Posted on 14 agosto 2015 by admin
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Posted on 20 maggio 2015 by admin
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Posted on 08 febbraio 2015 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) –
Premessa
Visto lo stato in cui versano i beni culturali di tipo tangibile e intangibile della minoranza Arbëreshë, si ritiene sia doveroso attivarsi per la messa in atto del documento, qui di seguito riportato dal titolo:“Carta per la Tutela della Regione Storica Arbëreshë”; il fine che si vuole perseguire, è la sostenibilità globale del patrimonio minoritario, la cui prerogativa sono gli aspetti caratteristici direttamente connessi al territorio costruito, le aree rurali oltre al paesaggio, in quanto sono i contenitori fisici in cui il modello consuetudinario ha trovato dimora per conservare, la cultura e le tradizione tramandate oralmente in arbëreshë. Per quanto detto si rende indispensabile, che i centri facenti parte la “Regione storica Arbëreshë”, (di seguito denominata RsA), s’impegnano con il fine comune di adoperarsi per la difesa dei beni tangibili e intangibili non più come “mera estrapolazione di frammenti storici del rito”, in quanto, gli episodi di sintesi non hanno né valore, né forza, né spessore per sostenere il peso storico, letterario, scientifico e religioso del patrimonio consuetudinario albanofono.
“CARTA PER LA TUTELA DELLA REGIONE STORICA ARBËRESHË”
( Sat mos t’ë gharròmj )
Finalità e obiettivi
I) La carta costituisce atto di programmazione e s’ispira ai principi della responsabilità, della cooperazione e la concertazione tra istituzioni, forze sociali, economiche, culturali, civili e religiose.
II) La carta si attiene, nei contenuti, a quanto disposto dal legislatore, utilizzando per questo ogni strumento che abbia come fine la tutela dei beni di tipo tangibile e intangibile della minoranza Arbëreshë.
III) La carta oltre a definire l’assetto delle macroaree territoriali, stabilisce azioni, strategie e ogni atto utile per garantire le attinenze di esclusiva della minoranza per il più idoneo proseguimento storico.
IV) La carta si articola in norme, programmi, progetti e campi di azione territoriali, tangibili e intangibili riferibili alla storia dalla minoranza.
V) L’ambito di competenze è incentrato nella cooperazione di Regioni, Provincie e Comuni, con ruoli riconosciuti dalla costituzione, al fine di produrre la migliore applicazione attuata come riportato:
a) Diffondere la valorizzazione delle eccellenze su tutto il territorio della RsA, riferito al costruito o al mitigato, dagli arbëreshë; quello naturale, in conformità a una ricognizione dei valori identitari diffusi; una politica rinnovata del patrimonio culturale e naturale la cui articolazione deve essere condivisa come risorsa di sviluppo sostenibile della RsA.
b) Attuare tra le macroaree una rete che consenta di superare l’insularità, sia all’interno dei centri urbani e sia nel territorio rurale e delle aree naturalistiche, al fine di fornire informazioni storiche accessibilità ai canali turistici per diffondere la biodiversità di ogni macroarea .
c) Aumentare l’offerta di soggiorno diffuso con una forma di turismo moderna fondata nei tipici valori sociali allargati degli arbëreshë, aspetti folclorico è concertazione dei sensi.
d) Favorire la crescita di accoglienza agevolando le attività produttive agro silvicole e pastorali valorizzando le risorse locali, ambienti singolari caratteristici di ogni macroarea.
e) Ridurre il degrado urbanistico, edilizio e rurale con particolare attenzione alle aree di coesione e di equità sociale contenute in ogni rione, consolidando l’assetto residenziale organizzato, in funzione degli spazi pubblici vivibili e funzionali, adeguandoli alle tecnologie moderne, che saranno il moderno coagulo sociale e ripristinare i valori antichi della minoranza sotto una nuova veste.
f) Contenere il consumo di suolo agronaturale, ripristinando i siti dismessi e concentrando la localizzazione, della logistica e elle infrastrutture più essenziali cercando di non compromettere il patrimonio storico.
g) Distribuire equamente sul territorio le opportunità di ricerca tutela e valorizzazione, attivando politiche di coordinamento per l’accessibilità alle banche dati, queste ultime saranno lo strumento essenziale che fornirà in campo linguistico, storico, architettonico, e di tutte le arti ad esse riferibili, gli strumenti per operare in conformità con la rara consuetudine.
h) Elevare l’istruzione e la formazione con la diffusione capillare delle caratteristiche proprie della macroarea, assegnando priorità agli interventi e agli eventi volti alla diffusione e al miglioramento della tradizione arbëreshë, con il fine di rilanciare il preziosissimo modello sociale.
i) Potenziare e rendere più efficiente il sistema di comunicazione interno e le relazioni esterne delle macroaree, agevolando le strategie e i fondamentali per la riorganizzazione funzionale oltre che qualitativa degli insediamenti policentrici che sono le fondamenta dell’equilibrio territoriale delle minoranze arbëreshë.
Ambiti di Attuazione
Art. 1 – Le opere monumentali degli arbëreshë, recanti un messaggio spirituale del passato, rappresentano, nella vita attuale, la viva testimonianza delle loro tradizioni secolari; la RsA, che ogni giorno prende atto dei valori umani, le considera patrimonio comune, riconoscendosi responsabile della loro salvaguardia di fronte alle generazioni future, si sente in dovere di trasmetterle nella loro completa autenticità; i comini che costituiscono la regione storica arbëreshë, convinti che la tutela dei beni tangibili e intangibili, interessi i tutori e i conservatori della RsA, si augura che si giunga reciprocamente a una collaborazione sempre più estesa, condivisa e concreta, indispensabile per favorire il riverbero più duraturo della minoranza; si ritiene, in oltre, desiderabile che le istituzioni e i gruppi qualificati, senza minimamente intaccare il diritto pubblico, possano manifestare il loro interesse per la salvaguardia patrimonio attraverso cui la civiltà ha trovato la sua più alta espressione, che purtroppo oggi sono largamente esposti, minacciati o compromessi dalle dinamiche e dagli avvenimenti di attuazione globale; gli intenti della RsA vogliono sottoporre lo studio degli ambiti sia ai singoli che alle organizzazioni della cooperazione intellettuale condivisa e rendere sostenibile la cultura che poi la benevola sensibilità delle singole macroaree.
Art. 2 – le norme di tutela si applicano negli ambiti caratterizzati o vissuti dalle minoranze, in cui persistono evidenti episodi delle loro permanenza, allo scopo è opportuno individuare le arre geografiche riferibili, dove lingua, consuetudine, religione e rito, sono state espressione storica dal XV secolo; va sottolineato con fermezza che la carta ha il solo fine di tutelare, sostenere e valorizzare gli ambiti delle popolazioni di origine albanofona, che in pacifica convivenza con quelle indigene, nel comune intento della giusta integrazione secondo i diritti e i doveri sanciti della Costituzione Italiana.
Art. 3 – Le macroaree riferibili alla minoranza arbëreshë ricadono nelle provincie e le relative regioni qui elencate: ABRUZZO: Provincia di Pescara; (Macroarea della Strada Trionfale); MOLISE: Provincia di Campobasso; (Macroarea del Biferno); CAMPANIA: Provincia di Avellino; (Macroarea Irpina); LUCANIA: Provincia di Potenza; (Macroarea del Vulture, del Castello e del Sarmento);PUGLIA: Provincia di Lecce e Taranto; (Macroarea del Limitone e della Daunia); CALABRIA: Province di Cosenza; (Macroarea della Cinta Sanseverinense suddivisa in sub m.c. del Pollino, delle Miniere, della Mula, della Sila Greca); Provincia di Crotone; (Macroarea del Neto); Provincia di Catanzaro; (Macroarea dei Due Mari); Provincia di Regio Calabria; (Macroarea dei Caraffa di Bruzzano); SICILIA: Provincia di Palermo; (Macroarea del Primo Maggio). È opportuno precisare che la conservazione dei beni tangibili e intangibili siano prestabiliti e formulati all’interno della RsA, lasciando tuttavia che ogni Macroarea li affini in considerazione degli aspetti territoriali.
Art. 4 – Costatato che nelle condizioni della vita moderna le eccellenze storiche della RsA si trovano sempre più sottoposte a dismissioni per vetustà e da episodi manifesti, si ritiene quindi opportuno formulare regole che si adattino alla complessità dei casi e per questo si raccomanda:
1) la collaborazione dei conservatori, degli architetti, dei rappresentanti delle scienze fisiche, chimiche, naturali, storiche e dell’idioma che quando raggiungono risultati che garantiscono idonea applicazione, essi siano riferiti, divulgati e archiviati per la più idonea consultazione.
2) a tal proposito si dovrà provvedere alla messa in atto di un canale multimediale condiviso dalla RsA, attraverso cui gli Uffici o sedi amministrative, delle metodiche portate a buon fine diventino anche la vetrina prima, durante e dopo l’esecuzione delle metodiche di tutela.
3) per questo sarà anche costituito un archivio centrale in cui convogliare per consultazioni o riferimenti di ogni natura riferibile alla minoranza in modo da evitare interpretazioni e manomissione a ogni bene del patrimonio storico materiale e immateriale.
Art. 5 – E’ importante rilevare che negli interventi di edifici o quinte di ambiti storici, il carattere e la fisionomia tipica che caratterizza il rione, quest’ultimo deve essere oggetto di cure particolari, nel pieno rispetto della tutela prospettica e cromatica. Oggetto di studio possono anche essere le piantagioni e le ornamentazioni vegetali per conservare l’antico carattere, a tal proposito si raccomanda soprattutto la soppressione di ogni pubblicità, di ogni sovrapposizione abusiva sottoservizi, di ogni industria rumorosa e invadente, in prossimità di episodi dell’arte e della storia.
Art. 6 – Gli ambiti cui fa riferimento la carta, sono il territorio e il costruito storico, tutelando, quali elementi caratterizzanti, le Kalive, i Katoj, le abitazioni a due livelli e i conseguenti palazzi post napoleonici e le chiese o comunque qualsiasi presidio religioso; dal punto di vista prettamente urbanistico rientra nella tutela, i rioni, le vie di costa, i sheshet, le ruhat, e gli anfratti e tutte le opere realizzate dagli albanofoni nella mitigazione del paesaggi da naturale a costruito; infatti essi rappresentano l’evoluzione di avvenimenti caratteristici di mutua convivenza con il territorio, la norma si applica anche a tutti i beni immateriali e della manualità in senso generale con significato di aver partecipato al sostentamento della cultura agro, silvicola e pastorale arbëreshë.
