NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Avere quale eccellente attitudinale il rilevare e disegnare in prima istanza, con metro, bozze grafiche, annotando sensazioni antiche, dello stato di un luogo o di una cosa che hanno reso l’uomo protagonista, è un’arte che pochi sanno come renderla possibile.
Ed è così che diventa una missione indispensabile per chi vuole dare vita ad una parentesi antica, li depositata e, avvolte velata per impedire la giusta notorietà, anche se rimane lì, pronta a diventare ancora protagonista incontrastata della storia che migliora gli uomini.
Aver avuto una crescita al passo con i tempi, nella disciplina del rilievo, avendo come primo impatto schizzi di necessità per poi rilevare le opere realizzare secondo metriche, che possano offrire proporzione alla realtà esposta al sole, ma velata per credenza o motivi di politiche di antiche necessità, sicuramente apre prospettive nuove e utili alla società in cammino.
Ho iniziato con rilievi architettonici, utili a recuperare abitazioni private, fontane e piazze, continuando l’evoluzione con ville agresti, residenze reali, cattedrali, chiese, per terminare con il rilievo di interi centri antichi.
Il tutto sempre con la metodologia di misurare e rilevare in luogo con metro e grafici sensoriali annotati, poi nel mio regno da primo protagonista con tecnigrafo matite e grafhos, poi con apparati elettronici e in fine con computer dai tempi dell’AutoCAD, versione nona, dando sempre modo a molti edifici di svelare, come erano stati pensati e realizzati dagli uomini; valga da esempio il Quisisana di Castellammare che fece subito presa sulle autorità, che predisporre risorse adeguate per farlo risplendere come oggi appare.
Come, non da meno è stata la catalogazione e i rilievi in grado di consentire i migliori progetti di rivalutazione o restauri di Regge, Cattedrali, Palazzi di Parità di Genere, Fontane storiche, Biblioteche, Musei e Archivi.
In tutti questi elevati noti, nel corso della storia, la metodologia del rilievo metrico, le annotazioni schematiche e sensoriali, hanno consentito di fare unici, inarrivabili progetti, ancora oggi vanto di numerose istituzioni del sud dell’Italia, il tutto, nell’anonimato in titolo di sign. prima, perito dopo e oggi architetto.
Un percorso di crescita che ha dato modo di avvertire le necessità e le pene di questi ameni luoghi, così è stato, quando a un certo punto della mia carriera, mi sono chiesto chi fossi e dove volevo e riversare la mia esperienza, se non da dove provenivo per rendere utile il bagaglio irripetibile.
Infatti pur se noto, no ero supportato dai necessari titoli e, quando in una conferenza di servizio, al fine di essere screditato del mio parlato e delle mie soluzioni, mi fu resto pubblico lo stato di titoli, a modo di scherno, non vi furo più dubbi che i tempi erano maturi per dare misura di titoli.
Riprese cosi il percorso interrotto e mai dimenticato, della certificazione pubblica e, la ricerca della volontà velata rimasta in quell’antico cassetto di casa, fu svelato e subito dopo conquistato con tutti i doveri della più nobile e caparbia volontà, come mi riferirono quanti conoscevano la mia storia privata.
E fu da allora, con tutte le mie certificazioni e conquiste di merito, che ho rivolto lo sguardo verso la storia e le cose fatte per sostenere, quella che identifico come, “Regione storica diffusa e sostenuta in lingua parlata e movenze in Arbëreşë”.
Ho partecipato a diversi eventi rimanendo basito e senza respiro, per gli inutili editi e attribuzioni a figure della storia, in tutto i generi meno accreditati se non per le false attribuzioni, ritenendoli per campanile, indispensabile l’indagare, la minoranza dal punto di vista dei veri illustri, il genio locale, l’architettura, l’urbanistica, il valore delle masserie, i Frantoi e Mulini, lungo il corso dei cunei agrari, che resero possibile quanto qui di seguito per grandi linee citato.
In tutto, studi svolti con il solo fine di esporre la minoranza storica più coesa e integrata del vecchio continente, come insieme diffuso di urlatori o parlanti disposti sui propri campanili locali, perennemente pronto a blaterare una lingua altra, che se mira oggi a una nazione moderna, nel corso della storia antica non era né presente, né pregante, se non per i suoi abitanti Arbëreşë, che lì non vivono più da almeno sei secoli.
Era il settembre del 2003 che avvenne la mia uscita pubblica avendo sempre per rispetto di istituti e istituzioni rimasto velato come il calendario storco, immaginando che le altre credenze facessero del bene.
La mia apparizione pubblica da allora è stato un successo inarrivabile e lo scherno questa volta non era per titoli che ho e sono impareggiabili, ma misurando secondo un giudizio di parte relativamente alla mia formazione e quella dei comunemente urlatori di campanili a modo di luna crescente o di pecora che pasce sulla cupola di minareto.
Ormai sono due decenni che eseguo studi mirati e provvedimenti di tutela per evitare la dismissione dei centri antichi dei comuni arbëreşë, nonostante l’assoluta latitanza delle autorità delegate.
Partecipazione a venti storici a Roma, Firenze, Catanzaro, Potenza, Lecce, Bergamo, Valentia e numerosi Katundë, mi hanno reso eccellenza, per quanto attiene il valore del costruito, in specie di quello vernacolare, o architettura del bisogno prima di esporre i momenti storici più recenti, i più facili da individuare e alla poetata di ogni addetto comune.
Se a questo aggiungo che a darmi le prime direttive del parlato, erano le eccellenze del governo delle donne e di quello degli uomini del mio Katundë, si chiude un cerchio di formazione unico, indissolubile e inarrivabile pet ogni addetto che immagina che l’Arbëreşë è solo un parlato altro, che trova agio in chi viene elevato con “110 Albanisti in lode”.
Oggi lo scrivente sulla base dei suoi studi e dei suoi titoli e meriti si propone di unire il marmoreo più antico della terra e, accostarlo, alla credenza arbëreşë, quella che mira dove è rivolta la preghiera della chiesa di Sant’Atanasio in Terra di Sofia e, ancora per mori e molti, non si comprende perché si festeggi, a maggio, il Patriarca o il Grande e in Gennaio al Vescovo definito Piccolo.
Sono tante le risposte che a breve saranno rese pubbliche e quanti immaginano che leggere e scrivere una lingua parlata sia meglio che fare rilievi e memoria grafica, non sa ancora che perde tempo e un giorno questi muri di incoerenza e senza valore gli crolleranno a dosso, incolpando per questo, chissà quale libero pensatore o passante della breve sosta.