NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – L’arberia è nei fatti disunita e senza fini comuni, ha una bandiera che non è la propria, non ha un centro politico comune che abbia rilevanza nelle sedi della Nazione Italiana.
Smembrati in 50 e più comuni, indipendenti l’uno dall’altro, senza alleanze, senza unità di interessi materiali e non, inceppati con il progresso, privi di manifatture che vivono dell’incremento di duecento anni orsono e le attività commerciale non splendono certo della diversità di cui si va tanto fieri.
Eccellenze territoriali che abbondano in una provincia, difettano in un’altra senza che si sia mai posto un adeguato senso comune per ristabilire un ideale equilibrio.
Trenta o più modelli linguistici ci uniscono in una fratellanza che se da un lato ci fanno dialogare gli uni agli altri dall’altra ci pone alla stessa stregua di estranei.
E tutti questi paesi, sono governati dispoticamente privi d’intenti comuni, è indubbio che una regione che si potrebbe definire arbëreshë esiste e potrebbe formare un grande gruppo politico economico e sociale unitario, ma allo stato è pura utopia.
Non vi sono cinque, quattro, tre, o più Arberie, esiste una sola, i suoi confini sono delineati nei contesti più suggestivi del sud Italia; il risultano di simboli della loro natura.
Il mare la cinge quasi per abbracciarla nei golfi frastagliati delle coste e dove queste non arrivano ci sono gli Appennini a completare l’amorevole gesto.
Al pari delle gemme cadute dal suo diadema stanno disseminate nelle terre bagnate da quel mare, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e su fino al Molise essi trovarono la natura simile del suolo, l’ossatura di monti facendo riecheggiare quelle antiche sonorità.
Dentro i nuovi confini che ad essi furono assegnati le genti migrarono gli uni affianco gli altri diventando persecutori feroci nei confronti di coloro che volevano spegnere gli entusiasmi nei nuovi territori.
La vita nelle terre italiane ha partorito più di 200.000 uomini dotati di attive e splendide facoltà, producendo una tradizione di gloria culturale che le nazioni del mondo ci invidiano, ma che nessuno di coloro che si è posto alla guida della comunità è stato in grado di far riverberare.
Non è giusto che ancora oggi non vengano valorizzati i contesti, le residenze e i percorsi storico ambientali di arberehe così eccelsi.
Gli appunti locali fatti di favole aneddoti e briciole di poco conto, sono stati privilegiati dalla dabbenaggine, che ha preso il posto della storia, quella vera scritta con il sangue e il sudore che non veicola primeggiando nelle rughe e nei scesci d’arberia.
Capita troppo spesso, purtroppo, che in contesti istituzionali si disquisisca in modo marginale della storia arbereshe e siano del tutto ignorati personaggi, luoghi, attrezzi materiali e spirituali che hanno dato senso al percorso degli arbereshe dal 1400 sino ad oggi.
L’unità di intenti degli arbereshe per considerarsi tale deve distruggere gli ostacoli dell’istituzione che uccide ogni sviluppo del religioso futuro, scompagnandolo dal progresso dell’umanità e ponendosi a contrasto con esso.
In Calabria è depositato il nido a cui spetta l’alto ufficio di rilanciare solennemente l’emancipazione degli arbhresch, acquisita nel civile confronto con le civiltà più evolute.
Questa invocata unità, non può che uscire se non da intenti comini di noi tutti e muovere la parola della unità moderna che consenta di riunire quel concilio delle intelligenze virtuose che accerterà i dogmi per un nuovo progetto, consenta e assicuri la prosecuzione dei contesti arbhresch.
È utile che gli sterili personalismi si facciano da parte e le famiglie intimamente connesse comprendano che la vita non può entrare nell’uno senza sommuovere l’altro.
Il nemico col quale gli arbhresch debbono combattere è in continuo agguato e colpisce lentamente, senza fretta perche ha come alleato il tempo.
Giorno dopo giorno priva l’etnia di minuscoli tasselli, per ovviare a questo fenomeno è indispensabile avere le certezze storiche, quelle che contano però, solo esse possono fungere da catalizzatore ed evitare il dissolversi dei piccoli tasselli che all’apparenza sono irrilevanti ma sono loro che tengono aggiogati e anelati gli uomini, dalle identiche origini.
Noi oggi non possiamo vivere se non di vita europea, emancipati e legati alla storia e alla religione, senza soffrire degli incubi dei popoli a cui siamo astati assoggettati nelle terre italiche, poiché quei trecento anni di convivenza ci fecero diventare Arbhresh.
Noi, che siamo stati discriminati, derisi, disprezzati e messi in discussione dal quelli del paese di fronte, non accettiamo oggi suggerimenti, attraverso segni, parlate e assurde disquisizioni, per scindere ciò che siamo, da quello che non siamo mai stati.