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REGIONE STORICA DIFFUSA ARBËRESHË; COME ANDARE IN VACANZA E SENTIRSI A CASA, “PROGETTO PER LA TUTELA DEI CENTRI ARBANON E I QUATTRO RIONI TIPICI”

Protetto: REGIONE STORICA DIFFUSA ARBËRESHË; COME ANDARE IN VACANZA E SENTIRSI A CASA, “PROGETTO PER LA TUTELA DEI CENTRI ARBANON E I QUATTRO RIONI TIPICI”

Posted on 18 maggio 2020 by admin

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MODULI ABITATIVI, SKITE E GJITONIA, QUALI ATTIVITÀ DI TUTELA? (Tue priturë satë dalë diali)

Protetto: MODULI ABITATIVI, SKITE E GJITONIA, QUALI ATTIVITÀ DI TUTELA? (Tue priturë satë dalë diali)

Posted on 30 giugno 2019 by admin

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RISPETTO DEL TERRITORIO

RISPETTO DEL TERRITORIO

Posted on 31 maggio 2019 by admin

Centri minori abbandonatiNAPOLI (di Atanasio Pizzi) –  Quando gli arbëreshë dovettero abbandonare le proprie terre di origine e sbarcarono lungo le coste dell’Adriatico e dello Jonio, avviarono la procedura di studio e ricerca, per evitare di produrre inutili ferite al territorio, come sancito nel codice identitario tramandato oralmente.

Questa è una consuetudine che rende gli arbëreshë unici nel loro genere, in quanto, la tradizione di conservare tutelare e vivere nel rispetto del territorio non è trascritta in nessun codice ma riportata oralmente tra generazione.

Nonostante ciò quanti non sono arbëreshë cercano di tutelare secondo disciplinari la pizza perfetta, l’olio di origine territoriale, il migliore vino con essenze irripetibili, il manicaretto locale e per ogni genere di prodotto che segna le tradizioni locali di quel territorio.

Ciò tuttavia, quando si tratta di architetture o si deve incidere segni sul territorio, tutto si dissolve nel nulla e il libero arbitrio, specie di quanti abituati a operare nei deserti africani dove mai nessuno ha dato una traccia da rispettare, viene nei luoghi della storia a seminare avena fatua.

i Greci, infatti, a loro giudizio, facevano ricadere la responsabilità della barbaria ai Persiani, agli Indiani e, ai fortiori (geograficamente), i Cinesi escludendo l’Egitto.

Ho visto “la stazione” nata dove iniziano a defluire i regi lagni campani, nella piana che si estende tra la Reggia di Caserta e la Capitale europea della cultura, il luogo storico dei fortilizi, segnato dall’operosità degli uomini che sono stati eccellenza in Europa.

Dire che il buon segno architettonico ha smarrito la retta via è eufemismo, anzi, è il caso di suggerire alle istituzioni che  immaginano un centro commerciale nello storico “Leonardo Bianchi”, di pensare se sia il caso di  ripristinarlo.

Sino a poco tempo addietro trovavo indignazione all’innalzato de locativo arbëreshë nella valle del Crati, ma come sperso succede, le cose realizzate dall’uomo non hanno limite nello stupire e nei giorni scorsi la visita “della stazione campana”, ha prodotto una irreparabile ferita culturale nella mia conoscenza professionale; attraversare un irresponsabile e interminabile budello; il prodotto scaturito dalla bontà dell’ottimo vino locale, le cui botti una volta svuotate, a noi architetti locali , non hanno conservato altro che  le Lacryme di Cristi, che purtroppo, non sono buone per ripristinare la cultura dismessa del territorio.

Come  è possibile che gli uomini si diano tanto da fare per innalzare vittoriosi un disciplinare rigido per  la pizza campana, l’olio della Puglia, il vino Abruzzese, che sono beni di consumo e quando si tratta di tutelare le connotazioni ambientali e fisiche del territorio, non si pretende un rigo disciplinare sostenibile delle tre fasi progettuali?

Cosa ci impedisce, prima di attivarci a intaccare il territorio, di realizzare un corposo fascicolo storico su cui studiare prima di incidere segni sul territorio?

Una cospicua relazione d’indagine che ponga in essere le vicende che legano uomini e territorio.

I tecnici moderni specie quelli formati durante l’esplosione economica del petrolio, non sanno e non conoscono, perché archistar, cosa sia il GENIUS LOCI, associato al termine di «etnocentrismo» ingredienti fondamentali per polarizzare l’arte locale e in seguito disegnare la giusta forma che lega ambiente naturale  e ambiante costruito.

Ciò non accade per caso ma è un’arte che pochi possiedono, oggi è diventato facile essere protagonisti con i beni di consumo, complicatissimo lo è per ciò che termina e manomette indelebilmente il rapporto tra territorio, natura e uomini.

Il traguardo non deve mirare a riparare  “l’errore progettuale”, arricchendolo con i dissociativi centri commerciali o musei di epoca romana, greca o bizantina, giacché l’espressione architettonica  deve diventare il valore aggiunto al territorio senza disarmonie con l’ambiente naturale.