Art. 7 – Definizione del modello sociale sub-urbano identificato come Gjitonia:
nell’intervallo storico riferito agli arbëreshë che va dal XV al XX secolo, essi si sono lentamente dissociati dal modello familiare allargato secondo la buona regola dell’integrazione e per questo organizzarsi socialmente a quello più diffuso nel territorio secondo regole urbane e in seguito, in tempi più recenti affidarsi a quello metropolitano e multimediale, con le tappe qui di seguito elencate:
1) la famiglia allargata inizia ad assumere l’assetto più moderno urbano e per questo ha inizio la formazione dei primi isolati manxane, in quanto il gruppo allargato costruisce una casa propria (shpia) per ogni famiglia e la memoria del antico lotto in cui si insediarono, viene ricordata nelle tipiche rotondità dei paramenti murari, che rappresentano anche in progressivo espandesi degli antichi confini rionali, evoluzione attua secondo ragioni climatiche, orografiche e schemi di aggregazione articolati / lineari;
2) lo sviluppo degli agglomerati, tendenzialmente, accoglie le direttive dell’urbanistica greca, di cui sono ancora presenti molte caratteristiche tra le quali spiccano gli accessi delle Kalive e dei Katoj sulle strette vie secondarie, ruhat;
3) Gjitonia da gjiriu, gjitoni (parente) identificata idealmente in uno spazio pulsante o volubile che è racchiuso nell’enunciato:dove vedo e dove sento, che dal XVI secolo all’interno degli ambiti urbani costruiti e non costruiti, diviene il luogo della ricerca dell’antico legame parentale che legava gli arbëreshë ai tempi della loro venuta in Italia;
4) Gjitonia ha origine dal tepore del primo focolare degli esuli, si espande con cerchi concentrici, negli sheshi si estende lungo le ruhat all’interno delle manxane, sino a giungere negli angoli più reconditi dei territori delle macroaree;
5) Gjitonia si avverte, si respira, si assapora, si vede, si tocca, senza mai poter essere tracciata materialmente, caratteristica degli agglomerati Albanofoni perche diversamente dagli indigeni mediterranei si distingue per la caratteristica della stretta parentela originata dall’antico nucleo fi famiglia allargata, incardinate rigidamente nella lingua, religione, consuetudine in grado nello stesso tempo anche di essere gradatamente flessibili per produrre il modello d’integrazione più riuscito del Bacino Mediterraneo.
Art. 8 – Oltre al costruito o elementi di natura materiale ben definita, le disposizioni di tutela trovano applicazione anche negli elementi immateriali dei canti pagani e religiosi o nella rievocazione storica degli appuntamenti di primavera, in quanto, atto dell’integrazione tra indigeni e arbëreshë; sono anche oggetto di tutelare gli avvenimenti e i riti che sono poi l’orologio che scandisce le stagioni, sia per quanto riguarda gli aspetti civili che quelli religiosi, per questo, vanno trascritti avvalendosi di tutte le competenze scientifiche e le tecniche idonee a per verificare storicamente, il giusto valore per poterle riproporre e divulgare in quanto messaggio della memoria.
Art. 9 – La conservazione del patrimonio arbëreshë quindi si applica per ogni macroarea, habitat, manufatto, anfratto o episodio che sia stato luogo dell’antica sonorità linguistica arbëreshë, attraverso i costumi, la consuetudine, la religione e ogni momento della vita sia dentro che fuori le mura delle abitazioni; trama diffusa o contenitori paralleli del modello sociale importato delle terre d’Albania.
Finalità
Art. 10 – La conservazione del patrimonio materiale e immateriale serve a tramandare senza compromettere o modificare il patrimonio, che per questo va inteso e come se è di nostra esclusiva proprietà, ma è delle generazioni future; anche queste ultime in seguito dovranno applicare lo stesso principio.
Art. 11 – La conservazione del patrimonio materiale e immateriale è limitata al solo usufrutto che non va inteso come sintesi del significato, ma coerentemente utilizzarlo, viverlo, e proteggerlo per fornirgli continuità alla caratteristiche consuetudinarie, della lingua e di tutti gli atti depositati nell’ essere arbëreshe; impegnandosi per questo a non alterare o piegare secondo alloctoni procedimenti di sintesi, nulla di quanto ereditato.
Art. 12 – La conservazione e la tutela del patrimonio tangibile e intangibile diventano quindi prioritarie per ogni albanofono e la loro sostenibilità secondo tradizione deve essere sempre prioritaria; saranno inoltre messe al bando qualsiasi nuova costruzione, distruzione e utilizzazione che possa alterare i rapporti volumetrici, materici e della pigmentazione.
Art. 13 – I beni materiali e immateriali non possono essere separati dai luoghi storici nei quali sono stati testimoni, né dall’ambiente in cui si trovano; l’estrapolazione di una parte o di tutto non può essere consentito se non quando la sua difesa lo esiga o quando ciò sia significato da cause di eccezionale interesse di tutta la RsA.
Art. 14 – I prodotti della manifattura è gli oggetti per la loro realizzazione, parte integrante della regione storica e degli ambiti urbani, per questo,non possono essere separati dai contesti se non quando questo sia l’unico modo atto ad assicurare la loro conservazione, previo adeguato rilievo fotografico e grafico dello stato di fatto, che deve comunque essere ricollocata negli stessi ambiti seguendo gli schemi di rilievo.
Art. 15 – La salvaguardi degli ambiti e le eccellenze tipiche degli albanofoni vanno normati e sottoposti a processi rispettosi di protocolli che ne garantiscano l’integrità oggettiva e soggettiva; lo scopo da perseguire è sempre la tutela del messaggio e del valore storico che esso contiene e vuole trasmettere.
Art. 16 – La tutela di ogni cosa deve fermarsi, dove ha inizio l’ipotesi: sul piano della ricostruzione congetturale qualsiasi atto per il completamento, riconosciuto indispensabile per ragioni estetiche, tecniche e consuetudinarie, deve distinguersi dalla progettazione architettonica o storica raccontata, che dovrà recare necessariamente il segno della nostra epoca; il processo di valorizzazione e tutela sarà sempre preceduto e accompagnato da valutazioni storico, archeologico e linguistico arbëreshë, sia esso un monumento, un manufatto, una consuetudine, un rito, un canto e ogni gestualità che abbia coerenza al’integrazione degli albanofoni.
Art. 17 – Quando le tecniche tradizionali si rivelano inadeguate, il conservare che deve proteggere un monumento, manufatto o la stessa consuetudine può utilizzare ogni tipo di espediente moderno o mezzo atto a produrre la corretta conservazione, la cui efficienza sia stata dimostrata scientificamente e sia garantita dall’esperienza o approvata dalle memorie storiche, questi ultimi garantiti dall’essere un portatori sani e non riesumati per la specifica di studio.
Sostenibilità
Art. 18 – Nella conservazione e valorizzazione dei beni materiali e immateriali arbëreshë sono da rispettare tutti i contributi scientifici e storici che ne certifichino l’assetto, rilevando l’epoca di appartenenza, perché l’unità stilistica o di abbellimento non è lo scopo della difesa;
Art. 19 – Nelle opere di restauro o ripristino dell’integrità del manufatto di qualsiasi fattura, si dovrà fare uso di elementi destinati a sostituire le parti mancanti che devono integrarsi armoniosamente nell’insieme, distinguendosi tuttavia dalle parti originali, affinché la metodica di tutela non falsifichi il manufatto o il suo valore della consuetudine, al fine di rispettate, sia l’istanza estetica che quella storica.
Art. 20 – Le aggiunte non possono essere tollerate se sono all’interno delle regole consuetudinarie arbëreshë, tutte le parti devono rispettare la coerenza storica ed estetica e la sua espressione sotto il punto di vista della tradizione, dell’equilibrio e il rapporto con la storia della macroarea.
Art. 21 – Gli elementi devono essere oggetti speciali e caratteristici del luogo, al fine di salvaguardare la loro integrità e assicurare coerenza con la macroarea per l’idonea prosecuzione del messaggio; i lavori di conservazione e di ripristino del senso proprio del manufatto sono eseguiti e devono ispirarsi ai principi enunciati negli articoli precedenti.
Art. 22 – Le scuole di ogni ordine e grado saranno coinvolte con attività di ricerca e sopraluoghi al fine di prendere atto di quanto sia di loro appartenenza e abituarsi a conoscere e un giorno provvedere a tutelare.
Art. 23 – la toponomastica e gli appellativi dei rioni devono essere tutelati e ricollocati con diciture, bilingue certificate, evitando di sostituirle con eventi o personaggi che nulla avrebbero fatto per interrompere quella memoria.
Art. 24 – l’ambiente non costruito rappresenta anch’esso una traccia e quando rappresenta il tracciato storico delle attività agricole, silvicole, pastorali; le fontane e gli abbeveratoi stazioni strategiche della transumanza o i percorsi verso i presidi della trasformazione agricola, devono essere valorizzati con la realizzazione di percorsi pedonali o ciclabili dell’arti e delle attività.
Art. 25 – Lo stesso principio vale per l’estrazione di minerali e i forni della produzione di calce e mattoni o di ogni genere di prodotto lapideo, come cave di pietrame, talco, sale o sabbia.
La Storia
Art. 26 – La storia della minoranza albanofona va riferita secondo le cadenze cronologiche, a partire, dal XV secolo a oggi, senza prevaricazioni e valorizzazioni che vorrebbero esaltare uomini e avvenimenti nei confronti di altri. L’arberia va storicamente tracciata con regole precise in cui si dia l’esatto valore alla letteratura, alla scienza alla religione e alle leggi; la regola vale anche per i periodi, le cose e gli uomini neri d’arberia (fortunatamente in passato molto esigua), tutto quanto per disegnare un quadro definito e senza ombre della storia arbëreshë.
