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SHESHI: ARCA SOCIALE PER LA SOSTENIBILITÀ DELL’AGRO ARBËR (Sheshi: insieme del costruito di case, supportici, strade, vicoli ciechi e orti)

Posted on 01 settembre 2023 by admin

Chiesa CodraNAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Il termine “paesaggio” vuole rappresentare, l’insieme delle forme e interazioni di un luogo tra tempo, natura, uomini e, nasce per rappresentare il risultato della convivenza dei protagonisti attivi, in continua evoluzione.

Da questa definizione scaturisce la necessità nel differenziare il paesaggio, secondo lo scorrere del tempo, gli episodi o eventi naturali a cui l’uomo cerca di ripristinare e dare conto o giudizio, quando queste diventano abbandonati, antropizzati e urbanizzati.

Ci si rende subito conto della complessità del passare del tempo determinatesi a favore della natura a discapito dell’uomo e viceversa, ed ancor di più del concetto ad esso associato, in quanto abbraccia la sfera fisica, percettiva, culturale e sensoriale della realtà, inducendo ad una lettura analitica/critica per leggere le sfumature.

A Firenze nell’ottobre del 2000, si è definita una definizione ufficiale congiunta secondo cui e, per evitare possibili parafrasi che esulano dai contenuti di questo contributo qui disponiamo quella ufficiale in lingua Inglese e quella tradotta in Italiano:

“Landscape” means an area, as perceived by people, whose character is the result of the action and interaction of natural and/or human factors.

Per “paesaggio” si intende un’area, come percepita dalle persone, il cui carattere è il risultato dell’azione e l’interazione di fattori naturali e/o umani.

Secondo il convenzionale enunciato, si individua come paesaggio il risultato di azioni conviviali tra fattori naturali e/o fattori umani.

In buona sostanza, tutto può essere paesaggio, purché espressione di una componente soggettiva da parte dell’osservatore e si riconosce come bene culturale a carattere identitario, frutto della  percezione di azioni locali su uno specifico territorio, di approdo, collina o montano.

Da questo punto di vista il paesaggio rappresenta un bene apparentemente statico, in continua e lenta evoluzione, in quanto determinato dal carattere percettivo della memoria, in quanto luogo dell’azione dell’uomo sul palco della natura.

L’attribuzione di un valore aggiunto o sottratto a favore del tempo, la natura o dell’uomo, dunque, non può prescindere dal riconoscere elementi che lo caratterizzano e lo differenziano nel tempo e appariscono sostanzialmente simili secondo la distanza dell’osservatore.

Ed è per questo che alla stessa tipologia, due momenti distinti del paesaggio risultano differenti allo sguardo dell’osservatore, individuando in essi alcuni elementi ora opera della natura e ora opera degli uomini.

Questi elementi possono essere di tipo naturale: un corso d’acqua, la nuova vegetazione, o di tipo antropico: un manufatto, in declivio modificati ad opera dell’uomo, o anche un percorso viario; talvolta proprio la presenza di elementi antropici favorisce l’identità culturale, valorizzando la naturale bellezza dei luoghi, che l’uomo rende neutra per i materiali locali che utilizza negli elevati che diventano quasi opera della natura.

La produzione agricola appartiene a quei fattori di trasformazione del paesaggio che, nei secoli ha modificato notevolmente il territorio, a seconda dell’intensità produttiva e delle esigenze a cui doveva far fronte, talvolta qualificando l’ambiente: solo per citare un esempio, basti pensare a terrazzamenti, briglie di contenimento dei deflussi naturali, grazie alle quali si sono potuti piantumare, a seconda le zone, pergolati, limoneti, uliveti o i coloratissimi orti stagionali delle più raffinate colture, praticate e tramandate di padre in figlio, rendendo più docile il profilo dei declivi e sviluppando una “struttura paesaggistica” che sostiene il delicato equilibrio idrogeologico dei versanti.

La costruzione di opere e manufatti in contesti naturali, all’origine era realizzato per sortire al minor impatto percettivo rispetto al contesto ambientale in cui si trova, grazie all’utilizzo di materiali li reperibili, come pietre arenarie o argille.

La motivazione a tale attenzione, la si ritrova principalmente dal fatto che quanti sceglievano la collina alle rive di approdo, volevano rimanere anonimi e non facilmente intercettabili da quanti proveniva dal mare con principi bellicosi, non certo di convivenza.

Ragion per la quale le forme costruttive tradizionali, erano incastonate nel contesto, ma soprattutto nell’impiego di materiali e pigmenti che già appartengono ai caratteri di quei luoghi.

Partendo da questo assunto infatti, ne è dimostrazione la ricerca condotta dallo scrivente con protagoniste le genti che elevarono gli oltre cento Katundë di radice Arbër, Arbanon e Kalabanon, della penisola del sud Italia e in forma esclusivamente documentale del sud della penisola balcanica e della aree a sud della Spagna e del Portogallo, con riferimento alla regione dell’Exstremadura.

Una vera e propria casistica eterogenea di architetture rurali, un ventaglio di elevati censiti, individuando caratteri architettonici essenziali, distintivi e ricorrenti, la cui tipologia si ripete su tutto il territorio indipendentemente dalla collocazione o dalla provincia di riferimento, tanto da permettere di classificare i sistemi edilizi in classi omogenee, individuando carattere ordine strutturale, dimensionale, organizzativo-distributivo, funzionale ed aggregativo.