Solo il buon progetto, realizzato secondo il disciplinare rispettoso della storia e dell’architettura, nasce forte e gli uomini che vivono il territorio quando lo vedono crescere, lo accolgono e lo fanno proprio.

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GJITHË GJINDIA T’ GJEGJEN (Thë katundet arbëreshë: një shëpi një €, e tre shëpi  dy€)211054

GJITHË GJINDIA T’ GJEGJEN (Thë katundet arbëreshë: një shëpi një €, e tre shëpi dy€)211054

Posted on 25 maggio 2019 by admin

SCACCIAMO LA VOLPE ARBËRESHË3

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Non sono pochi i paesi del meridione che seguono la meta dello svendere il proprio patrimonio edilizio storico, piuttosto che adoperasi per trovare metodiche di valorizzazione di quanto resiste e conserva indelebilmente l’identità di luogo e di tempo.

Tesori unici che pur non luccicando, restano solidamente stesi alla luce del sole, in attesa delle persone giuste che le sappiano rispolverare senza usare violenza.

Oggi è tempo di costruire una sola regione storica, “unica e indivisibile”, non tante incomprensibili “barbarie” che attendono il vento che le tira, generato dai dipartimenti di semina monotematica, ignari delle direttrici cardinali.

Una visione appropriata del territorio rende più chiari gli ambiti urbani, quelli sociali sub urbani, il costume e tutte le caratteristiche identitarie sotto la stessa luce a iniziare dai paesi più estremi dalla Sicilia e sino all’Abruzzo, oltre le macro aree di Marche, Emilia Romagna e Veneto.

I Katundë di minoranza arbëreshë contengono nei loro edificati storici le essenze del codice identitario trasportato nel cuore e nella mente da ogni profugo dalla terra di origine nel XV secolo.

Ritenere di fare colpo svendendo i contenitori della nostra identità attraverso gli apparati multimediali o buttarsi nella mischia politica “dell’etnocentrismo” che ha fini di appiattimento, non è certo la ricetta ideale per rilanciale gli oltre cento paesi arbëreshë.

Nelle vicende degli ultimi due decenni i Katundë hanno sopportato di tutto, si potrebbero citare i concorsi emergenziali che hanno restituito carene al posto dei tetti a falda, ardesie al posto dei coppi, gjitonie lette come porte medievali, abusi edilizi scambiati per case antropomorfe, e adesso si vogliono recuperare le emergenze architettoniche e urbanistiche senza avere alcuna consapevolezza storica di territorio, luoghi, scenari e ambiente.

Oggi assistiamo impotenti a manifestazioni in cui si preferisce demolire l’architettura storica immaginando che sia la via più breve per sanare i mali della società, purtroppo non è cosi in quanto, l’architettura nasce per rispondere alle esigenze dell’uomo, se poi quest’ultimo ne fa un uso improprio non è certo colpa del manufatto che rimane li a prendersi le colpe del malaffare degli uomini, si potrebbe concludere che è facile dare la colpa alle strutture che hanno un corpo, un anima e non la bocca per difendersi.

È impensabile che giovani diplomati senza alcuna esperienza, magari affidandosi solo a qualche corso formativo, a ore, siano in grado di leggere le trame urbane e gli elevati storici dei paesi di origine arbëreshë che “non sono Borghi”.

La diplomatica del recupero tutela e valorizzazione dei centri urbani di origine arbëreshë, detti anche minori, è un tema che deve essere sviluppato solo da quanti hanno consapevolezza della visione storica, degli eventi sociali per i quali sono stati edificati gli agglomerati aperti grazie al genius loci.

I katundë arbëreshë che come i dotti di architettura enunciano, derivano dalle esigenze umane, attraverso la comprensione delle forme costruite, divenendo per questo, espressioni della civiltà che  manifesta gli esperimenti con le forme dei tempi.

Le specifiche strutturali sono il segno dei fenomeni esistenti; opera dove, soprattutto in passato, di misura con la qua­lità dell’ambiente e si configurava in concomitanza della qua­lità del vivere.

La conoscenza progettuale prendere consapevolezza, ogni qualvolta si elabora secondo precise «scelte», disegnando luoghi in grado di configurare caratteri.

La conoscenza della storia è indispensabile per ogni qualvolta si cerca d’intervenire all’interno del centro antico e nel caso dei paesi arbëreshë, oserei dire dei centri della storia, giacché consente di riconoscere quali sono stati i valori culturali di genere «etnocentrici», gli ideali e le affinità che hanno guidato le diverse configurazioni di Katundë e dei suoi monumenti nel corso dei secoli.

Per questo è importante eseguire studi morfologici per comprendere il significato profondo delle forme nello spazio; il valore formale del manufatto – nell’insieme di caratteri urbani ed edilizi – quindi si giudica attraverso una coscienza storica, che appartiene al presente, in base alla considerazione di fatti architettonici esistenti e ancora significativi.

L’edilizia e le architetture che strutturano un luogo urbano ne costituiscono lo spazio fisico, ne rendono l’identità; il riconoscimento dell’unità significativa, rappresenta ­l’insieme dei fatti che si sono costruiti nel tempo, attraverso l’espressione di vari linguaggi figurativi.