Art. 27 – Sottoporre ad attenta analisi la storia del Collegio Corsini e il peso culturale civile e religioso, in quanto unico presidio della sapienza arbëreshë, direttamente connesso nello scenario europeo, sia nella sede modesta, con solidi principi, di San Benedetto Ullano e poi in quella più ricca e più politicizzata di Sant’Adriano, affidando il giusto peso alle tappe storiche del 1794, 1806, 1811, 1876, sino alla scissione delle sue funzioni con la nascita del Convitto e della Curia di Lungro nel 1919.
Art. 28 – Va in oltre rilevata l’urgenza di stilare un elenco in cui le eccellenze dal punto di vista umano in campo letterale, ecclesiastico, giuridico e della scienza esatta e di tutte quelle discipline che contribuirono alla crescita e l’unificazione del meridione devono rappresentare vanto indistintamente per tutti gli arbëreshë e non valorizzare alcuni a scapito di altri, per questo preferire di manomettere lo stesso svolgimento della storia.
Art. 29 – I Comuni le Associazioni e le Università si impegnano a fornire una chiare e leggibile storia dell’arberia, priva di inutili rammenti che vogliono coprire alcuni aspetti, rispetto ad altri; per questo ogni relatore deve utilizzare tutti gli strumenti e le professionalità per avere piena consapevolezza degli ambiti e delle cose trattate; a tal proposito e opportuno rilevare che l’arberia viene raccontata come chi paragona Cristoforo Colombo, al Comandante Schettino.
I Presidi della Memoria
Art. 30 – La realizzazione di musei esposizioni o eventi devono essere attuati nel pieno rispetto della tradizione con il fine di lasciare messaggi indelebili senza personali interpretazioni quanto esposto o divulgato; il fine comune da perseguire è quello di tracciare un itinerario nelle diverse macroarre che possano riferire in maniera unilaterale gli eventi storici e di quanto abbiano inciso su quel circoscritto territorio la consuetudine le arti e le attività agro, silvicole e pastorali eccellenze per la quale furono accolti i minoritari.
Art. 31 – La vestizione dei costumi va eseguita secondo l’antico rituale rispettando tempi e caratteristiche estetiche, per divulgare la tradizione della vestizione in tutte le sue parti con l’esposizione delle preziosissime vesti; il costume femminile dalla tradizione arbëreshë e un elemento unico, è riferimento storico dalla fine del XVII secolo, per questo va utilizzato nella sua interezza ed esclusivamente in manifestazioni istituzionali o religiose; una versione di sintesi molto più sobria può essere esibita in spettacoli o manifestazione di senso commerciale di massa.
Art.32 – I lavori per la tutela e la conservazione degli elementi materiali e immateriali delle caratteristiche arbëreshë saranno sempre accompagnati da una rigida documentazione, con relazioni analitiche e critiche, illustrate da disegni e fotografie redatte da un comitato scientifico precostituito e composta: da Un Architetto, Uno Storico, Un Antropologo e Natii d’Ambito (con non meno di anni 70, pur se emigrati).
La Difesa dell’Idioma
Art. 33 – La scolarizzazione, avviata gli anni sessanta del secolo scorso dal legislatore affido l’impresa nella RaS alla legge detta degli alloglotti, i valorosi insegnanti si adoperarono per avviare i giovani albanofoni alle regole dettate secondo la scolarizzazione italiana; in conformità a quell’esperienza riuscita, si potrebbe introdurre nei programmi di scolarizzazione, all’interno delle macroaree, l’uso della lingua di riferimento, al fine di tutelare la continuità storica legata all’idioma, anche per rispetto degli antichi riferimenti ereditati e che furono difesi proprio perché si preferì la via dell’esilio, dal paese delle aquile, pur di non sottostare alla dominazione che produsse lo Shqip.
Art. 34 – Per la tutela e la conservazione dell’idioma e degli ambiti costruiti saranno eseguiti studi specifici all’interno della regione storica arbëreshë, estrapolando e riunendo tutte le parlate tipiche delle macroaree; dissociando da ogni cadenza idiomatica Ispanica, Francofona e Brutia; solo a seguito di quest’operazione si potranno confrontare i risultati con quello della terra di origine odierna, è questo un dei processi da condividere per ottenere la ricercatissima Lingua Standard che dovrebbe rappresentare il riferimento storico linguistico della RsA.
Art. 35 – I dati ottenuti dal procedimento su citati per l’integrità dell’idioma, dopo aver avuto la certificazione dal comitato scientifico precostituito così composto: da un Architetto, Uno Storico, Un antropologo, Il Natio d’Ambito (con non meno di 70 anni pur se emigrato) e un numero di Linguisti pari a quello di tutti i componenti la commissione possano finalmente essere dati alle stampe, sottolineando che quanto prodotto non siano il confronto di appassionati che vivono macroaree dissimili.
Art. 36 – Le parlate tipiche saranno raccolte in due distinti volumi: il primo letterario e grammaticale; il secondo della manualità, delle scienze e delle arti, disegnato e schematizzato.
Art. 37 – In conformità a quanto delineato vale anche per le discipline canore, perché in essa è conserva la metrica degli albanofoni, per questo va tutelata e non abbandonata a libere divagazioni moderne; apprenderne i contenuti rappresenta uno dei metodi per la difesa del percorso storico linguistico, in quanto esso non ha nella sua espressione più antica alcun supporto strumentale o di un qualsivoglia apparato musicale, da cui è palese che il canto per gli arbëreshë contiene la metrica della poesia.
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Tale documentazione sarà depositata in pubblici archivi e sarà messa a disposizione degli studiosi.
La sua pubblicazione è vivamente raccomandabile.
Commenti disabilitati su CARTA per la TUTELA della REGIONE STORICA ARBËRESHË
Posted on 01 febbraio 2015 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: CARTA DI VENEZIA; FATALE DISTRAZIONE PER GLI “STATI” ARBËRESHË
Posted on 16 gennaio 2015 by admin
NAPOLI (DI Atanasio Pizzi) – Quello che fa la differenza tra i grandi uomini e gli altri, sta nel fatto che: i primi hanno un progetto di vita, che perseguono non per fini personali ma per il bene della comunità dove svolgono il loro mandato; gli altri si adoperano per rendere difficoltosa la vita e la via del prossimo.
Quando padre Giovanni Capparelli, la mattina del diciotto giugno del millenovecento e quarantaquattro giunse a Santa Sofia d’Epiro, era appena terminata una violenta tempesta e come un segno del destino, il giorno seguente inizio a splendere il sole.
È in questo piccolo paese albanofono, adagiato tra gli anfratti della Presila Greca, che il giovane prelato mise a dimora i semi del suo progetto, affidandoli al teorema, secondo cui il sacro perimetro, ancorato al rito Greco-bizantino delle genti arbëreshë, doveva fungere da collegamento tra le sintonie materiche territoriali dei suoi fruitori e il credo religioso.
La nuova “chiesa per gli arbëreshë” fu sempre la luce che egli, in oltre mezzo secolo di caparbia abnegazione, ha seguito per dare un senso compiuto alla matrice di Santa Sofia d’Epiro; eretta dai devoti in ricordo di Sant’Atanasio il Grande agli inizi del XVIII secolo, restaurata perché cadente nel 1835 e poi trasformata secondo la nuova idea, a partire, dalla meta del XIX secolo, dal giovane prelato.
La struttura voltata della navata, il campanile, la sacrestia, l’altare, il ciborio, il fonte battesimale, i lampadari, i banchi e sin anche la volumetria esterna è il frutto dell’espressione territoriale in cui ogni sofiota si riconosce e avverte il senso più profondo del messaggio religioso.
Ogni cosa che Zoti Xhuan, in comune accordo con i fedeli Sofioti, ha depositato nella sacra fabbrica, è stata sempre e comunque verificata per evitare ogni discutibile interpretazione, divenendo così il luogo di pura condivisione di buona convivenza civile e religiosa.
Ogni tipo di esternazione fuori dalle regole era sfumato attraverso la diretta intercessione di Zoti Xhuan, sin anche le lodi al signore se prendevano una nota troppo alta, erano attenuate e riportate entro i toni più idonei attribuiti al sacro involucro.
Sin dai primi interventi degli anni cinquanta fino alla fine degli anni novanta del secolo scorso, quando l’ultima pennellata di vernice era apposto alle porte della chiesa, è stato, prima vagliato, poi provato e in fine posto in opera senza che nessuno sollevasse neanche un alito per dissentire.
Il suo mandato il giorno della sua morte il 20 gennaio del 2005 si poteva ritenere largamente portato a buon fine, giacché, la chiesa era l’espressione religiosa dei Sofioti e di tutta l’arberia.
Rimaneva da sostituire gli infissi dei varchi finestra allocati tra il cornicione e la volta di copertura, che risalgono all’intervento di adeguamento strutturale degli anni cinquanta.
Questi ultimi innescano ancora oggi, copiose efflorescenze che danneggiano la pellicola pittorica, causa che scaturisce della scarsa tenuta termica dell’antico manufatto di trasparenza.
Dal giorno della compianta dipartita dell’arch. Giovanni Capparelli, non molto è stato fatto con lo spirito dell’antico progetto d’identità locale, anzi in controtendenza degli antichi dettami, i corpi illuminanti dono di un noto artista locale, sono stati sostituiti con violenti, inadatti e discutibili lampadari di manifattura greca(?), nonostante ciò, a deturpare ulteriormente la chiesa, oggi si persegue l’incauto fine di sostituire il fonte battesimale con uno simile a quello di una chiesa del versante arbëreshë del Pollino.
Santa Sofia d’Epiro dal giorno della venuta degli arbëreshë ha rappresentato un modello da imitare e da cui tanti centri di simili costumi hanno tratto beneficio, per questo presupposto è giunto il momento di dire: BASTA MANOMETTERE LA CHIESA E SHËN THANASIT!!!!!!, non è costume dei Sofioti copiare i componimenti altrui, in quanto, le nostre menti sono abbastanza lucide da pensare, progettare e mettere in essere prodotti che sono alla base della nostra tradizione.
La chiesa di Sant’Atanasio è l’espressione di tutti i Sofioti chi la violenta, con l’apposizione di corpi estranei utili solo a turbare le valenze del passato, non sostiene i messaggi religiosi che il manufatto è preposto a trasmettere.
