NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – La Calabria oggi come succedeva secoli orsono è salita sugli altari che spettano a chi unisce popoli e fa accoglienza, ma con una sostanziale differenza, ovvero, in terra ferma non è confermata la stessa disponibilità ad unire approdi, colline e monti.
Emerge così il confronto storico da le tre macro aree calabresi, Ovvero la Citeriore, la Ultra e l’Ulteriore, una scia indelebile di stupore diffuso, sin anche quando la si presenta come punta da cui partire per raggiungere isole oltre mare.
Oggi la ribalta politica e dei media, concentra l’attenzioni per i risvolti sociali ed economici d’Europa, grazie al ponte sospeso sullo stretto, un tempo “oltre il faro”, il traguardo da raggiungere co treni veloci, ma qui inesistenti, dove far viaggiare, tutte le sorti future del sud Italia che è già isola.
La Calabria, punta di uno stivale, ha un difetto grande, ovvero, dimentica di essere parte della gamba del corpo europeo, ed è proprio da qui che si sono tessute, le trame disgiunte tra le sue tre figlie Citra, Ultra, Ulteriore e, qui in questo breve, si vogliono evidenziarle per ripristinare lo stato di fatto non più accettabile, nello specifico l’operato politico/culturale che non collega, i suoi piccoli e grandi centri, che giorno dopo giorno perdono vitalità e porzioni ancora non fondamentali, dell’imperterrito scorrere delle stagioni.
Rievocare lo stato e le cose che hanno reso la Calabria protagonista nei secoli, non sta in questa diplomatica, perché largamente diffuse, ma riferire di quanto e cosa la caratterizza dal secolo scorso, è il caso di soffermarsi e sottolineare avvenimenti di radice culturale non di poca importanza.
Nel 1970 venne istituita la regione Calabria con capoluogo politico e sociale Catanzaro, ma gli attriti che anticiparono questa scelta, nate qualche anno prima, fecero riecheggiare le volontà antiche di Valle di Crati, Terra Giordana e del Gran Ducato calabrese, rispolverate e sventolate nelle piazze con colori ed emblemi politici.
Tutte e tre le province portavano sul tavolo, la trattativa in misura e del valore del proprio vento, ma poi ad avere ragione fu la strategica posizione della prima, su tutte le altre due, che vennero giudicate periferia.
Una volta ristabiliti, dalla politica, ruoli, funzioni sociali e formazione, ebbe iniziò la stagione delle autonomie regionali e, nonostante le province siano passate da tre a cinque, con Catanzaro capoluogo di regione e Cosenza, Reggio di Calabria province, assieme alle giovani Crotone e Vibo Valentia, il trittico storico della essenze culturale, continua a formare i calabresi, con venti e trame di tessitura secondo gli antichi risvolti di: Terra di Valle Crati, Terra Giordana e Terra del Gran Ducato.
In Calabria dopo aver elevato i confini politici e amministrativi con capitale Catanzaro, si disposero, temi culturali diversificati nei tre capoluoghi storici, e le discipline culturali poste in essere, continuano a seguire rotte distinte per un capitano che manca come regia super parte, quella in grado di far convergere ed essere eccellenza, come fa la terra con madre natura.
La regione grazie al principio di accoglienza della Sibaritide e del Reggino antico, con le coste colme di abbracci sicuri di approdo, hanno saputo portare a termine, e con successo sconfiggere, le difficoltà prodotte da terremoti, carestie, siccità e ogni sorta di evento naturale malevolo dirsi voglia.
Le genti di Calabria con le sole risorse vernacolari di genio locale, in fraterno confronto con i nuovi ospiti, li approdato prima e poi accolti nei centri collinari, hanno saputo superare ogni avversità, lavorando senza giudicare cose, fatti e uomini, seguendo solo l’aratro trainata dai buoi, per fare solchi assolati di semina buona in questa Biosfera del meridione.
Chine ripide senza misura, superate grazie alla forza dei solidi cunei agrari e, come atleti Crotonesi instancabili, trovare forza per confrontarsi in quell’ambiente naturale, innalzando i valori inestimabili del trittico mediterraneo per vivere bene e in salute.