La storia dell’arte, consente di conoscere le concezioni estetiche e riconoscere gli aspetti delle opere relative, distinguendone i vari periodi formativi.

Nel caso di opere di architettura e impianti urbani soltanto la capacità disciplinare propria degli architetti e urbanisti educati a progettare, può indurre all’identificazione del principio tipologico su cui si è fondato un edificio e al riconoscimento dei relativi processi di costruzione della struttura morfologica.

L’organizzazione tipologica, infatti, esprime chiaramente la concezione spaziale che ha caratterizzato in un certo modo le diverse fasi dell’abitare dagli ambienti monocellula­ri e polivalenti con prevalenza della verticalità, distribuite funzionalmente nell’orizzontalità.

Considera lo stato delle cose nel rapporto con il loro passato, deve aprire a valori universali, meno legati

È quindi necessario acquisire una conoscenza dell’ambiente, anteponendo ricerche “opportune” per comprendere il risultato odierno, al fine di contestualizzare le forme tutelando le originarie motivazioni urbane, affiancandola a una nuova possibile realtà.

La ricerca progettuale intende affermare il principio secondo il quale il manufatto architettonico deve indicare una rotta rispettosa dell’esistente e lo sviluppo possibile, avvicinando senza strappi il rapporti tra la morfologia che si conserva e le necessarie di utilizzo secondo le nuove necessità.

Tutto questo per lanciare un antico grido di avvertimento GJITHË GJINDIA T’ GJEGJEN, che non deve essere inteso come la mera offerta commerciale giornaliera, ma il consiglio di un esperto che nel tempo di una legislatura prevede che tutto finisca in: një shëpi një €, o  tre shëpi dy €, se non si corre ai ripari.

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ANALISI PER SCEGLIERE LA MIGLIORE RADICE ARBËRESHË (shiesa)

Protetto: ANALISI PER SCEGLIERE LA MIGLIORE RADICE ARBËRESHË (shiesa)

Posted on 31 gennaio 2019 by admin

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RITORNO A PALAZZO GRAVINA, FUCINA DI UN ARCHITETTO ARBËRESHË

RITORNO A PALAZZO GRAVINA, FUCINA DI UN ARCHITETTO ARBËRESHË

Posted on 27 dicembre 2018 by admin

RITORNO A PALAZZO GRAVINANAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Sono tornato nei giorni scorsi a Palazzo Gravina, storica sede napoletana della facoltà di Architettura, in occasione di una mostra e la presentazione di un saggio.

L’incontro si è svolto nell’antica aula n°3, oggi intitolata a Mario Gioffredo, dove nel marzo del 1987 ho discusso, per la prima volta, la mia tesi di laurea.

L’appuntamento è stato un tuffo nel passato, sotto ogni punto di vista, nel rivedere quell’aula e per i concetti dell’architettura espressi dai professori, che ai tempi della mia formazione erano assistenti.

Gli argomenti trattati ambivano a leggere la città, lo stato dei suoi quartieri/rioni e l’utilizzo improprio di spazi e volumi in chiave architettonica/sociale.

Attendevo argomenti utili per arricchire e confrontare, il mio bagaglio formativo su tali argomenti, dato che mi occupo di centri urbani minori, i paesi (Katundë) di origine arbëreshë.

Tuttavia con sommo dispiacere non ho avuto alcun arricchimento da quel presidio storico, ne mi sono stati forniti elementi utili, se si escludono le citazioni del passato e nozioni sociologiche, oltre a piccoli riferimenti senza cognizione del materiale e dell’immateriale mediterraneo contenuti  nell’enunciato del “ Vicinato”.

Dilungarsi a trattare gli argomenti di architettura come se il tempo si fosse fermato in quel marzo dell’ottantasette del secolo scorso, è stata l’unica certezza che ho riconosciuto.

Il desiderio di intervenire e chiedere la parola, stava per avere il sopravvento, tuttavia la ragione ha ritenuto  idoneo dare modo agli invitati di esprimersi con la speranza di cogliere cose nuove,  riportando a questo post il mio punto di vista:

Condurre una corretta analisi dello stato dell’architettura abitativa, cosa non ha trovato la giusta dimensione nell’attuazione moderna dei centri antichi e suburbani, senza partire dal basso, avendo per questo come guida i centri minoritari,  perennemente vissiti, non aiuta a comprendere la deriva architettonico/culturale.

Sono i centri minoritari che continuano a preservare indelebili  “le diplomatiche sane” del vivere comune; unici documenti leggibili ancora stesi al sole nei costruito dei Katundë e il sociale delle Gjitonie arbëreshe.

Questi due elementi, tangibile il primo e intangibile il secondo, offrono la possibilità di intercettare le dinamiche di crescita dei piccoli Katundë, i legami tra la consuetudine e le radici che si alimentano nelle armonie, sociali, culturali, linguistiche e religiose, (in specie), espressione del contenitore senza confini, detta Gjitonia.

Le trame edilizie senza armonie tra storia, tempo e luogo, rappresentano il nulla e non sono altro che esigenze del parcheggiare individui, ritenendo che i valori culturali, sociali, consuetudinari, in tutto, l’identità “storia/tempo/luogo” di quanti dovranno fruirvi sia complementare e non abbia ragione di essere considerata.