La comunità si deve opporre a questo scempio per non compromettere i canoni della propria identità stravolti da alloctone interpretazioni; anche se gli esecutori, di ciò, dovrebbero pensare in maniera religiosa al mandato di mantenere e difendere l’integrità della fede, non imporre sottoforma di sterile operosità, “MODELLI ORTODOSSI”.
Oi Zò: Shën Sofia nëgh thë hàroj
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Posted on 02 dicembre 2014 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – La cultura rappresenta la punta più alta, la massima espressione prodotta della civiltà umana in campo artistico, scientifico e letterario.
Essa in campo antropologico si configura nel passaggio o trasferimento di esperienze, capacita e abilità, alle generazioni successive, senza sottovalutare la memoria collettiva che prevede il passaggio di pensieri esperienze, emozioni e linguaggio in una dimensione riconosciuta da un gruppo sociale unito; gjitonia riconducibile alla regione storica.
Purtroppo negli ambiti di Regione storica, accade un fatto singolare e a dir poco paradossale, molte persone si dedicano senza avere alcuna cognizione della storia che vide protagonisti gli uomini arbëreshë e la loro discendenza, volendo essere magnanimi la confondono con altro; un valore di cultura utilizzato con modalità restrittive, quasi esclusive, tendono a immaginare che esista una cultura di tipo più elevato, quella umanistica, che la contrappongono a una cultura minore, quella scientifica, tutto ciò è veramente ridicolo, perché la contrapposizione tra le “due culture” non è solo dolorosa e dannosa, ma è anche noiosa.
La scienza deve uscire dalla sindrome di cenerentola, in quanto, la mancanza di cultura scientifica è la vera piaga, della regione storica, bisogna lavorare affinché le scienze diventino cultura di massa così come aveva iniziato a fare Luigi Giura da Maschito nel XIX secolo.
È opportuni riavviare quel processo, che è stato dismesso da troppo tempo, promuovere, migliorare e diffondere la scienza, garantirà la conoscenza nel mondo di tutti gli aspetti culturali non solo umanistici ma scientifici e dell’arte in senso generale per tutta la regione storica che ad oggi per questo pochi conoscono.
Immaginare la regione storica fatta di soli prelati, linguisti, giuristi, letterati e cantanti è una deficienza storica senza eguali, tutti coloro che promuovono e valorizzano questo aspetto rendono orfani tutti i minoritari; prima o poi dovranno rispondere in maniera verosimile e con senso compiuto alla domanda: perché l’unicum di eccellenze umanistiche e scientifiche culturale è stata per così lungo tempo negata alla Regione Storica?
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Posted on 22 novembre 2014 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: I MURI PARLANO E GLI ARBËRESHE LI SOTTOVALUTANO (Stësurat fiallen e arberet nëngh i gjègjen)
Posted on 23 ottobre 2014 by admin
(Associazione Cavallerizzo Vive – Kajverici Rron) – Il 7 marzo 2005 si verifica un movimento franoso che coinvolse 30 abitazioni su circa 270 ed un tratto di strada provinciale di importanza cruciale per i collegamenti fra i paesi vicini (circa una decina)La frana del 7 marzo 2005 era conosciuta da anni addietro
L’11 marzo 2005, con D.P.C.M. pubblicato sulla G.U. n° 67 del 22 marzo 2005, viene dichiarato lo stato di emergenza fino al 31 gennaio 2006, poi prorogato con successivi decreti fino al 2012.
Nel marzo 2005 entra in carica il nuovo Sindaco di Cerzeto dott. Ermenegildo Mauro Lata
Il 29 aprile 2005, con D.P.C.M, n. 3427, tra le altre cose dispone che vengano effettuati studi su varie aree del Comune di Cerzeto.
Da fine giugno a metà luglio del 2005 vengono effettuati carotaggi nella frazione Cavallerizzo.
Il 7 luglio 2005, presso la sede della Giunta Regionale della Calabria, viene esposto l’esito degli studi relativi ai carotaggi (tra l’altro ancora in corso) e le possibilità di intervento per il ritorno alle ordinarie condizioni di vita della popolazione. Le soluzioni illustrate sono le seguenti:
1a soluzione
a) Mitigazione della pericolosità idrogeologica mediante:
– controllo del livello della falda;
– sistemazione e consolidamento dei versanti in frana o soggette a fenomeni gravitativi.
b) Recupero del danno abitativo ed infrastrutturale ed adeguamento sismico.
2a soluzione
a) Delocalizzazione totale della popolazione in una zona esente da rischi idrogeologici ed idonea dal punto di vista sia geologico-tecnico che socio-culturale;
b) Realizzazione di nuovi edifici conformi alla nuova normativa sismica.
Il Dipartimento della Protezione Civile Nazionale sceglie la seconda soluzione, ossia quella di delocalizzare integralmente il centro abitato in località Pianette in quanto “La delocalizzazione si presenta come l’intervento più efficace poiché”, secondo gli studiosi del Dipartimento, “gli interventi di mitigazione e recupero sembrano presentare costi rilevanti e certamente comparabili con quelli attribuibili alla delocalizzazione, nonché la popolazione resterebbe esposta ad un livello di pericolosità complessiva tale da necessitare di un adeguato sistema di allertamento e della conseguente pianificazione d’emergenza”. Tutto questo senza tenere in considerazione gli altri costi sociali, di disadattamento, dei legami familiari, del processo di disgregazione della comunita’, del distacco delle famiglie (specie le persone piu’ anziane) dalle proprie abitazioni rimaste integre e perfettamente abitabili e dal proprio paese.
La soluzione adottata dalla Protezione Civile non è arrivata dopo un coinvolgimento della popolazione. E’ stata imposta la delocalizzazione senza tener conto minimamente della possibilità di recupero dell’antico borgo.
Gli studi geologici vengono mostrati ufficialmente alla popolazione dopo 4 anni e mezzo dall’evento franoso (vedi successivamente indicazioni al 1° ottobre 2009). Da questi studi, sottoposti ad esperti geologi, si evince che per supportare la delocalizzazione son stati utilizzati studi relativi a campagna geognostica in loco effettuata negli anni novanta. Altri studi satellitari sono stati utilizzati come prova incofutabile di un paese ad alto rischio da frane e sismiche con movimenti consistenti all’anno. Siamo arrivati alla meta’ del 2014 e nessun movimento grave ha interessato il centro storico di Cavallerizzo, oggi abbandonato da tutte le Autorita’ preposte alla salvaguardia e alla tutela.
Il 21 ottobre 2005 viene emanata l’ordinanza n° 3472 (arreca una serie impressionante di deroghe ala legge sui lavori pubblici che ha consentito verosimilmente di dare i lavori senza gara di appalto), pubblicata sulla G.U. n° 255 del 2 novembre 2005, che stabilisce ufficialmente di delocalizzare la frazione di Cavallerizzo e di ricostruirla interamente nel suddetto sito di Pianette. Contestualmente viene presentata, presso la sede della Giunta Regionale a Catanzaro, una bozza del progetto preliminare
Nel 2005 viene chiesto un finanziamento di Euro 10.500.000,00 con oggetto: MESSA IN SICUREZZA, CONSOLIDAMENTO E RIQUALIFICAZIONE DI PARTI DELLA FRAZIONE DI CAVALLERIZZO, DELLA RETE STRADALE E DEI SOTTOSERVIZI DANNEGGIATI (STATO DI CALAMITA’ NAT. MARZO 2005).
Il 1° marzo 2006, con Decreto PCM del 30/01/2006, ripartizione quota dell’otto per mille per l’anno 2005 viene erogato un finanziamento di Euro 2.500.000,00 (2 milioni e cinquecento mila euro). Da come si evince dallo stesso Decreto cambia del tutto l’oggetto di destinazione dei fondi: “Comune di Cerzeto (Cosenza) – Programma di messa in sicurezza della popolazione di Cerzeto”. In pratica tale finanziamento richiesto per un fine preciso per la bonifica dell’area in frana sulla parte sud di Cavallerizzo viene riversato sulla costruzione del nuovo agglomerato urbano di Pianette, come si evince alla data di seguito del 2 maggio 2006. Bisognerebbe verificare altri, presunti, finanziamenti a suo tempo promessi dalla Provincia di Cosenza e dalla Regione Calabria, se sono stati erogati e per quale fine invece di intervenire sul corpo frana. Ancora oggi non e’ stato speso nemmeno un centesimo sulla parte sud del paese nonostante questa situazione rappresenta anche un pericolo per l’incolumità’ pubblica e privata delle tante persone che utilizzano i terreni all’interno del corpo di frana, le strade che costeggiano tutta la parte disastrata ed il cimitero adiacente.
Il 1° marzo 2006, viene svolta la Conferenza dei servizi che approva il progetto preliminare.
Il 4 aprile 2006, con procedure mai rese pubbliche, vengono aggiudicati i lavori di realizzazione del nuovo paese in località Pianette, ad una ATI (Associazione Temporanea di Imprese) che ha come capogruppo la ditta Zinzi S.r.L. di Catanzaro (appalto integrato –L’ATI si aggiudica oltre che l’esecuzione dei lavori, anche le successive due fasi progettuali previste dalla legge sui lavori pubblici. Quella definitiva e quella esecutiva).
Il 2 maggio 2006, con ordinanza n° 3520, viene stabilito che le risorse assegnate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 gennaio 2006, concernenti la ripartizione della quota dell’otto per mille per l’anno 2005 pari a euro 2.500.000,00 (2 milioni e cinquecento mila euro), finalizzate all’attuazione del programma di messa in sicurezza della popolazione di Cerzeto, siano trasferite al commissario delegato nominato per fronteggiare l’emergenza verificatasi in conseguenza degli eventi franosi. In pratica Bertolaso & Company hanno fatto quello che hanno voluto invece di bonificare la zona sud di Cavallerizzo e magari ripristinare il tracciato stradale provinciale tuttora interrotto e sul quale nessuno e’ mai piu’ intervenuto.
Il 16 maggio 2006, viene firmato il contratto dalla ditta Zinzi.