Una radice sostanziosa che germogliò per dare frutto nei campi dell’agro, silvio e pastorale, poi trasformato dalla “proto industria locale”, in alimento unico, indivisibile e inimitabile.
Si conoscono tutte le epoche della storia di questa regione, grazie alla quale minoranze storiche, qui trovarono porti sicuri e, oggi, invece di essere valorizzate per i loro contenuti storici, sociali antropologici e dell’architettura vernacolare, come esempio di città aperta o metropolitana, sono tutti comunemente classificati come “Borghi”, termine a dir poco inopportuno, per il valore di apertura sociale che denotano quei luoghi di iunctura sociale.
Sono queste stesse minoranze che assemblavano agglomerati urbani, denominati Hora o, Katundë, rispettivamente a impronta Grecanica e Arbëreşë, senza mai produrre sovrapposizioni sociali, di tempo ed etnia, insediandosi in macro aree disabitate o dismesse dagli indigeni locali, i quali essendo in pena, li desertificavano assieme all’agro, gli stessi ambiti, poi secondo le epoche riconosciuti come: Grecanici, Arbëreşë e Occitani, tutti nel breve tempo del confronto con gli indigeni locali, resero vitali e produttivi le terre di pertinenza di quei centri antichi.
Oggi questi centri, di valori, forme e significati vernacolari inestimabili, pur rappresentano circa il 20% dei comini di tutta la regione, sono tutelati solo per la lingua altra che qui si ode echeggiare, ma non certo per l’interezza del modello sociale che qui venne innestato in espressione materiale e immateriale, per diventare il volano primo dell’intera Calabria in arte attività e cultura.
E nonostante ciò si perde tempo senza mai produrre, per opera di tutte le discipline culturali di formazione, un progetto condiviso di indagine e studio, formando gruppo multi disciplinari come faceva l’imprenditore/ingegnere Adriano Olivetti, negli anni sessanta del secolo scorso, ogni volta ricevuto un incarico istituzionale, per valorizzare o intervenire in ambiti di particolare interesse culturale, sociale ed economico, per nuove opportunità di rilancio.
Oggi si va ramenghi, per vicoletti, piazze, case e shëşë dei centri minori, cercando di innalzare ponti con i costume tradizionale Arbëreşë, il ponte che collega, la casa e la chiese, ovvero il componimento la regola o manuale, trattato senza misura con editi, multimediali, televisivi o cartacei, che siano, immaginando che i primi viandanti lì di passaggio, possano avere il ponte di formazione ideale per esprimere il calore in essi contenuto; la storia di ieri, aderente a quella di oggi, per i domani di continua coerenza.
Allo stato delle cose una domanda nasce spontanea: chi deve rispondere alla mancanza di chiarimenti culturali, di questa tessitura orfana di vie, strade e ponti per dare agio, al sistema Antropico, Sociale, Architettonico, Urbanistico e degli esempi vernacolari, per i quali questi centri antichi, fatti con materia di pura resilienza, continuano a rispondere alle ire dei quinquenni?
La consuetudine calabrese rimane intatta, si studia e si progetta realizzando ponti di confronto con altre terre, senza badare a valli, colline e coste, dove scorrono torrenti, fiumi e impatto i mari, si lascia allargare varco affinare coste e, il vicino di provincia li pronto ad aiutare è sempre meglio del viandante, ignoto e sconosciuto che arriva da lontano.
Si dice che in Calabria serve un ponte, di lunghe campate e molto largo, per fare cultura, economia e nuove opportunità sociali; allora non sarebbe il caso di indagare chi, come, con cosa e perché, costruì in forma vernacolare, “il primo ponte sospeso al mondo, con catenarie a pilastri singoli”, il fondamentale ponte, che divenne simbolo di unione sicura e vanto di Regni, Vescovati e Principati, in tutto, consentire la continuità ideale alla strada che dalle Alpi unì l’Italia sino al di qua del faro.
Tutto questo, mentre si costruivano modelli di scienza, fatti di uomini esatti e, non viandanti pronti a salire sul palco per essere illuminati dai riflettori, e questi ultimi non sono certo la forza della Terra nostra calabrese.