Nell’esporre pubblicamente enunciati, con argomento architettura e urbanistica, post razionale, è il caso di porre l’accento sul concetto di Quartiere, (oggi i luoghi dove sfilano i/le Archistar), e Rione,  traccia indelebile della radice storica/culturale abitativa.

Quando immaginiamo architettura  prima di  realizzare un manufatto, bisogna rispondere a codici e consuetudini locali, in accordo con tempo, storia e  territorio.

Questi fondamentali elementi di orientamento, sono stati dismessi da troppi decenni e sfuggono dai protocolli di analisi o  discepoli, di quante si vestono da  antiquari, (questi ultimi identificati   secondo una nota frase leopardiana), ritenendole  figure privi di formazione  filosofica e culturale.

Ad oggi, ogni  osservatore quando attraversa o risiede nei quartieri seminati ad avena fatua, avverte che il fine perseguito dagli antiquari non è stato quello del benessere sociale e culturale degli utenti, ma solo dell’immagine e dell’apparire per realizzare il maggior numero di posti letto; divenendo per questo utopia architettonica senza né luogo, né tempo né identità, in poche parole nulla più di un albergo.

Generalmente per tali attuazioni si predilige il concetto di “Quartiere”, il monolite chiuso su se stesso, che nasce, si adopera e termina nel tempo di un conflitto, una stagione, concettualmente, un apparato limitato al tempo indispensabile a svolgere le operazioni emergenziali.

Il soggetto attuatore, generalmente un Politico, imporre al sofferente Gjitone, un’illusione storica priva di radici, realizzando nel breve tempo ogni cosa e perseguendo il germoglio Katundë, senza avere alcun riguardo verso il territorio, il sociale caratteristico, le consuetudini, del modello della “gjitonia”.

Quando si vogliono proporre modelli antichi, sintetizzandoli nel breve progettuale Katundë, senza volgere alcuna attenzione verso le dinamiche di luogo; si confonde lo stesso concetto di “Rione” con il quartiere; in altre parole si confonde persino l’opera che si deve realizzare.

Ragion per cui, si seguono stereotipi che non tengono conto dei processi economici e sociali; s’ignorano persino i concetti basilari degli insediamenti stradioti.

Appare evidente sfociare in quelle rappresentazioni che oggi chiamano i dormitori in cui l’economia si basa sul malaffare che non ha futuri e rende la vita breve alle nuove generazioni.

Per comprendere ciò, non serve essere accompagnati da illustri filosofi, o cattedratici, che dal chiuso dei propri olimpi culturali, vorrebbero illustrare cosa sia unire a quanti restano perplessi davanti a queste mura sbagliate, utili solo a creare confini, anche se nate per unire, o meglio, fare gjitonia.

I rioni delle nostre periferie, nati per accogliere, sono espressioni esclusive d’impatto visivo, mero costruito, fine a se stessa, privati di ogni riguardo verso gli aspetti legati al tatto, all’udito, ai profumi e al sapore, in tutto i cinque seni; questi ultimi sono proprio quelli capaci di garantire, il benessere del vivere civile, in continua relazione, tra passato, presente e futuro.

Solo avendo ben chiaro a cosa si deve dare continuità può contribuire a fare economia sostenibile, per questo, l’architettura si deve interfacciare con il territorio e attingere le risorse di caratterizzazione, per rendere attuabile l’armonico modello dei cinque sensi fare gjitonia.

Tuttavia senza la memoria storica, in altre parole, il rapporto che deve nascere tra consuetudini degli utenti e le risorse presenti sul territorio, si producno elevati e interrati, utili generare conflitti e povertà.

Se queste cattedrali del degrado, fossero state studiate adeguatamente a tempo debito o confrontati con i centri minori, gli attuatori di questi errori architettonici diffusi, avrebbero preso consapevolezza che il tempo, il territorio e le persone, forniscono i ritmi dell’architettura; solo avendo ben chiaro questi dati fondamentali si possono valorizzare, senza colpo ferire, la dignità culturale dei nostri centri urbani e suburbani.

Non certo attraverso le analisi e le citazioni di altri tempi dell’architettura, si può trovare una soluzione a questa emergenza, ne scaricare le responsabilità dei propri limiti progettuali a quanti si occupano di elementi, anche se utili, rimangono in veste complementare al tema di progetto.

L’architetto è l’unico maestro, l’artista, solo a lui spetta l’onere di tradurre con i suoi tratti le necessita, che intercettano, sociologi, psichiatri, psicologi, antropologi, geologi e tutte quelle professionalità indispensabili a dare contributi di luogo e di persone, un concerto in cui la parte del maestro direttore è indissolubilmente vestita dall’architetto.

Le radici di cui ha bisogno il maestro si possono intercettare solamente avendo consapevolezza del proprio ruolo; chi è maestro fa il maestro e gli altri suonano gli strumenti, quando lo spartito lo prevede.

La storia, frazionata diligentemente nel tempo, la ricerca che segue gli scenari, i fotogrammi delle varie epoche, estrapolate diligentemente dai centri minori, in poche parole, solo se si parte dal nocciolo dei cerchi concentrici, si è in grado di seguire la via per proiettarli nelle città e nelle metropoli.