Con ordinanza 28 luglio 2006, n. 3536, del Presidente del Consiglio dei Ministri arrecante disposizioni urgenti di protezione civile. Al fine di consentire il proseguimento degli interventi straordinari ed urgenti previsti nel piano di delocalizzazione e di ricostruzione dell’abitato della frazione di Cavallerizzo nel comune di Cerzeto (Cosenza) di cui all’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 ottobre 2005 n. 3472 e successive modifiche ed integrazioni, è autorizzata la spesa di 36.700.000,00 milioni di euro.
Nella prima settimana di settembre 2006 nonostante non ci sia stata nessuna posa della prima pietra iniziano i lavori di sbancamento del terreno.
Il 21 novembre 2006 viene esposta da parte dei progettisti, presso il Comune di Cerzeto, una bozza del progetto definitivo del nuovo centro abitato da realizzare nella località Pianette (sempre del Comune di Cerzeto).
28 luglio 2007 nasce l’associazione Cavallerizzo Vive – Kajverici Rron formata da residenti e non dell’antico paese che lo vogliono preservare.
31 luglio 2007 viene approvato il progetto definitivo da parte della Conferenza di Servizi, riunitasi presso la sede del soggetto attuatore (la prefettura di Cosenza).
10 ottobre 2007 viene posata la prima pietra con la cerimonia ufficiale. Vengono indicati 900 giorni per la consegna delle abitazioni.
Fine di ottobre 2007 l’associazione Cavallerizzo Vive con un’istanza di accesso atti, richiede tutta la documentazione relativa alla vicenda abbandono e ricostruzione. Dopo diverse vicissitudini, a distanza di 5 mesi, si ottengono dall’Ufficio tecnico del Comune di Cerzeto, 6 documenti su 27 richiesti (non ancora gli studi geologici prodotti per la delocalizzazione).
7 marzo 2008 viene inaugurata la zona industriale da parte del Commissario delegato Guido Bertolaso, costruita nella località Colombra (a valle di Pianette). Consegnata agli “artigiani” in parte a maggio del 2010 ma ad oggi a noi non risulta attiva.
26 maggio 2008 viene presentato un ricorso (dall’Associazione scrivente “Cavallerizzo Vive-Kajverici Rron”) al TAR Calabria, poi successivamente trasferito al TAR Lazio (04/07/2008), con oggetto “approvazione del progetto definitivo di ricostruzione di Cavallerizzo”.
29 dicembre 2008 l’associazione scrivente presenta un reclamo al Garante per la Privacy per la pubblicazione sul sito web del “Comitato Cittadino per Cavallerizzo (per la delocalizzazione e l’abbandono di Cavallerizzo)” della stessa copia integrale del ricorso (vedi punto precedente) notificato al Comune di Cerzeto. A maggio del 2009 il Garante per la Privacy notifica al “Comitato Cittadino per Cavallerizzo” una lettera nella quale chiede informazioni per la violazione commessa e impone la rimozione immediata del ricorso pubblicato nel loro sito web. E’ importante ripetere che la copia del ricorso pubblicata era quella che e’ stata notificata legalmente al Comune di Cerzeto. Si capisce bene che qualcuno (qualcuno che ci lavorava) l’ha sottratta all’ufficio comunale e ne ha fornito una copia agli autori della pubblicazione come sopra descritto.
In data 16 aprile 2009 con prot. n° 2337/P e in data 6 luglio u.s. con prot. n° 1373/P La “Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per la Calabria”, invia due lettere al Comune di Cerzeto e ad altri soggetti interessati alla “tutela storica, etnoantropologica e paesaggistica” affinché si intervenga celermente sul recupero dell’intero centro storico di Cavallerizzo perché ritenuto un complesso urbanistico-architettonico di eccezionale valore sia per la memoria storica, sia per l’aspetto morfologico e sia per la compattezza edilizia che esso rappresenta (Soprintendente ad interim Arch. Stefano Gizzi).
Nel mese di Giugno 2009 il dott. Ermenegildo Mauro Lata si dimette da Sindaco del Comune di Cerzeto.
Durante l’assenza del Sindaco vengono nominati, prima il Commissari Prefettizio dott.ssa Francesca Pezone e, successivamente, il Prefetto Vicario dott.ssa Paola Galeone proprio per la situazione delicata presente in Comune.
Il 1° ottobre 2009 ci vengono consegnate (all’Associazione scrivente “Cavallerizzo Vive-Kajverici Rron”), nel Comune di Cerzeto, le relazioni ufficiali che hanno decretato l’abbandono dell’antico paese e della conseguente delocalizzazione. In pratica gli studi geologici vengono mostrati ufficialmente alla popolazione dopo 4 anni e mezzo dall’evento franoso.
La Protezione Civile era molto determinata a ribadire, anche con una certa arroganza, che le sue perizie erano assolutamente indiscutibili, ma era, se possibile, ancora più determinata a non farle vedere a nessuno. Dopo la sospirata acquisizione abbiamo scoperto che tali perizie non sono poi così inconfutabili. Ci siamo rivolti ad un esperto Geologo prof. Fabio Ietto dell’Università degli Studi della Calabria e, lo stesso, ha riscontrato delle incredibili novità. Le più importanti sono che l’area scelta per la delocalizzazione è pericolosa ancor più che l’antico Cavallerizzo e che quest’ultimo, con i dovuti accorgimenti, era recuperabile, spendendo anche molto meno di ciò che è stato finora speso.
Il 3 marzo 2010 il Tar del Lazio (per motivi che riguardano l’eccessivo ricorso ai poteri straordinari di deroga) annulla il verbale della conferenza dei servizi che aveva approvato il progetto definitivo della new town. Viene, nella stessa sentenza del Tar Lazio, denunciata la mancanza della Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA). I lavori nella nuova frazione si sarebbero dovuti fermare, ma con molta arroganza le Autorità coinvolte fanno proseguire la ricostruizione.
Nel mese di Marzo 2010 entra in carica il neo Sindaco arch. Giuseppe Rizzo (la nuova amministrazione è composta anche da persone che hanno sostenuto e avvantaggiato l’iter di delocalizzazione e di abbandono di Cavallerizzo, imposto dai vertici della Protezione Civile Nazionale e gli effetti contro coloro che non accettano tale scelta, in primis contro la nostra Associazione, si leggeranno di seguito).
Dopo qualche settimana dalla sentenza del Tar Lazio del 3 marzo 2010, la Protezione Civile Nazionale, la Prefettura di Cosenza (in qualità di Soggetto Attuatore) e successivamente anche il Comune di Cerzeto, fanno appello alla stessa sentenza.
Il Comune di Cerzeto (guidato dalla amministrazione del Sindaco Giuseppe Rizzo e da alcuni componenti del Comitato pro delocalizzazione), il 23 aprile 2010, impedisce per la prima volta, dopo secoli di storia e di tradizione religiosa, la celebrazione della Messa in onore al Santo Protettore di Cavallerizzo San Giorgio Martire.
Il 25 maggio 2010 il Consiglio di Stato, accoglie l’istanza di sospensiva proposta dai soggetti qui sopra indicati e sospende l’efficacia della sentenza del 3 marzo 2010, rimandando, a data ancora da destinare, la decisione finale in udienza di merito.
Il 14 maggio 2010 il quotidiano nazionale “IL GIORNALE” pubblica l’articolo “Dai ministeri alla Finanza tutti facevano a gara per dar lavoro ad Anemone – Ecco l’ultima parte dell’elenco con 248 nomi, in chiaro o in codice, di quanti si sono affidati al costruttore arrestato per l’inchiesta sul G8”
Dall’inchiesta su Anemone & Company viene fuori che quest’ultimo ha manovrato anche il mega cantiere della New Town di Cerzeto attraverso il Consorzio Stabile Centritalia Scpa.
Anche “La Repubblica” ed il Fatto Quotidiano” e diversi giornali locali riprendono il fatto clamoroso: “Anemone anche nella Nuova Cavallerizzo di Cerzeto”.
Nei mesi di Giugno, Luglio, Agosto e Settembre 2010 il Comune di Cerzeto e la Prefettura di Cosenza, impediscono all’Assoc. “Cavallerizzo Vive – Kajverici Rron”, lo svolgimento delle usuali giornate ecologiche volte per preservare l’antico centro storico dall’abbandono.
Il 16 settembre 2010 ritorna, solamente nella New Town, Guido Bertolaso. Solite promesse e soliti convincimenti. Lo stesso giorno viene anche premiato con una medaglia dal “Comitato Pro delocalizzazione”. Come se tutto fosse andato alla perfezione.
Il 1 agosto 2011 l’Associazione “Cavallerizzo Vive – Kajverici Rron” deposita un esposto alla procura della Repubblica di Cosenza, denunciando tutti gli abusi attuati dagli Enti e persone coinvolte nella delocalizzazione di Cavallerizzo.
Il 22 gennaio 2011 scocca lo “zero” sul count-down apposto al cancello della new town di Cerzeto. Nessuno si fa vivo perché vi sono ancora molti altri lavori da terminare: sono stati completati solo due quartieri su cinque, mancano diverse opere di urbanizzazione, collaudi e il passaggio di proprietà dal Soggetto Attuatore al Comune di Cerzeto. La new town, dal punto di vista architettonico si presenta gia’ brutta e fredda.
Il 28 gennaio 2011 con apposita O.P.C.M. viene prorogato per la sesta volta lo stato di emergenza nel territorio del Comune di Cerzeto, fino al 30 giugno 2011 (data in cui si dovrebbero completare tutti i lavori).
Il 5 febbraio 2011 il Comune di Cerzeto in presenza del Soggetto Attuatore Prefetto di Cosenza dott. Cannizzaro, consegna ad alcune famiglie, solo simbolicamente, alcuni alloggi dei due quartieri completati. Il proprietario del nuovo alloggio firma il contratto (controparte è lo stesso Comune) preliminare di permuta (cessione della vecchia casa dell’antico Cavallerizzo in cambio della nuova abitazione nella new town) da formalizzare con atto definitivo entro un anno. E’ un consegna farsa in quanto i nuovi alloggi pre-consegnati non hanno ancora il certificato di agibilità (mancano i collaudi tecnico-amministrativi) e ne dovrebbe essere vietata sia la possibilità di effettuare modifiche sia di abitarvi. Nel contratto, però, viene data la possibilità di fare modifiche anche sostanziali e non viene vietata l’effettiva permanenza. L’Associazione scrivente segnala il tutto alla Procura della Repubblica di Cosenza.