Le espressioni dell’abitare raccolgono i suggerimenti offerti dalle potenzialità del luogo e del tempo, fino a materializzare nel paesaggio soluzioni iterate naturalmente, a ragione d’uso, le funzioni, conferma di validità.

Analizzare, i cunei agrari attraverso briglie, per la mitigazione dei reflui naturali, o per la tenuta di vie per raggiungere in sicurezza i pianori di semina, con particolare attenzione all’edificato di raccolta, accumulo e lavorazione dei prodotti agro-silvicoli-pastorali, sono il processo più articolato da analizzare, dato che punteggiano il paesaggio, attraverso cui discernere le trasformazioni indotte dalla società contadina, del volto di  paesaggio, da naturale a interattivo tra tipo edilizio, in tutto un luogo vissuto dagli uomini.

La corrispondenza tra “oggetti dell’abitare” e “tipi di supporto dei cunei agrari” avviene convalidando tipologie posteriori, ovvero le esperienze negative da migliorare e non più proporre come soluzioni formali con connotazioni nitide, precise, quasi elementari nella struttura, in tutto la misura dell’evoluzione del paesaggio guadagna attraverso l’abitare.

La classificazione di tali sistemi in elevato, di sostegno agreste e abitativo evidenzia non solo la ripetizione della tecnica costruttiva come tradizionalmente tramandata, ma anche e soprattutto la ripresa di quei cromatismi che appartengono all’ambiente naturale in cui vengono costruiti. E sono fondamentali per non essere intercettati, perché scelta di vita.

Lo stesso avviene nei centri abitati dove gli sheshi sono organizzati secondo disposizioni dipendenti degli originari gruppi familiari allargati, sono questi a determinarne il percorso articolato e definirne gli spazio dediti agli orti botanici, indispensabili di ogni gruppo.

Abitazioni sempre contornato dal verde naturale o comunque da elementi arborei che ne caratterizzano il clima e l’abitabilità.

Agglomerati realizzati all’interno o comunque contornati dalla vegetazione caratteristica di schermatura, indispensabile nelle colline mediterranee a creare il giusto filtro visivo per chi da lontano osserva e vorrebbe distinguere uomini, natura e tempo. 

Per questo le soluzioni costruttive appartengono a un linguaggio, che con lo scontrarsi con gli eventi naturali sempre più vicini, così tanto, da rispondere nuove esigenze sanitarie, rispetto alla scelta del materiale protagonista, che ritorna ad appartenere al luogo con una dimensione nuova, in cui la maggiore caratteristica deriva dalla pietra naturale, legata all’esteriorità per render il sistema naturale e possibile.

Nel meridione italiano, i materiali impiegati nella costruzione sono gli stessi che si ritrovano in situ, lì reperiti o perché costituenti il suolo, o perché trascinati da corsi d’acqua o rotolati fino alla pianura quando i sistemi di deflusso non erano ancora mitigati.

Sino a quanto i pigmenti naturali, amalgamano l’ambiante e natura, grazie anche all’ausilio di malta di allettamento delle pietre, si producono quinte naturali senza ombre e lo scenario rimane incontaminato da ombre o riflessi fuori misura.

Le attività di ricostruzione a seguito dei sismi ad iniziare da XVI secolo sono il segno emblematico delle ricostruzioni post sismi in quanto l’originario manufatto in elevato realizzato solo di calce arena e pietre con elementi di spogliatura del continuo murario con l’adottare  parti delle lamie di copertura realizzate in coppi e contro coppi sbriciolati o non più utili all’originario scopo a causa di sismi, ma sempre utili per fare volume o dare continuità solida al costruito in elevato.

Cosi come anche l’utilizzo dei mattono che formano piedritti e archi di vani porta e finestre sino ad allora realizzati con pietre e arco trave in legno su cui adagiare il continuo murario in pietra.    

Il contesto naturale mimetizza il manufatto all’interno del suo paesaggio, riprendendone le sfumature e i toni di tutte le cose che uomo e natura avvicinano le une con le altre.

Nel caso delle pietre di cava, l’imponenza dei blocchi di pietra o dei conci in tufo, fanno contrasto con il verde della campagna ma, a ben vedere, si lega al paesaggio, perché assumo il ruolo di delimitare ingressi e finestrature e in casi di edifici più emblematico assume re il carattere distintivo essenziale di queste architetture, così poco artificiose, ed alimenta valori formali che trascendono quelli funzionali e ne strutturano la percezione in pietre di riferimento angolare alla base dell’edificio.

Questi temi così disposti hanno per secoli reso lo scenario naturale come se fosse privo della presenza dell’uomo, che dopo il terremoto del 1783 ha dato la regia o meglio prevalenza estrema, al bisogno dell’uomo, il quale prima ha esagerato con le sue necessità e, poi abbandonate le cose alla disponibilità del tempo e della natura.

Oggi siamo giunti al termine, nessuno sa come dialogare o intrecciare cose buone per disporre il giusto equilibrio tra tempo natura e uomini, mentre non avendo misura e ragione per dialogare sono incolpati sole, vento e luna, sin anche la pioggia che un tempo era tanto attesa o per meglio dire fondamentale.

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