Sono proprio i centri minori, con le architetture nate durante lo scorrere del tempo, a essere facilmente studiate e da cui avviare gli itinerari di studio, essi rappresentano le uniche legittimate fornire elementi chiari della rotta, dello spazio addomesticato per esigenze armoniche di tempo, di luogo e di memoria.

L’analisi d’indagine deve avere inizio dal basso, in quanto, tutti i grandi agglomerati urbani hanno alla base, o meglio nel nocciolo, il modello gjitonia.

Cercare ostinatamente a imporre il migliore segno Architettonico, senza avere alcun rispetto dei luoghi, della radice storica e i motivi sociali ed economici connessi allo scorrere del tempo, è segno che la retta via è stata già smarrita.

Valgono da esempio due casi storici del passato, che dovevano fare buona architettura, per minoranze storiche del meridione italiano; il primo la Mortella quartiere nato per dare ospitalità a quanti vivevano dopo la seconda guerra mondiale ancora in grotte, assieme agli animali domestici e da soma, in località “Sassi di Matera”; l’altro è il caso di Cavallerizzo in provincia di Cosenza; ma si potrebbero citare Martirano (CZ) o San Leucio (CE).

I progetti sortirono a un rifiuto generalizzato dei delocalizzati e bistrattati abitanti, specie nel caso di Cavallerizzo, gli abitanti furono soggiogati con la promessa che gli sarebbe stato realizzato “un nuovo paese arbëreshë con le gjitonie e addirittura, con Kiandunin e Spingunin”.

Due progetti realizzati con l’intento di soddisfare un malessere della classe operaia, il primo voleva eliminare la vergogna, politico sociale, intercettata alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso nei Sassi di Matera; il secondo indotto per la sciattezza degli organi preposti alla tutela del territorio posto ad Est del monte Mula.

In entrambi i casi hanno sortito a nulla di fatto, per aver poco  compreso le vere esigenze di quella povera e sfortunata popolazione; va rilevato che pur se i due casi nascessero sotto gli auspici di una buona finalizzazione, entrambi hanno fallito all’intento.

Questo perché i progettisti demandato ad altri l’opera di analisi fondamentale per la la matita del progettista, che ha finito per proporre modelli di altre latitudini, per non parlare poi delle longitudini senza  senso.

Quando si progetta per accogliere, non è costruttivo vagare nei territori di progetto, con l’auspicio di trovare la migliore idea, in quanto bisogna comprendere le dinamiche sociali dei gruppi in relazione al territorio; non è semplice orientarsi tra le diplomatiche comportamentali e storiche conservate da secoli, nei segni dell’architettura o dell’urbanistica in armonia con il territorio.

Questi sono i precursori ideali, gli unici capaci di attivare serenamente i cinque sensi, gli stessi che i grandi maestri, o per formazione o per superbia, ignoravano l’esistenza.

Il tempo è una variabile che sfugge senza essere considerata una priorità, e scandisce il costruito storico, motivo per il quale, quando si analizza una città o porzione, bisogna avere come bagaglio i valori storici dell’architettura minore, senza di essi il fallimento è la rotta da cui non si sfugge.

Per architettura gli antichi maestri dell’arte la indicavano come il punto da cui tracciare la linea o il cerchio che delimita un spazio, ritengo che questi siano solo dei segni su un pezzo di carta un appunto che poi in fase esecutiva nessuno più ricorda; architettura è il luogo addomesticato dall’uomo, sia al chiuso o all’aperto, dove i predestinati utilizzatori sono il completamento dell’opera e non è l’opera ad essere fine a se stessa.

Quando il gruppo familiare e la gjitonia non si sente coinvolti all’interno della propria cellula abitativa e nei spazi c senza limiti, la stessa che la minoranza arbëreshë d’Italia individua come i luoghi dei cinque sensi, è segno che l’attuatore ha sbagliato!!!

Solo quando si produce l’elemento costruito capace, di sensibilizzare i gruppi familiari al punto che i cinque sensi sono, piacevolmente e perennemente attivi, si può essere sicuri di aver fatto architettura buona, (quella immaginata e attuata dagli arbëreshë).

Questo è un risultato cui si giunge vivendo e conoscendo il luogo sin nelle parti più intime della storia, non transitandovi in auto e avere come fine prioritario, un luogo dove parcheggiare o un limite di velocità da non superare.

L’architettura razionale nasce per esigenze legate alle attività industriali, aveva uno scopo storico ben precisi, tuttavia il concetto in luoghi meno brillanti fu utilizzato in maniera incompleta, producendo i sistemi dormitorio, disseminati impropriamente in tutte le città e metropoli, in oltre, negli ultimi decenni si è cambiata tendenza coni i detti centri commerciali dove, a favore dell’industria e del commercio, si vive la vita diurna del commercio e del divertimento.

In poche parole si sono creati due elementi fondamentali, in disarmonia tra luogo di unione pubblica, lavoro e spazio privato, oltre modo distanti tra di loro.