Successivamente (lo vedremo nei prossimi punti) il Sindaco si trova costretto a fare una nuova ordinanza dove impedisce qualsiasi modifica.
Il 25 febbraio 2011, in visita ufficiale, il nuovo capo della Protezione Civile Naz. Franco Gabrielli viene prima nell’antico Cavallerizzo e poi va nella New Town. E’ la prima volta che un Capo della Protezione Civile mette piede nell’antico borgo di Cavallerizzo. Bertolaso, Rinaldi, Fiori non ci sono mai stati di persona. Noi dell’Associazione Cavallerizzo Vive – Kajverici Rron, abbiamo espresso la nostre opinioni e le nostre volontà, ma niente è stato tenuto in considerzaione. Nella new town, lo stesso Gabrielli inaugura la consegna di alcuni alloggi sempre dei due quartieri terminati.
Il 24 marzo 2011 il Comune di Cerzeto emette una nuova ordinanza dove vieta la possibilità di effettuare modifiche sostanziali negli alloggi pre-consegnati. Tutto questo ha dell’incredibile perché il Comune di Cerzeto nonostante non sia ancora proprietario degli immobili costruiti nella new town figura come controparte nel contratto preliminare di permuta. Oltretutto, nello stesso contratto, indica la possibilità di fare modifiche negli alloggi e così fa la gente. Successivamente i Carabinieri, forse anche su indicazione dei responsabili di cantiere, chiedono lumi su questa strana vicenda delle modifiche. In effetti se non vi sono i collaudi tecnico-amministrativi, il proprietario che ha firmato il contratto preliminare, non è proprietario a pieno titolo dell’immobile. Oltre tutto a non poter fare nessuna modifica nel nuovo alloggio non può assolutamente abitarvi, cosa che alcuni però stanno già facendo.
Sul fatto che molti hanno già fatto diverse modifiche il Comune è stato costretto ad emettere l’ordinanza di cui sopra.
La frazione di Cavallerizzo è oggi completamente abbandonata ed i proprietari delle abitazioni rimaste intatte possono accedervi ogni lunedì, mercoledì e venerdì, previo permesso del Comune di Cerzeto (salvo in caso di pioggia).
Si precisa che gli edifici che non sono stati interessati dalla frana risultano circa l’85 % del totale, alcuni di importanza storica per il territorio.
La frana del 7 marzo 2005 ha coinvolto e distrutto per un tratto di circa 400 m la strada provinciale che attraversa il nostro paese sulla parte di nuova costruzione a sud. Questo evento ha di fatto tagliato i collegamenti con l’importante centro abitato di San Marco Argentano, creando innumerevoli disagi a tutti i paesi del circondario posizionati a sud ed a nord della frazione Cavallerizzo (una decina di Comuni). Oggi, questo tratto di strada non è ancora stato ripristinato. I tracciati alternativi non sono adeguati dal punto di vista della sicurezza stradale ed inoltre allungano di molto i tempi di percorrenza.
La delocalizzazione è stata una soluzione imposta presa senza le dovute ponderazioni. Un abbandono dell’antico centro abitato che trae origine da opportunismi e da una serie sconvolgente di dichiarazioni allarmistiche tendenti a convincere la popolazione della veridicità di presunti studi ed indagini geologiche effettuati a Cavallerizzo. Gli studi che abbiamo ottenuto (4 anni e mezzo dopo l’evento franoso) sono stati smentiti su carta da due illustri Geologi prof.ri Fabio e Antonino IETTO – UNICAL ed altri nomi di importanza regionale e nazionale che ribadiscono la frettolosa ed inappropriata scelta della delocalizzazione dell’intera frazione di Cavallerizzo. La relazione dei geologi sopra citati denuncia un rischio da instabilità idrogeologica molto elevata del sito scelto per la delocalizzazione (località Pianette sempre nel Comune di Cerzeto). Nello stesso tempo le relazioni indicano che anche tutti quei paesi che si trovano sulla faglia “San Fili a San Marco Argentano” presentano forti problemi di dissesto idrogeologico, molti, anche più gravi di Cavallerizzo, ma rimangono abitati come sempre.
Alla “cricca” interessava, su tutti gli altri, l’aspetto della ricostruzione e ovviamente i finanziamenti che sono arrivati ufficialmente, sino a fine lavori a 72 milioni di euro!
Nel nuovo agglomerato urbano di Pianette, nonostante siano stati inseriti nelle varie fasi progettuali, non sono state costruite la Chiesa e la Scuola.
Il 14 febbraio 2012 presso la sede del Consiglio di Stato si discute l’udienza finale in merito al ricorso presentato dall’ Associazione scrivente.
Il 21 novembre 2013 l’Associazione “Cavallerizzo Vive – Kajverici Rron” presenta un esposto alla procura della Corte dei Conti di Catanzaro, denunciando tutti gli abusi attuati dagli Enti e persone coinvolte nella delocalizzazione di Cavallerizzo per frode allo stato e danno all’erario. Tale esposto per non si sa quale motivo, non e’ stato mai protocollato.
L’11 dicembre 2013 il Consiglio di Stato emette una elaborata sentenza ed accoglie, in parte, il ricorso cosi esprimendosi: “la successiva scelta di delocalizzare Cavallerizzo . . . non può farsi rientrare tra quelle di carattere emergenziale”, manca la Valutazione di Impatto Ambientale e annulla per effetto il verbale della conferenza dei servizi che aveva approvato il progetto definitivo della new town di Pianette. Il nuovo agglomerato urbano e’ abusivo e sono nulli tutti i titoli di proprieta’ o i negozi di affitto e vendita.
Il 24 gennaio 2014 l’Associazione “Cavallerizzo Vive – Kajverici Rron”, data l’inerzia delle amministrazioni, presenta, dinnanzi al Tar del Lazio, un ricorso per l’ottemperanza della sentenza emessa dal Consiglio di Stato nel dicembre 2013.
Il 7 febbraio 2014 l’Associazione scrivente presenta lo stesso esposto del 21 novembre 2013 alla Guardia di Finanza di Cosenza (Polizia Tributaria) con le stesse motivazioni.
Le indagini sono tuttora in corso: Danno all’erario, spreco di denaro pubblico, gestione degli appalti, abusivismo edilizio.
Il 14 marzo 2014 il Comune di Cerzeto (CS) presenta un ricorso per la revocazione o annullamento della sentenza del Consiglio di Stato emessa a dicembre 2013 chiedendo anche la sospensiva di modo che si potessero allungare i tempi in merito alla discussione del ricorso d’ottemperanza.
Il 15 aprile 2014 si tiene al Consiglio di Stato la discussione della sospensiva chiesta dal Comune di Cerzeto (CS) per il ricorso di revocazione o annullamento della sentenza emessa dallo stesso Consiglio di Stato. In tale udienza, come vedremo alla data del 15 maggio 2014 (data di pubblicazione della sentenza in questione), il Collegio giudicante discute definitivamente il ricorso in questione.
Il 23 aprile 2014 dato il ricorso di revocazione di cui sopra, in attesa della pubblicazione della sentenza, il Tar del Lazio rimanda l’udienza (all’11 giugno 2014) per la discussione dell’ottemperanza della sentenza emessa dal Consiglio di Stato.
23 aprile 2014 Giorno della Festa del Santo Patrono di Cavallerizzo San Giorgio Martire. Sia l’amministrazione comunale di Cerzeto e sia la Sede Vescovile di San Marco Argentano vietano la possibilità di celebrare la secolare festa religiosa nell’antico paese. E’ evidente la volonta’ da parte delle Istituzioni di cercare di annientare del tutto la storia e cultura del piccolo borgo arbereshe. Qualsiasi attivita’ volta alla tutela ambientale e culturale e religiosa nell’abitato di Cavallerizzo, autorizzata o supportata da una istituzione o autorita’ puo’ essere intesa come l’essere d’accordo con l’Associazione Cavallerizzo Vive e quindi con il recupero del paese ad oggi abbandonato.
Duarante i mesi di aprile, maggio, giugno e luglio in nuovo Rettore della Rettoria di San Giorgio Martire in Cavallerizzo, con l’autorizzazione vescovile, inizia a trasferire tutti i beni della secolare Chiesa verso il nuovo quartiere popolare di Pianette, dove attualmente pende la sentenza del Consiglio di Stato del dicembre 2013 che afferma l’abusivita’ dell’intera area urbana.
Il 15 maggio 2014 il Consiglio di Stato, definitivamente pronunciandosi, notifica alle parti in giudizio la sentenza con la quale dichiara inammissibile il ricorso presentato dal Comune di Cerzeto per l’annullamento della sentenza emessa dallo Consiglio di Stato (si ricorda che la sentenza era risale all’11 dicembre 2013 e nella stessa, il nuovo agglomerato urbano, fu dichiaro abusivo). Lo stesso Consiglio di Stato il 15 maggio 2014 condanno’ il Comune di Cerzeto a rifondere le spese legali sostenute dall’Associazione “Cavallerizzo Vive – Kajverici Rron”.
L’11 giugno 2014 si tiene al Tar del Lazio l’udienza per la discussione del ricorso per l’ottemperanza della sentenza emessa dal Consiglio di Stato.
Il 2 luglio 2014 il Tar del Lazio emette la sentenza l’Associazione “Cavallerizzo Vive – Kajverici Rron”. Il Tar Lazio ha accolto il ricorso dell’associazione scrivente ed ha accertato la colpevole inerzia delle Amministrazioni, condannando le Amministrazioni medesime a riavviare il procedimento abilitativo del nuovo abitato entro trenta giorni, previa acquisizione della valutazione di impatto ambientale. Ove ciò non avvenga verrà nominato un commissario ad acta che avra’ altri trenta giorni a disposizione per convocare una nuova conferenza di servizi. Il TAR Lazio ha condannato, ancora una volta le Amministrazione a rifondere le spese legali ai ricorrenti.
L’8 settembre 2014 Presso il dipartimento della Protezione Civile Nazionale si e’ tenuta la prima seduta della conferenza di servizi volta all’approvazione postuma della Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) e di seguito all’approvazione del verbale approvante il progetto definitivo della new town di Cerzeto, (quest’ultimo definitivamente annullato dal Consiglio di Stato con sentenza dell’11 dicembre 2013 – n. 02834/2010 Reg. Ric.).
