, la legge 482/99, in cui sfugge la differenza storica tra lingua Albanese tutelata e Arbëreshë discriminata, hanno minato pesantemente il disciplinare tramandato oralmente.

Questi sono solo gli elementi più evidenti a non è stata posta particolare attenzione, prevedendo che quanto prima avrebbero intaccato la sostenibilità dei passaggi di consegne identitarie tra generazioni all’interno della regione storica.

Causa fondamenta della perdita di sostenibilità culturale e identitaria è stata la mancanza di progetti specifici, atti a valorizzare all’interno della regione storica il patrimonio materiale ed immateriale evitando di demandare i principi di crescita delle nuove generazioni alla sola alfabetizzazione, sorvolando sui temi dell’antico ceppo.

Se negli anni sessanta del secolo scorso lo scorrere della vita, nelle macroarre etniche di estrazione arbëreshë, manteneva livelli d’inculturazione sostenibile, dal punto di vista linguistico, ambientale, architettonico sociale sia laico sia clericale, negli anni settanta ha inizio la deriva degenerativa che non ha mai cambiato rotta.

Il fenomeno ha prodotto una serie di manifestazioni senza alcuna formazione storico culturale faccendo apparire gli ambiti di minoranza esclusiva residenza di costumi, canti e parlate “altre”, allontanando i principi dall’ Inculturazione fra generazioni.

Oggi ai vertici della valorizzazione, tutela e divulgazione culturale non siedono le eccellenze come la tradizione indicava, ma soggetti attuatori senza identità e tanto meno parlanti l’antico idioma arbëreshë.

Queste figure “altre” divulgano appuntamenti attraverso appellativi fuori da ogni ragionevole diplomatica del vivere all’interno dei katundë di estrazione arbër.

Tuttavia ciò che penalizza e appiattisce uniformando a modelli globalizzati il senso della regione storica sono le numerosissime attività di promozione che da primavera e nel corso di tutto l’anno, innalzano vessilli territoriali mai appartenute a nessuna delle sedici macro aree.

Se immaginiamo che tutto ciò che è stato sapientemente difeso e valorizzato dai tempi dei regnanti partenopei sino al 1806, il salto degenerativo perpetrato sino giungere alle vicende odierne, per quanti della minoranza analizzano, studiano e appuntano con dovizia di particolari ogni frammento della storia;  diventato un pena indescrivibile  la continua perdita di valori e a nulla valgono le grida di dolore, che anche se fossero mute, almeno chi vive di riti bizantini dovrebbe avere gli strumenti divini per ascoltare e curare.

A tal fine volendo accennare solo le più famose manchevolezze senza scendere nei particolari, valgano di esempio queste note interrogative: Sagre di prodotti tipico(?), Gjitonia e vicinato(?), abusi edilizi per abitazioni storiche(?), Scanderbeg l’eroe Arbëreshe(???????), Valje e balli tondi della liberazione(?), quartieri / Gjitonie(?), caricature filmiche(?), abbellimento dei centri antichi(????), biblioteca delle riviste(?), musei del costume(?), la vestizione nuziale con le grazie al vento(?), l’eliminazione dei comitati di festa (?), questi accennati esempi si possono configurare come una grande frana indotta per aver estirpato troppe radici storiche, architettoniche, sociale, urbanistiche, psicologiche, geologiche, artistiche, antropologiche e cosi via discorrendo, ma comunque e nonostante tutto pur avendo consapevolezza di cosa potrebbe avvenire, non si innalza alcun presidio idoneo a rallentare l’inevitabile.

L’immaginario che ogni buon arbëreshë si auspica, è volto al ricambio generazionale composto da figure in grado di impedire che ruoli dipartimentali, istituzionali e per la promozione del territorio, siano posto nelle disponibilità di quanti sanno come fermare questa marea economica/culturale legalizzata; allontanando dai canali divulgativi e della valorizzazione ogni sorta di litirë privo di elementari titoli  di formazione locale, che in troppi casi casi millanta di conoscere storia, lingua, metrica canora, le diplomatiche della vestizione e ogni sorta di attività del consuetudinario storico delle sedici macro aree.

Allo stato urge fermare energicamente le dilaganti nozioni serrate, senza luogo, senza tempo e senza patria, appellare “Arberia” una “Regione storica” è sbagliato!!! in quanto il sostantivo è sinonimo di nazione e nessuno ha mai riconosciuto e mai avrà modo di prendere corpo, perché noi arbëreshë siamo Minoranza storica Italiana e basta.

In questi giorni recandomi nei luoghi natii ho rinvenuto dei semi di buon auspicio, alcuni chicchi di grano, conservati in un cassetto e che i miei genitori, in vita, non hanno avuto modo di utilizzare, per questo m’impegno a loro memoria di farli germogliare, sperando che diano un numero considerevole di semi in grado di emanare gli antichi sapore della tavola familiare, la stessa di tante famiglie e rappresenti l’inizio di una nuova stagione di solidi valori arbëreshë.

 

 

(Bilë e Arbëreshëvet!! gjiegjëni me veshët tuej e diovasni letir, veth këstù zeni kushë Jini;

mos jiejni the chiarturat e qenvet, cë vran Jergjin, se janë skip!)

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