Questa è la sintesi delle periferie e di tutti gli stati di fatto emergenziali, in cui sia i piccoli che ai grandi maestri dell’architettura, hanno immaginato senza avere alcun dato storico sia sociale che di luogo, facendo mancare alle diplomatiche del progetto, due concetti fondamentali; il primo è il teorema della Gjitonia (il luogo dei cinque sensi); il secondo è il teorema di Katund (il Paese diffuso).

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DISCORSO SULLE EMERGENZE ARCHITETTONICHE DELLA REGIONE STORICA  ARBËRESHË

Protetto: DISCORSO SULLE EMERGENZE ARCHITETTONICHE DELLA REGIONE STORICA ARBËRESHË

Posted on 16 novembre 2018 by admin

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SCUOLA DI TUTELA DEI BENI MATERIALI E IMMATERIALI DELLA REGIONE STORICA ARBËRESHË (dedicato a quanti mirano a ricostruite le città del passato con apparati e metodiche moderne)

Protetto: SCUOLA DI TUTELA DEI BENI MATERIALI E IMMATERIALI DELLA REGIONE STORICA ARBËRESHË (dedicato a quanti mirano a ricostruite le città del passato con apparati e metodiche moderne)

Posted on 13 novembre 2018 by admin

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LA ROTTA MEDITERRANEA ARBËRESHË; SECONDO LA STORIA DELL'ARCHITETTURA

Protetto: LA ROTTA MEDITERRANEA ARBËRESHË; SECONDO LA STORIA DELL’ARCHITETTURA

Posted on 18 luglio 2018 by admin

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" Tutela e sostenibilità degli ambiti tangibili e intangibili Albanofoni "

” Tutela e sostenibilità degli ambiti tangibili e intangibili Albanofoni “

Posted on 08 giugno 2017 by admin

bandieraarberesheNAPOLI (di Atanasio Pizzi) –

Dr. Anila Bitri Lani  Ambasadore e Republikës së  Shqipërisë në Republikën Italiane

 

Oggetto: ” Tutela e sostenibilità degli ambiti tangibili e intangibili Albanofoni “.

 

Cortese Dr. Anila Bitri Lani, ho ricevuto notizia della sua disponibilità ad accogliere positivamente l’invito di esponenti locali della Regione storica Arbëreshë, in appuntamenti culturali finalizzati alla tutela delle arti e dell’idioma di tradizione arbëreshë.

Sulla base, di quanto, da lei auspicato nell’intervenire nei relativi dibattiti, esortandi i presenti ad attivarsi per delineare e porre in essere nuove strategie di tutela della tradizione minoritaria arbër; a tal proposito la vorrei informare che a Roma in data l’11 novembre 2015 è stato stipulato un “PROTOCOLLO DI ACCORDO”, tra Il Ministero dello Sviluppo Urbano d’Albania, L’Associazione degli Architetti Albanesi e Il Consiglio Nazionale degli Architetti Italiani.

L’accordo mira a incoraggiare relazioni culturali tra Italia e Albania, “di know-how”, training; scambio di esperienze professionali migliorando le rispettive eccellenze attraverso progetti congiunti.

Il sottoscritto arch. Atanasio PIZZI in stretta cooperazione con il presidente dell’ordine degli architetti di Benevento, arch. Michele ORSILLO e l’arch. Albanese Shender LUZATI, preso spunto da questa stipula ha elaborato il documento qui di seguito allegato nelle sue linee generali.

Il fine che si vuole perseguire, da noi “ tecnici ricercatori”, è di illustrare e comprovare quali siano gli aspetti tangibili e intangibili arbëreshë che hanno caratterizzato i territori, attraversati addomesticati e vissuti dagli arbëreshë; essi rappresentano il nocciolo duro dell’unico modello d’integrazione tra popoli all’interno nel Mediterraneo e ha visto quali protagonisti edificatori Albanesi e Italiani.

Essendo il suo mandato istituzionale, la cerniera di unione tra le due nazioni, ritengo che lei debba assumere il ruolo di super visore di tale accordo e far emergere la genuinità dell’unico esempio d’integrazione Europeo.

Cortese Dr. Anila Bitri Lani, sarei lieto di illustrarle personalmente e più dettagliatamente il progetto, per concertare eventi di rilancio multidisciplinari che diano lustro alla minoranza considerata la più numerose d’Italia meridionale, che affonda le sue solide radici in Albania!

 

In attesa di una Vostra gradito riscontro

Le Invio i miei più Distinti Saluti.

 

Atanasio arch. Pizzi                                                                                                                                                                                                                         Napoli 2017 – 06 – 07

 

 

 

                                                         

 

                                                                                                                                      

“PROGETTO PER LA VALORIZZAZIONE, TUTELA E SOSTENIBILITÀ DEGLI AMBITI D’ARBËRIA”

 

I TERRITORIA ATTRAVERSATI, ADDOMESTICATI, COSTRUITI E VISSUTI

DAGLI ALBANOFONI TRA XV° E IL XXI° SECOLO

(Llaketë të Shkelur, të Butëruar, te Stisur e të Gjelluer Arbëreshë ka XV° njera te XXI° sekull )

 

A cura dell’Ordine degli Architetti Pianificatori e Paesaggisti della Provincia di Benevento,

con il supporto scientifico-architettonico :