Nella stessa riunione, il Presidente da seguito a quanto indicato dalla Sentenza del Tar Lazio del 2 luglio 2014 e chiede alla Regione Calabria di esprimersi in merito all’assoggettabilità alla V.I.A. (Valutazione di Impatto Ambientale) del nuovo agglomerato urbano di Pianette di Cerzeto, tuttora marchiato come abusivo. Si attende l’esito della Regione Calabria.
Nella prima settimana di Ottobre 2014 il Sindaco di San Marco Argentano, Virginia Mariotti, ha convocato diversi amministratori nella sala consiliare del suo municipio per riaccendere i riflettori sull’argomento del ripristino della strada provinciale di Cavallerizzo, interrotta a seguito della frana del 2005. Dal documento prodotto, si evince la “forte preoccupazione per la diminuzione dei residenti nei propri centri abitati”. Gli stessi studenti, che frequentano le scuole di San Marco (distante solo pochi km) hanno difficoltà a raggiungere la cittadina normanna a causa della viabilità. Ma le ripercussioni, emerge dal documento, sono anche economiche e culturali. «I cittadini dei borghi -è scritto- che un tempo si ritrovavano per mercati, fiere, ecc., sono sempre più isolati e rischiano di perdere la loro identità». E nell’evidenziare le “notevoli difficoltà quotidiane per gli spostamenti”, gli amministratori evidenziano le necessità della strada anche sotto il profilo sanitario, visto che il presidio ospedaliero di San Marco resto un importante punto di riferimento. Alla luce di questi fatti, quindi, la concordata sinergia per “liberare le proprie comunità dall’isolamento”. A questo seguiranno nuovi incontri per sensibilizzare le altre istituzioni a muoversi al fine di risolvere l’annoso problema della viabilità.
La Storia Continua
Commenti disabilitati su CAVALLERIZZO: CRONISTORIA DEGLI AVVENIMENTI
Posted on 11 settembre 2014 by admin
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Posted on 03 agosto 2014 by admin
Napoli (di Atanasio Pizzi) – L’abitato di Cavallerizzo è una frazione del comune di Cerzeto, esso fa parte dei centri arbëreshë della provincia cosentina (Calabria Italia Meridionale) ubicato tra le colline del Monte Mula che un tempo fungeva da spalla occidentale alla lingua di mare che copriva i territori calabresi sino a Pian del Lago. Il suo nome deriva da un cavallerizzo dei principi Sanseverino noto come San Giorgio di San Marco. I territori sui quali si ubica l’abitato Arbëreshë, sono menzionati già dal 1065, con la loro donazione all’Abazia di La Matina. Nel 1462 il territorio rientrava tra quelli acquistati da Luca Sanseverino primo Principe di Bisignano. Quest’ultimo si attivò personalmente e mise in atto nella provincia citeriore, fiorenti attività agricole, silvicole e pastorali, tali da far acquisire ai suoi possedimenti l’appellativo di granaio regio. La macchina produttiva e il suo indotto ben presto subirono, purtroppo, gli effetti della carestia, della peste e dei terremoti che ebbero come scenari la Calabria e tutto il meridione. I successori di Luca, rispettivamente: Girolamo, Bernardino e Pietro Antonio per cercare di dare linfa economica ai loro territori, accolsero nuove e operose genti di origine albanese. I quali, dopo un iniziale ”nomadismo”durato fino alla metà del XVI secolo, s’insediarono definitivamente in casali disabitati, nei pressi di chiese o conventi. La successiva stipula dei rispettivi atti di sottomissione, tra gli esuli e le autorità locali, rappresenta un punto di svolta fondamentale, in quanto sancisce il diritto di edificare manufatti in muratura oltre ad avere i privilegi di trasferire alle discendenze quanto a loro disposizione. I piccoli insediamenti urbani che si consolidano a seguito delle dette capitolazioni sono allocati prevalentemente a ridosso degli assi di comunicazione secondaria o lungo i confini territoriali delle diocesi, accumunati dalla giusta distanza dalle zone fluviali e costiere, per l’imperversare delle famigerate, anofele. Ebbero così inizio quelli che oggi si riconoscono come agglomerati urbani diffusi arbëreshë, contenitori fisici di costumi, consuetudini, lingua e religione, tramandati oralmente grazie al modello di famiglia allargata, secondo quanto disposto nel Kanun. I quartieri di Cavallerizzo, Katundì, Moticèlleth, Sheshi, Brègù e Nxertath, rappresentano il percorso evolutivo che l’abitato ha seguito per restituirci l’attuale assetto planimetrico. Il processo di trasformazione dell’ambiente naturale in quello costruito è avvenuto secondo i parametri morfologici, floristici, orografici e climatici; fondamentali per gli esuli, giacché simili a quelli della terra d’origine. È in queste macro aree che le costanti dei sistemi urbani: il recinto, la casa e il giardino, hanno trovato i parallelismi d’ambito ideale per consentire agli albanofoni proporre agli antichi assetti urbani; il recinto delimita il territorio, ove la famiglia allargata aveva il controllo assoluto; la casa, anch’essa circoscritta dal cortile consisteva in un unico ambiente in cui conservare le poche suppellettili e alimenti; il giardino è luogo della prima spogliatura, dimora dell’orto stagionale. Nel periodo che va dal XV al XX secolo, gli esuli lentamente hanno riposto il modello familiare allargato per quello urbano e poi, in tempi più recenti vive quello metropolitano o della multimedialità. Quando la famiglia allargata inizia ad assumere la connotazione urbana, da avvio alla composizione dei primi isolati (manxane), secondo aggregazioni modulari di tipo articolato e lineare. Lo sviluppo degli agglomerati tendenzialmente accoglie le direttive dell’urbanistica greca che allocava gli accessi degli abituri sulle strette vie secondarie, Ruhat. Il centro non è costituito da un unico punto-luogo simbolico; la centralità si frantuma in più simboli e luoghi: il centro e la centralità religiosa si dissociano il che da avvio alla policentrica tipica degli agglomerati. La gjitonia, (dove vedo e dove sento), racchiude e racconta ciò; essa dal XVI secolo resiste agli assalti della modernità diventando il luogo della ricerca dell’antico legame, fattore indispensabile della consuetudine arbëreshë ancora viva in questi ambiti. La gjitonia ha origine dal tepore del focolare, si espande con cerchi concentrici, nella piazzetta Sheshi e si estende lungo le Ruhat, sino a giungere negli angoli più reconditi dei territori comunali Kushet. La gjitonia per ogni arbëreshë si avverte, si respira, si assapora, si vede, si tocca, senza mai poter essere tracciata. Per questo gli agglomerati Albanofoni rappresentano il cardine che lega lingue, religioni e storie dissimili, in grado di produrre il modello d’integrazione più riuscito del mediterraneo. Il piccolo abituro, Shpia, in origine realizzato con rami intrecciati poi con blocchi di terra mista a fango e paglia, Matunazeth, in seguito, è stato ottimizzato attraverso l’utilizzo di materiali autoctoni più idonei come: pietre, calce, arena e legno. Dopo il terremoto del 1783 e la conseguente realizzazione della Giunta di Cassa Sacra, gli stessi ambiti urbani minoritari ebbero un nuovo sviluppo architettonico e gli agglomerati iniziarono a svilupparsi prevalentemente in direzione verticale. È da questo periodo che negli ambiti urbani calabresi le dimore assunsero una nuova veste distributiva. Essa allocava i magazzini e le stalle al piano terra mentre le abitazioni furono realizzate al primo livello. I successivi frazionamenti, utilizzarono l’uso delle scale esterne, profferlo, modificando radicalmente, in questo modo, le prospettive all’interno dei borghi. Il ciclo di crescita dei modelli edilizi minoritari si arricchisce ulteriormente dopo il decennio francese, con la costruzione dei nuovi palazzotti nobiliari, espressione di una classe sociale emergente. Ciò avviene solo per le classi più elevate naturalmente, perché quelle meno abbienti continuano a occupare i vecchi abituri, mentre quella media brandisce la nuova posizione sociale, utilizzando frammenti costruttivi dei palazzi post napoleonici. La storia del borgo di Cavallerizzo acquisisce dal XIX secolo le vicende della crescita edilizia in maniera incontrollata e diffusa, come avvenne per tutti i borghi e le città italiane. La notte del 7 marzo 2005 una frana lungo il margine meridionale dell’abitato, coinvolse il quartiere di recente espansione denominato Nxertath, (castagne innestate) realizzato su una copertura detritica eluviale già interessata da fenomeni gravitativi già dal XVII secolo, come riportato nei relativi archivi storici, in cartografie del 1903 e nella carta geologica del 1960. La condizione d’instabilità di quel versante nonostante fosse stata segnalata da Ietto nel 1978, a seguito della messa in opera della condotta idrica Abatemarco, interrata nello stesso versante e da Guerricchio nel 1998 per la verifica di un fabbricato lesionato. Entrambe le relazioni suggerivano possibili soluzioni d’intervento per la messa in sicurezza del versante, dei pochi edifici allora presenti e della condotta idrica soggetta a ripetuti disservizi. Gli interventi non furono mai realizzati, né presi in considerazione nonostante la continua crescita edilizia di quel quartiere. A seguito dei fenomeni gravitativi, nella porzione meridionale dell’abitato di Cavallerizzo, furono condotte dal Comune due campagne d’indagine geognostica nel 1982 e nel 1998-99, a fronte di ciò l’istituto CNR-IRPI di Cosenza attivò un sistema di monitoraggio dell’area in frana. Il collasso del 2005 ebbe ad attivarsi dopo un periodo di elevate precipitazioni atmosferiche, come richiamato nella rete di monitoraggio CNR-IRPI, che provocarono condizioni di saturazione idrica del versante. Il cinematismo della frana fu di tipo rotazionale nella porzione alta per poi attivarsi in colata, interessando un’area già ampiamente instabile e posta in crisi dalla speculazione edilizia dal 1980. Elevati danni furono riscontrati solo nel quartiere periferico denominato Nxertath, interessando solo l’11,5% del costruito totale; mentre nessun danno si rinviene nella restante parte dell’abitato, intatto a tutt’oggi. Dal 