Del Presidente O.A.P.C.B., arch. Michele ORSILLO

dell’arch. Arbëreshë Atanasio PIZZI 

e

dell’arch. Albanese Shender LUZATI

 

 

Premesso:

–               che in data l’11 novembre 2015 è stato Redatto, in Roma (Italia), un PROTOCOLLO DI ACCORDO (MEMORANDUM OF UNDERSTANDING) tra Il Ministero dello Sviluppo Urbano d’Albania, L’Associazione degli Architetti Albanesi, Il Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori e Paesaggisti Conservatori Italiani, L’Ordine degli Architetti Pianificatori e Paesaggisti della Provincia di Benevento su “Cooperazione per lo sviluppo degli scambi culturali e di attività professionali congiunte”. Il Vice Ministro dello Sviluppo Urbano, nell’interesse degli scambi internazionali del suo Paese, dotato dei poteri conferitigli dal suo mandato. Il Presidente dell’Associazione degli Architetti Albanesi, nell’interesse degli scambi internazionali del suo Paese, dotato dei poteri conferitigli dal suo mandato. Il Presidente dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Benevento e il Presidente del Dipartimento Europa ed Esteri ed Internazionalizzazione del Consiglio Nazionale degli Architetti P.P.C, italiani con sede in Roma (Italia) Via Santa Maria dell’Anima 10, nell’interesse degli scambi internazionali della sua istituzione, dotati dei poteri conferitigli dai loro mandati;

–              che in base all’Art.1 di tale accordo di Introduzione, si conviene che le parti, in cooperazione, m a sviluppare congiuntamente collaborazioni bilaterali con il fine di scambiare esperienze cultura, utili alla formazione professionale d’ambito di nuove figure che possano instituire un gruppo di lavoro che tuteli gli ambiti Arbëreshë e Albanesi secondo un disciplinare unitario;

–              che in base all’Art.2 dello stesso accordo, le Parti coopereranno congiuntamente nei seguenti settori:

  1. Definire e implementare progetti comuni sia in Albania e in Italia per valorizzare la cooperazione e i risultati di accrescimento congiunto che ne derivino;
  2. Organizzazione di eventi congiunti quali: fiere, mostre, tavole rotonde in entrambi i Paesi;
  3. Organizzazione di corsi e seminari di formazione e specializzazione;   –   che la Legge del 15 Dicembre 1999, n. 482, Art. 2. Comma 1, in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, sancisce che la Repubblica tutela tra le altre la lingua anche la cultura delle popolazioni Arbëreshë:  –              che Ogni macroarea, della R.S.A., ha avuto un ruolo specifico nel territorio meridionale, in relazione, sia all’epoca dell’esodo, e sia alla funzione assegnatagli, assumendo per questo: ruoli militari/strategici, sociali/economici e salubrità/demografico, con finalità di difesa, produttività e ripopolamento di vaste aree del regno di Napoli.-            che la Regione storica Arbëreshë (R.s.A) con le sue sedici macroaree, rappresenta un patrimonio non replicabile, –             che l’arbëreshë inteso come modello sociale rimane vivo identicamente sul territorio delle macroaree come nel passato, secondo consuetudini legate alla lingua e il rito religioso, rispettoso di quello nazionale e per questo solidamente integrati con gli ambiti indigeni;-            che le caratteristiche storiche della minoranza Arbëreshë (Albanesi d’Italia) non ha avuto un’adeguata stesura di studio e di ricerca multidisciplinare, comparato con quello della terra d’origine Albanese;-              che a oggi, non sono stati raggiunti gli adempimenti idonei per garantirne parametri di tutela sostenibile;     –   che nonostante si cerchi di aprire nuovi stati di fatto si preferiscono le misure monotematiche, tralasciando discipline per lo studio dell’ambiente naturale, del costruito storico, dell’urbanistica, delle architetture e delle arti, delle sedici macroaree dal punto di vista sia tangibile e sia intangibile; –     che La Regione Storica Arbëreshë, o (Regione storica dei Cinque Sensi) citata in precedenza, per ragioni di studio e per meglio focalizzare le caratteristiche oltre i ricorsi storici territoriali è suddivisa secondo le seguenti Macroaree, che uniscono storicamente circa centoventi Comuni del meridione italiano, coinvolgendo le regioni di: Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Campania, Calabria, Sicilia:  –      c he l’intento delle Norme su citate non deve essere inteso come di mero divieto, “alla non discriminazione” ma, bensì, di “sollecito a porre in atto atteggiamenti e misure positive” per il prodursi di tali salvaguardie; –           che le regioni su citate concorrono in armonia con i principi generali di rispetto e tutela stabiliti dagli organismi Italiani, Europei e Internazionali, attuando misure legislative a salvaguardia, della lingua, del patrimonio letterario, storico ed archivistico, del rito religioso, del canto, la musica e la danza popolare, il teatro, le arti figurative e l’arte sacra, le peculiarità urbanistiche, architettoniche oltre a quelle monumentali, gli insediamenti abitativi antichi, le istituzioni educative, formative e religiose storiche, le tradizioni popolari, la cultura materiale, il costume popolare, l’artigianato tipico e artistico, la tipizzazione dei prodotti agro-alimentari, la gastronomia tipica, e qualsiasi altro aspetto della cultura e del sociale; –           che lingua Albanese in Italia l’Arbëreshë è a tutt’oggi parlata in oltre sessanta comuni sparsi nell’Italia meridionale e insulare, anche se la misura originaria era di ben oltre cento comunità e per questo considerati punti di interesse per le regioni di: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, e Sicilia;-              che l’articolo 9 della costituzione della Repubblica Italiana promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica; tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.” –              che la Convenzione-Quadro per la protezione delle minoranze nazionali approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa 10 novembre 1994; –              che la Carta Europea, Strasburgo 5 novembre 1992, tutela le lingue regionali o minoritarie;

Considerato:

      –    che l’Ordine degli Architetti Pianificatori e Paesaggisti della Provincia di Benevento in accordo con gli architetti Shender Luzati e Atanasio Pizzi, ha stilato un progetto di studio concernente gli    ambiti albanofoni in Italia e in terra madre Albanese;

      –      che vista la disponibilità dei Sindaci dei Comune di Greci, in provincia di Avellino, (arch. Donatella MARTINO); di Ginestra degli Schiavoni, in provincia di Benevento (Avv. Spina Zaccaria); di San Demetrio Corone in provincia di Cosenza, (ing. Salvatore LAMIRATA); di San Benedetto Ullano in provincia di Cosenza, (Avv. Rosaria Amalia CAPPARELLI); di San Basile in Provincia di Cosenza (dott. Vincenzo TAMBURI); di Civita in Provincia di Cosenza (dott. Alessandro TOCCI), di San Costantino Albanese in Provincia di Potenza (Avv. Rosamaria BUSICCHIO); Barile in Provincia di Potenza (V. S. Michelangelo VOLPE); a rendersi disponibili per consentire gli accessi, recuperare elementi e dati durante la fase di analisi/studio;

      –      che vista la disponibilità dell’Associazione Cavallerizzo Vive – Kajverici Rron – a riferire l’esperienza e i termini dissociatici moderni della migrazione forzata, il loro antico centro é unico paese delocalizzato, che vive una vicenda paradossale dal 2005;

       –        che l’architetto Atanasio Pizzi, svolge l’attività di ricerca su tali temi insediativi arbëreshë, sin dagli anni settanta del secolo scorso;

       –       che l’architetto Shender Luzati da oltre quattro decenni svolge attività nell’ambito dello sviluppo urbanistico -architettonico delle città Albanese e pubblicando numerosi articoli, delle albume, all’esposizione e lo studio monografico per la città di Scutari;

        –       che gli ambiti di studio aprono nuovi stati di fatto per approfondire le caratteristiche materiali e immateriali della minoranza; si ritiene fondamentale evidenziare i parallelismi territoriali del Nord, del Centro e del Sud dell’Albania, con le esperienze arbëreshë nel sud dell’Italia, peninsulare e insulare, dal XV sino ai giorni nostri.

        –      che l’Ordine degli Architetti Pianificatori e Paesaggisti della Provincia di Benevento nella figura del presidente Arch. Michele Orsillo in accordo con gli architetti: Atanasio Pizzi e Shender Luzati, si sono resi indispensabili a realizzare corsi e seminari formativi per la tutela, la ricollocazione dei manufatti e gli ambiti storici, in quanto luoghi nati secondo l’antico auspicio della “promessa” (Besa) , i cui capisaldi fondamentali che sostengono oltre sei secoli di storia sono, l’idioma, la consuetudine e la religione, caratteristiche fondamentali del popolo Arbëreshë unico nel continente a tramandare la storia attraverso dialoghi e collaborazioni in sola forma orale;

Per quanto premesso: si vogliono porre in essere il progetti e le iniziative qui di seguito elencate:

  1. Produzione scrittografica, concernente i temi della storia, il tangibile e l’intangibile arbëreshë;
  2. Mostra itinerante “Aquila Bicipite: la Rotta Arbëreshë”;
  3. Vocabolario Unitario Tecnico delle parlate di macroarea;
  4. Sistema integrato della R. s. A. ; sostenibilità e gestione di musei, biblioteche ed edifici di culto;
  5. Analisi tecnologica per la migliore tutela dei musei d’arberia
  6. Creazuine dell’Archivio figurativo, fotografico e cinematografico; comparazione di macroarea;
  7. Dibattiti e convegni nei centri di macroarea, divulgazione degli elementi finiti;
  8. Divulgazione delle opere cinematografiche d’arberia;
  9. Conferenze e tavole rotonde in favore della popolazione scolastica e docente;
  10. Incontri nei locali delle biblioteche comunali con la popolazione locale;
  11. Conferenze, tavole rotonde, nei plessi Universitari Albanesi e Italiani;
  12. Corsi di Formazione rivolti agli Uffici Tecnici Comunali e gli Sportelli Linguistici d’area;
  13. Progetti per la sostenibilità degli elementi costruiti pubblici e privati;
  14. Progetti di realtà aumentata negli ambiti storici locali;
  15. Progetti fuochi pirotecnici di luce negli anfratti attraversati vissuti e costruiti dagli arbereshe;
  16. La primavera Itali Albanese; storia, rievocazione e significato sociale;

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