2005, non risultano esserci stati altri evidenti movimenti che interessi il centro storico e nessuna evoluzione è stata riscontrata nell’area frana. L’assenza di scivolamenti in atto fu riscontrata anche nel 2009, quando le precipitazioni atmosferiche invernali fecero registrare un valore cumulato maggiore rispetto a quello del 2005. Pertanto non è da escludere che all’anomalo incremento piezometrico, riconosciuto come causa di attivazione della frana, abbia concorso la condotta idrica Abatemarco, prontamente deviata all’indomani dell’evento. È chiaro che in assenza d’interventi per la mitigazione delle condizioni di rischio, resta elevata la possibilità di coinvolgimento delle aree urbane limitrofe. Pertanto il dato inconfutabile risulta che, per aver frettolosamente valutato gli ambiti di frana, si è intrapreso un percorso storicamente fallimentare. A tal proposito va rilevato che a seguito della frana del 2005 fu interdetto l’accesso all’intero centro urbano di Cavallerizzo, ordinanza ancora oggi in vigore e i cui motivi furono ufficialmente resi noti solamente nell’ottobre del 2009, basate solo su un rilevamento geomorfologico di superficie, che indicherebbero l’esistenza di una paleo-frana coinvolgente l’intero abitato, integrato con indagini geognostiche eseguite negli anni novanta del secolo scorso (quindi prima dell’evento 2005), oltre ad uno studio di telerilevamento satellitare che indicherebbe una traslazione dell’abitato di circa 1 cm/anno. Il dato fornito, coinvolge ed è diffuso a tutti i centri abitati, ubicati a Nord e a Sud di Cavallerizzo, con velocità di scivolamento variabili da 2 a oltre 6mm/anno, desumendo però una condizione di elevato rischio frana, in condizioni sismo-indotte, per il solo borgo di Cavallerizzo. È opportuno rilevare che le condizioni di rischio potenziale, per frane sismoindotte, sono estendibili comunque a gran parte della Calabria Nord occidentale, compreso il nuovo insediamento scelto per la delocalizzazione. Va inoltre rilevato che dopo la prima conferenza di servizi, tra maggio e giugno del 2006, si diede avvio alla fase di sottoscrizione degli atti, cui la popolazione era obbligata a cedere la vecchia abitazione, in cambio di una che avrebbe avuto gli stessi valori storico-sociali in ambito di Gjitonia(?), sottoponendo a questo iter anche coloro che innanzi a queste capitolazioni moderne non si sono mai presentati a sottoscrivere. Nel 2007 fu quindi definito il progetto esecutivo di delocalizzazione e nel corso del 2008 fu illustrato alla popolazione il nuovo paese arbëreshë con all’interno le gjitonie.È pur vero che durante la pubblicazione messa in stampa, eminenti cattedratici in maniera educata e perentoria misero in guardia i progettisti dell’errore cui andavano incontro, ciò nonostante il 7 Marzo de 2008 fu deposta la prima pietra di quello che sarebbe dovuto essere un paese, arbëreshë, con le gjitonie. Purtroppo gli organi decisionali garantirono, a detta loro, l’incolumità fisica e la tutela storica materiale e immateriale di Cavallerizzo, ma per la redazione del progetto non indicarono come prioritario la figura dell’esperto d’ambito arbëreshë, e avviarono in maniera anomala il progetto ritenendo che i minoritari arbëreshë si potevano paragonare a una qualsiasi popolazione disseminata negli ambiti del mediterraneo. Ciò ha prodotto equivoci paradossali che rivelano il poco rispetto volto nei confronti della regione storica albanofona, a tal punto da scambiata la Gjitonia con i Quartieri e per questo modificando in maniera radicalmente il rapporto tra costruito e non costruito. La stessa sorte ha coinvolto anche i sistemi viari, che nell’eseguito vengono riproposte con dimensioni simili alle aree mercatali. Questi pochi accenni, assieme ad altri non citati, ma per questo non meno rilevanti, confermano quanto sia stato sottovalutato il modello arbëreshë. Un’analisi eseguita a ritroso dallo scrivente indicherebbe che quanto “messo a dimora in località Pianette”, è il frutto di ambiti verosimilmente prossimi dell’equatore che purtroppo nella valle del Crati vanifica ogni sforzo che i minoritari albanofoni compiono per riversare riti e la consuetudine all’interno di un contenitore anomalo. L’unica nota positiva all’interno di questo curioso intervallo della storia albanofona, è rappresentato da un gruppo di abitanti di Cavallerizzo, che nel 2007 fondarono l’associazione “Cavallerizzo Vive-Kajverici Rron” e l’anno successivo presentarono ricorso al T.A.R. del Lazio che annullo il verbale della conferenza di servizi del 31/07/2007 c, quest’ultima aveva legittimato il progetto definitivo del nuovo paese che in data 14 maggio 2014, fu dichiarato in via definitiva abusivo. Il 2 luglio 2014 il T.A.R. del Lazio ha accolto il ricorso per l’ottemperanza della sentenza del Consiglio di Stato ed ha accertato la colpevole inerzia delle Amministrazioni, condannandole a riavviare il procedimento abilitativo del nuovo abitato entro trenta giorni, previa acquisizione della valutazione d’impatto ambientale con tutti i limiti del caso. Il tribunale ha inoltre già statuito che qualora l’amministrazione preposta non ottemperi “entro il termine indicato”, se ne occuperà un commissario ad acta già individuato nella persona del Ministro dell’Ambiente o “un dirigente da lui delegato”, con termine perentorio di altri trenta giorni. In tutti questi anni, comunque siano andate le cose, l’abitato storico di Cavallerizzo, con i suoi oltre 550 anni di vita, oltre ad aver convissuto con fenomeni d’instabilità, dal 2005 ha dovuto rispondere in maniera autonoma anche a processi vandalici oltre a quelli dell’incuria e all’abbandono che sono i peggiori. I processi avviati da quest’affrettata operazione si possono rispettivamente elencare in un nuovo insediamento privo degli atti amministrativi; il vecchio paese dichiarato inagibile e la scissione della comunità in due fazioni, che non riconoscono neanche il perimetro religioso a cui fare riferimento per festeggiare il protettore San. Giorgio, poiché, la Diocesi rimasta il baluardo di unione della popolazione ha preferito disconoscere l’antico e solidissimo perimetro di culto, per officiare la ricorrenza in un anonimo e non meglio identificato abituro. Tutto ciò sancisce ancora una volta il fallimento di una metodica che ha sempre portato squilibri nelle popolazioni de localizzate, processo violento che strappa in maniera indiscriminata le radici, ignorando quanto sia rimasto ancora innestato nel territorio. Ciò ha prodotto alla comunità frammentata e disadattata, distorsioni sociali, espressione del legame materiale e immateriale smarrito cui nessuno potrà mai porre rimedio visto il dilatarsi dei tempi. Alla luce di quanto emerso è palese la necessità di tutelare il centro storico di Cavallerizzo, perché la rara consuetudine minoritaria, inghisata in quegli ambiti, attendono di essere risvegliata e collocata con rispetto nello scenario sociale, culturale e scientifico calabrese così come integrato prima dell’evento franoso. L’abitato di Cavallerizzo nasce perché è il risultato dell’azione di una civiltà cui è parte indissolubile, non frutto dell’azione costruttiva di un singolo ma il luogo che rappresenta la cerniera di culture e per questo non più riproducibile. Dopo gli avvenimenti succedutisi a circa dieci anni dall’evento franoso, alla luce delle sentenze, si dovrebbe giungere a un ragionevole esame e consentire la messa in sicurezza degli ambiti di frana. Il centro storico, ancora intatto, attende attraverso opportuni interventi per rivitalizzare il patrimonio storico costruito in 550 anni di vita arbëreshe. Il recupero dell’agglomerato deve avere come fine prioritario la ricollocazione della minoranza storica condivisa con l’associazione Cavallerizzo Vive, e da tutta la regione arbëreshë. Un progetto che ha come indicatore la storia albanofona, intrisa nelle ostinate murature che continuano a riverberare antichissime vicissitudini innestate nelle consuetudini arbëreshë, in solida convivenza con il territorio Kushe. La realizzazione di un albergo diffuso in sintonia con le attività tipiche adoperando come residenze gli abituri arbëreshë. Utilizzare l’edilizia storica al fine di utilizzarli come istituti o centri per il controllo della valle Crati e monitorare, gli aspetti idrografici, climatici e sismici. È chiaro che per mettere in atto progetti di tale portata è indispensabile la partecipazione concertata del Comune di Cerzeto, l’UNICAL, la Provincia di Cosenza, la Regione Calabria e il CNR. Il fine è di produrre un esempio di tecnologia, arte, restauro attingendo nelle consuetudini arbëreshë, creare non solo un osservatorio delle dinamiche intrinseche del territorio ma anche il fulcro di eccellenze e ricchezze. L’auspicio prossimo è quello di vedere come primi attori di questa vicenda, la comunità di Cerzeto e San Giacomo che unita ai fratelli di Cavallerizzo restituiscano il piccolo borgo alla Regione Storica Arbëreshë, rievocando l’antico rito del 4 Giugno 1667, quanto a seguito della perdita di possesso dei vecchi proprietari del borgo arbëreshë di Kajverici, la Marchesa di Santa Caterina, Ippolita Belveris in esecuzione a quanto disposto dal tribunale si sottopose, alla presenza dei rappresentanti, Sindaco, Eletti dell’Università e di un nutrito numero di testimoni, che assistevano al rigido formulario, che qui di seguito viene esposto nelle sue diverse fasi: La baronessa, doveva compiere davanti a tutti i testimoni di cui sopra una serie di atti, come quello di spezzare un ramo, riempirsi il pugno di terra e lanciarla per aria, passeggiare a piedi o a cavallo, muoversi a suo piacimento e fare ogni cosa che gli venisse in mente, tutto ciò confermava l’effettiva presa di possesso del bene e Kajverici Rroi.
Bibliografia:
Fabio Ietto (2010)
Geologyresearcher UNICAL, DiBEST
Antonio Madotto
Editor of the site “Cavallerizzo Vive-Kajverici Rron”
Atanasio Pizzi (1987-2014) Scritti inediti
Architect and editor of the site “Sheshi i Pasionatith”
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